La diffusione del movimento Metoo non ha "solamente" permesso di smascherare un vero e proprio sistema di sopraffazione adottato da un gigante di Hollywood come Harvey Weinstein nei confronti delle donne a lui sottoposte, ma, soprattutto, ha soverchiato un vaso di Pandora di più vaste dimensioni su una lunga serie di comportamenti e abitudini maschili che discriminano e mortificano il mondo femminile in ogni ambito della vita. Come quasi sempre accade per i grandi mutamenti sociali e culturali la narrativa horror riesce a captare con efficacia unica ciò che comportano queste piccole o grandi rivoluzioni, facendo di presenze soprannaturali e non solo delle potenti metafore con cui affrontare il cambiamento. Nel solco di quanto già fatto da titoli quali A Girl Walks Alone at Night (Ana Lily Amirpour, 2014), Midsommar (Ari Aster, 2019) o L'uomo invisibile (The Invisible Man, Leigh Whannel, 2020) si inserisce Barbarian, diretto da Zach Cregger nel 2022. Nonostante un budget piuttosto risicato per gli standard statunitensi, il film si rivela un inaspettato successo al botteghino, suffragato da recensioni entusiastiche in tutto il mondo, rendendolo una delle maggiori sorprese, nel genere e non solo, dell'anno.
Tess (Georgina Campbell), protagonista delle pellicola, arriva a Detroit per un colloquio di lavoro e prenota online una casa in un quartiere che si rivela tutt'altro che raccomandabile. Arrivata allo stabile in una notte tempestosa scopre però che è stata affittata anche a Keith (Bill Skarsgard), che le offre di condividere l'edificio date le condizioni della zona e la totale assenza di camere libere negli hotel circostanti. L'iniziale diffidenza verso il coinquilino viene dissipata nel corso della notte ma quando Tess il giorno seguente, dopo aver incontrato la sua possibile datrice di lavoro, scopre all'interno della casa una serie di stanze e corridoi segreti nel seminterrato la situazione si trasforma radicalmente.
Indugiare oltre sulla trama di Barbarian rischia di privare lo spettatore di uno dei grandi pregi dell'opera in analisi, ovvero la sua capacità di deviare a più riprese dopo aver intrapreso strade molto familiari per qualunque appassionato di horror e thriller. Dopo una prima sezione in cui Cregger gioca in maniera molto consapevole ed efficace con la capacità di sopportazione della suspense da parte del pubblico, infatti, il regista vira completamente personaggi e punti di vista alla maniera di Psycho (Alfred Hitchcock, 1960) ma anche registro narrativo ed estetico. Dalla crescente e strisciante tensione creatasi tra Tess e Keith la macchina da presa sposta il proprio obiettivo verso AJ (Justin Long), attore mostrato inizialmente mentre sfreccia su una decappottabile nel tipico ambiente idealizzato della California più ricca ed estetizzata, sfoggiando un atteggiamento altrettanto solare e una sbadataggine che porta quasi forzatamente lo spettatore a provare simpatia nei suoi confronti, salvo poi scoprire, con lo stesso andamento in crescendo visto in precedenza, quanto le accuse di abusi sessuali a lui rivolte siano tutt'altro che campate in aria e che dietro la metamorfosi in horror comedy si cela in realtà un personaggio totalmente incapace di provare empatia per il prossimo, specie se donna e di suo interesse sessuale. Anche stavolta, nel momento di Spannung della parabola legata all'attore ecco che l'autore tira fuori dal cilindro un ulteriore deviazioni di punto di vista, a cui si accompagna anche un salto temporale verso il passato, in quegli anni Ottanta reaganiani resi ancor più vividi nel loro ostentato e falso perbenismo dai colori pastello della fotografia che ricordano pellicole che svelavano proprio l'ipocrisia di quella fase della storia americana come Velluto blu (Blue Velvet, David Lynch, 1986) o Nightmare - Dal profondo della notte (A Nightmare on Elm Street, Wes Craven, 1984).
Nel solco della migliore tradizione del cinema di genere questa costruzione anticlassica del racconto serve a Cregger non solo per donare freschezza agli elementi più riconoscibili dell'horror, evitando che il pubblico possa perdere interesse per quanto accade sullo schermo, ma a questa più superficiale chiave di lettura aggiunge una, persino troppo, evidente manifestazione tramite i medesimi topoi di una sorta di spettro della mascolinità tossica, a partire dal grado più basso fino a quello più violento e quasi disumano. Se nel caso della terza dimensione della narrazione, quella nel passato, è quanto mai chiaro il motivo per cui l'uomo agisce in maniera predatoria verso le donne, la situazione assume sfumature diverse in AJ, che solamente nel finale sembra mostrare una reale consapevolezza di quanto oggettifichi le persone che lo circondano, dopo aver invece parlato con una disarmante superficialità di come abbia avuto dei rapporti con una collega nonostante lei gli avesse detto di no a più riprese. Ancor più sottile, specie per molte generazioni di uomini, è la situazione che si crea nella primissima parte del lungometraggio: agli occhi di molti il comportamento di Keith potrebbe apparire galante e attento ai bisogni di Tess ma qualunque donna si rende conto fin dagli inziali scambi di battute tra i due come egli imponga, seppur senza esasperare i toni, la propria volontà all'altra, minimizzando peraltro qualsiasi sua preoccupazione facendo pensare al tipico pregiudizio sull'isterismo femminile. Pregiudizio che esplode successivamente quando la protagonista gli rivela della presenza di sordide stanze nascoste nella casa e il coinquilino, invece di comprende la sua paura e aiutarla, ridicolizza queste sensazioni e arriva fino al punto di frapporsi anche fisicamente a lei. Per quanto sia palpabile una certa attrazione tra i due, dunque, l'uomo anche in questa relazione impone la proprio volontà alla donna sminuendone ogni emozione o bisogno, oltretutto quando la loro conoscenza avviene già in un contesto chiaramente rischioso e che avrebbe fatto fuggire a gambe levate molti di noi, a prescindere dal genere. E non è un caso che neanche la polizia, rappresentata da due agenti maschi, dia peso alle richieste di soccorso di Tess, sebbene qui si aggiunga anche una questione più socio-politica legata al sospetto verso chi vive suo malgrado situazioni di degrado, del quale Detroit è simbolo perfetto per il crollo vertiginoso a cui è andata incontro in seguito alla crisi dell'industria dell'automobile.
Certamente Barbarian soffre, probabilmente anche a causa della poca esperienza del suo autore, di un certo didascalismo e forse anche di essere arrivato dopo una serie di precedenti illustri ma non è così comune trovarsi dinanzi a un film in grado di offrire divertimento e analisi di una delle piaghe che ancora divide nettamente la popolazione occidentale in egual misura.