domenica 16 settembre 2018

NO ONE LIVES: L'OSCURA WELTANSCHAUUNG DI RYUHEI KITAMURA

Dopo aver posto all'attenzione il più recente Downrange (2017) mi è parso quasi obbligatorio riflettere anche su quello che può essere considerato il suo gemello o fratello maggiore (proprio da un punto di vista anagrafico) all'interno della filmografia statunitense di Ryuhei Kitamura: No One Lives, seconda fatica girata negli States nell'ormai lontano 2009. A differenza dell'altra pellicola da me analizzata questa viene prodotta con un budget nettamente più alto, sebbene lontano anni luce dagli standard dei blockbuster, e distribuita anche in sala in tutto il mondo, nonostante grandi limitazioni dovute alla censura che ne hanno pregiudicato gli incassi. Certamente l'opera in questione non può essere definita un grande successo né commerciale né di critica ma rappresenta a mio avviso una ottima rappresentazione dell'idea di cinema di quello che può essere considerato, con i suoi pregi e i suoi difetti, un vero e proprio autore e che in quanto tale merita sicuramente un maggiore approfondimento.

Dopo un incipit nel quale viene mostrato il rapimento di una ragazza dai capelli biondi la macchina da presa introduce quello che sembrerebbe essere il protagonista del lungometraggio, un anonimo personaggio identificato semplicemente come "Driver" (Luke Evans) in viaggio con la compagna Betty (Laura Ramsey). I due decidono di pernottare in un motel per riposarsi e su suggerimento del proprietario vanno a cenare in una tavola calda nelle vicinanze. All'interno del locale vengono disturbati da Flynn, una testa calda facente parte di una banda di rapinatori che hanno appena sterminato una famiglia durante un furto in casa finito male. Nonostante i rimproveri subiti dal capo Hoag l'uomo attacca la coppia subito dopo la cena mentre questi si trovano in macchina, li rapisce e porta l'auto nel suo nascondiglio. All'interno del veicolo non trova grandi beni ma "solamente" una ragazza, la giovane Emma Ward vista durante la prima sequenza. Nel frattempo Driver e Betty si risvegliano legati da uno dei membri della gang e inaspettatamente la donna si taglia la gola con il coltello usato dallo sgherro per minacciarla, scatenando così la furia del suo compagno e rivelandone di conseguenza la sua vera indole. Da quel momento il misterioso protagonista inizierà una caccia senza pietà per uccidere tutti i componenti della banda e riprendersi la studentessa che aveva sequestrato.

Proprio come già sottolineato a proposito di Downrange per Kitamura il cinema è soprattutto una questione di stile e intrattenimento, la sua visione dell'horror è molto più vicina a quella dell'attrazione, della stimolazione costante dei sensi per stordire e divertire il pubblico. No One Lives non fa eccezione e per questo utilizza la traccia narrativa quasi come un pretesto per permettere l'esplosione di uno spettacolo truculento e beffardo, sanguinolento e ironico allo stesso tempo ma questo non significa che il regista non lasci intravedere niente di sé all'interno di questa pellicola. Come confermato dal suo successivo gemello il film in analisi dimostra la grande conoscenza delle regole del genere e di quelle del racconto classico da parte del cineasta, caratteristiche imprescindibili per il suo gioco del ribaltamento dei ruoli: la scelta di ambientare le prime sequenze alla luce del sole e l'insistenza sui primi piani di Evans durante il viaggio con la fidanzata ingannano lo spettatore, lo invitano a entrare in empatia con il personaggio e anche la scrittura sembra suggerire come questi possa rappresentare il tipico eroe ma non appena il sole tramonta ecco che avviene la trasformazione. Driver comincia a rivelare i primi indizi sulla sua morale tutt'altro che cristallina e così di pari passo con la progressiva oscurità che invade la fotografia anche l'uomo mostra con sempre maggiore evidenza la propria natura di serial killer psicopatico, freddo, spietato e unito da un legame d'amore morboso con alcune sue vittime, come la sventurata Emma, costretta dalle sue sevizie a perdere tutta la sua innocenza pur di sopravvivere e dunque resa sempre più simile al suo aguzzino. La citata oscurità che permea la gamma cromatica del lungometraggio simboleggia a pieno la totale assenza di positività etica ed emotiva all'interno del racconto dato che nessuno dei personaggi in lotta per salvare la vita si dimostra davvero senza macchia. In completa antitesi con la prassi del classicismo americano le due parti che lottano sono in realtà due facce della medesima crudeltà, differenziate solamente dall'approccio: la banda di rapinatori ferisce il prossimo semplicemente per avidità, l'anonimo protagonista per scelta di vita, per istinto e per il piacere che ne trae. L'unico barlume di luce tra le tenebre del mondo immaginato da Kitamura risiede nella figlia di Hoag, l'unica ad avere a cuore le sorti non solo della famiglia ma persino della giovane appena incontrata in circostanze tutt'altro che quotidiane e la sua morte metaforicamente riassume proprio la comune malvagità di tutti i personaggi su schermo, dato che viene prima accoltellata da Driver e poi investita da Flynn. Il commento della stessa Emma sull'accaduto esterna nella maniera più sintetica e significativa possibile come con la ragazza sia morta quest'unico spiraglio di luce e dunque come nella Weltanschaung del regista nipponico l'innocenza sia destinata a perire.
Nel suo nichilismo non privo di ironia No One Lives si rivela tutt'altro che il tipico slasher o un semplice torture porn ma semmai una vera e propria manifestazione della poetica del suo autore, per certi versi simile al pessimismo espresso con humour acido da Mario Bava in Reazione a catena (1971) e John Carpenter in 1997: Fuga da New York (Escape from New York, 1981).

Nessun commento:

Posta un commento