domenica 21 febbraio 2021

BREAKING BAD - L'ASCESA AGLI INFERI DELL'UOMO COMUNE E AL PARADISO DELLA SERIALITÀ TELEVISIVA

 La cultura pop di questo terzo millennio, specie a partire dal suo secondo decennio, pulsa attraverso un cuore costituito principalmente dalla serialità, in tutte le sue stratificate emanazioni: dagli universi cinematografici condivisi alle continue iterazioni videoludiche di saghe quali Call of Duty o FIFA, passando per le serie tv. Rispetto agli esordi di questo medium attraverso i vetusti tubi catodici del secolo scorso, i serial odierni vivono una vera e propria età dell'oro, resa possibile certamente dal trasferimento verso i lidi dello streaming, dalla diffusione del binge watching e dagli investimenti sempre più massicci di colossi come Netflix e Amazon, eppure resta innegabile l'importanza rivestita all'interno di questo processo dalla pura e semplice qualità delle produzioni pensate per il piccolo schermo. Una qualità cresciuta esponenzialmente persino per gli show meno ambiziosi ma che trova il suo apice in alcune punte di diamante, capaci di entrare nella memoria collettiva e di ridefinire gli standard per i propri epigoni; tra questi ultimi spicca senza alcun dubbio Breaking Bad. Andato in onda su AMC dal 2008 al 2013, il serial ideato da Vince Gilligan ha segnato in maniera indelebile anni estremamente importanti per il nostro secolo, sia per l'universo audiovisivo (parliamo dello stesso anno in cui al cinema esordivano The Dark Knight di Christopher Nolan e Iron Man di Jon Favreau) che per il nostro mondo in genere (la spaventosa crisi economica esplosa negli Stati Uniti), finendo per accaparrarsi innumerevoli, prestigiosi premi, fidelizzare milioni di fan in tutto il mondo e persino entrare nell'immaginario collettivo, con termini o intere citazioni divenute proverbiali per molte generazioni. Molto è stato già scritto su questo argomento ma proverò comunque a riflettere sui meriti dietro a un tale successo.


La serie, nel corso di cinque stagioni e un film uscito nel 2019 (El Camino: A Breaking Bad Movie, Vince Gilligan), racconta la trasformazione del mite professore di chimica Walter White (Bryan Cranston), costretto da un tumore a cercare di aumentare i propri guadagni, e del suo ex studente e socio Jesse Pinkman (Aaron Paul) in narcotrafficanti capaci di guadagnare milioni di dollari dalla vendita di una forma purissima di cristalli di metanfetamina. Una singolare ascesa al potere nel mondo della criminalità del sud degli USA resa ancor più complessa e grottesca dalla presenza del cognato di Walt, l'agente della DEA Hank (Dean Norris), e il rapporto con i magnati del traffico di stupefacenti a livello internazionale, quali Gustavo Fring (Giancarlo Esposito) e i trafficanti messicani.


Sebbene la mente dietro l'intero serial sia rimasta sempre unica, è innegabile come Breaking Bad abbia subito, in maniera analoga al proprio protagonista, una metamorfosi sia nella narrazione che nella forma, abbracciando in tal senso completamente uno dei suoi temi cardine, la dualità. Le prime due stagioni (particolarmente la prima) mostrano un approccio estremamente satirico al racconto e alla caratterizzazione dei personaggi, mettendo in scena una sorta di black comedy con al centro il processo di emancipazione da parte dei due "eroi" nei confronti della mediocrità e del perbenismo in cui vivono i comprimari, a partire dalla famiglia White. Walter, pur avendo iniziato la propria attività illecita con il nobile proposito di lasciare ai propri cari una condizione economica dignitosa alla propria dipartita, finisce per trovare nella preparazione di stupefacenti dalla qualità eccezionale un riscatto personale verso una vita passata ai margini del successo, resa ancor più desolante dal rimpianto per essersi fatto soffiare i meriti (e i lauti guadagni) per la fondazione di una società di fama mondiale insieme ad alcuni compagni universitari. Allo stesso tempo sembra rintracciare nel suo "apprendista" Jesse la figura di figlio primogenito a cui lasciare il testimone, nonostante i continui litigi per la naturale propensione alla ribellione del giovane. Lo stesso Pinkman vede nel suo vecchio professore un padre putativo capace di sostituire, persino nelle liti e nelle incomprensioni, i suoi genitori naturali, troppo legati a una morale borghese a cui questi non riesce proprio a conformarsi, nonostante alcuni tentativi nel corso dello show. In molti frangenti questa prima sezione del racconto può essere accostata alla cinematografia di fine anni Novanta che, tramite un registro in bilico tra commedia e tragedia, denunciava i limiti del sogno americano e della provincia benpensante propinati nel decennio precedente tramite la politica e la propaganda reazionaria di Ronald Reagan. Due gli esempi più celebri di tale filone: Fight Club di David Fincher (1999) e American Psycho (Mary Harron, 2000). 


