sabato 23 luglio 2016

SINISTER: QUANDO L'IMMAGINE DIVENTA OSSESSIONE




Diretto e scritto nel 2012 da Scott Derrickson, già autore di altre pellicole dell'orrore ricche di spunti psicologici come Hellraiser 5 (Hellraiser: Inferno; 2000) e The Exorcism Of Emily Rose (2005), Sinister ha goduto di un grande successo al botteghino (al netto di un budget molto basso per gli standard hollywoodiani) e anche di critica, la quale storicamente non è molto benevola con questo genere, soprattutto in Europa. Cotanto successo non poteva che generare un sequel privo però della regia di Derrickson e decisamente bocciato dalla critica, ma questa è un'altra storia di cui magari parlerò in seguito.
La trama di Sinister presenta come protagonista lo scrittore di inchieste su fatti di cronaca nera Ellison Oswalt, interpretato dal mai troppo celebrato Ethan Hawke (Before Sunrise, Training Day, Boyhood), il quale si trasferisce insieme alla famiglia, composta dalla moglie e i due figli (l'adolescente con problemi di sonnambulismo Trevor e la piccola "artista" Ashley), in una casa in cui è avvenuto un orrendo omicidio del quale Ellison vuole scrivere. L'uomo inizia le proprie ricerche senza mettere al corrente la famiglia del fatto di trovarsi proprio sul luogo di una strage e si trova circondato dall'avversione dei suoi nuovi concittadini, tra i quali lo sceriffo che senza troppi giri di parole gli fa capire quanto i tutori della legge odino i libri scritti dal romanziere, con l'esclusione del grande successo editoriale Kentucky Blood, il momento più alto della carriera di Ellison. Sarà proprio il desiderio di replicare il successo di questa opera a spingerlo ad andare avanti nelle ricerche su questo caso, nonostante strani avvenimenti (soprattutto il ritrovamento di un vecchio proiettore e di alcune pellicole super 8 contenenti immagini spaventose) e i problemi con i suoi cari avrebbero dovuto spingerlo sulla strada opposta. Ad aiutarlo trova soltanto il supporto di un arguto quanto strambo vice sceriffo suo fan.
Preciso che da ora in poi saranno presenti spoiler sulla parte finale del film e quindi consiglio caldamente di continuare a leggere solo in caso di visione completa del film.

Perché ho scelto il titolo che si può vedere in cima alla suddetta breve analisi? Semplicemente perché Sinister è sì un film dell'orrore con alcune scene di forte impatto da grandguignol  come molta della cinematografia attuale (si pensi al filone del torture porn o al neo-noir orientale di registi come Park Chan-Wook) ma ciò che veramente lo contraddistingue è l'atmosfera malsana, inquietante creata dalla graduale discesa negli inferi di Ellison e il veicolo di questo viaggio sono proprio le immagini. L'uomo si ritrova catapultato nella catena di omicidi perpetrati dai bambini soggiogati dal demone babilonese Bughuul attraverso la visione di filmati amatoriali in super 8.Certamente in questa scelta non manca una certa vena di feticismo cinefilo per un formato che è stato sinonimo del cinema a basso costo, in cui ovviamente l'horror era (ed è) uno dei generi più frequenti,  ma la scelta di inserire come villain del lungometraggio un demone il cui potere si basa sulla visione delle immagini che lo ritraggono ha ben altri motivi: non è in fondo proprio questo lo stesso potere che noi oggi associamo alla fama? L'essere riconosciuti grazie alla propria immagine. Questa associazione crea quindi un parallelo drammatico e sinistro tra il demone e lo scrittore, entrambi vivono attraverso la visione di terzi della propria immagine e così come Bughuul si nutre (letteralmente) delle anime dei bambini, Elliot si nutre delle sofferenze altrui, semplici storie da raccontare per lui. E se Derrickson ci stesse in realtà dicendo che il vero demone, che si ciba delle nostre anime, sono tutte quelle figure che ogni giorno vivono e prosperano monetizzando le tragedie di altri? Forse, perché è bene non dimenticare che il protagonista della pellicola nella sequenza in cui si addormenta guardando una sua vecchia intervista risalente all'apice della sua carriera (forse una delle più potenti e suggestive del film) così come in alcuni dialoghi con la consorte dimostra di essere ossessionato non tanto dal guadagno, bensì dalla fama prima citata ("la mia eredità" è l'espressione che usa per definire il libro che intende scrivere). 

Alla luce di questa precisazione ritengo più probabile che in realtà la riflessione del regista di Liberaci Dal Male (Deliver Us From Evil; 2014) sia proprio sull'ossessione da me citata nel titolo, un viaggio che per il protagonista si rivela di sola andata e che probabilmente è un pericolo in agguato per qualunque artista, il quale vive sul labile confine tra glorificazione del mondo attraverso il suo operato e la glorificazione di sé attraverso la reazione del mondo al suo operato.
Auguro una buona visione a chiunque voglia riguardare la pellicola in seguito a questa lettura e invito voi lettori a farmi sapere se avete commenti a riguardo, soprattutto negativi.

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