Conseguentemente all'estensione dei profitti e dei confini dei traffici dei due protagonisti, l'orizzonte sia visivo che contenutistico di Breaking Bad vira inesorabilmente con la terza stagione. Al registro formale volontariamente grezzo e quasi documentaristico della prima parte, Gilligan e gli altri registi, tra i quali spicca per coraggio e cura dell'immagine Rian Johnson, contrappongono una magnificenza nella composizione delle inquadrature, sia nelle panoramiche del deserto che nei più intimi kammerspiel per le sequenze in interni, che rende ancor più palesi le maggiori fonti di ispirazione dello showrunner: il western mitico di Sergio Leone e l'epica criminale della saga de Il padrino di Francis Ford Coppola. Attraverso queste precise coordinate estetiche, assolutamente impensabili per un lavoro televisivo del secolo precedente, il serial, oltre a regalare sprazzi virtuosistici indelebili (per esempio il celeberrimo plongée durante la prima "botta" di eroina per Jesse), sottolinea la volontà di cambiare rotta anche a livello tematico rispetto agli esordi, concentrando la propria attenzione su una maggiore introspezione anche dei personaggi minori e una generale riflessione morale sull'individualismo americano. Da monodimensionali maschere del perbenismo borghese tutti i membri della famiglia White, soprattutto la moglie Skyler (Anna Gunn) e il sopracitato cognato, si tramutano in personaggi a tutto tondo, dotati di grande forza di volontà ma anche di umanissimi limiti caratteriali, sogni e paure e soprattutto portati dalle conseguenze delle attività criminali di Walter a modificare i propri orizzonti etici e la propria idea di famiglia. Nucleo familiare sempre più centrale nel racconto, non più come semplice appiglio morale per i crimini del protagonista o gabbia da cui fuggire, bensì un vero e proprio ecosistema liquido sempre teso tra luci e ombre, specialmente quando si tratta della famiglia non tradizionale costituita dall'ex professore e dal suo socio. Un tema quanto mai fondamentale proprio per la trilogia coppoliana, nella quale Michael Corleone passa dal rinnegare i loschi affari del padre e dei fratelli a divenire il boss e che viene esplicitamente citata da Gilligan nel dialogo in cui Walter dice alla consorte di volerla perdonare per il suo presunto tradimento.


In questo quadro di dissoluzione della famiglia tradizionale, intesa principalmente come ancora di salvezza per l'anima, si inserisce naturalmente una più estesa riflessione sui compromessi etici a cui un uomo può scendere pur di realizzare se stesso, pur di raggiungere quell'agognato sogno americano. In tal senso diventa ancor più interessante l'idea originaria del creator di dare vita a una serie con un protagonista portato progressivamente verso la strada del male (da qui il titolo stesso dell'opera), dato che a esso sopraggiungono altre figure in grado di portare alle estreme conseguenze l'idea di anteporre il fine ai mezzi. Il machiavellico Gus Fring, in particolare, grazie anche all'interpretazione misurata e minacciosa allo stesso tempo di Esposito, regala allo spettatore un villain che incarna in pieno le derive più crudeli del capitalismo sfrenato. Un uomo che dietro modi affabili, uno stile di vita pubblicamente modesto ai limiti dello stoicismo nasconde in realtà un impero del crimine che inonda le strade dell'intera nazione con una sostanza pericolosissima, nascondendo peraltro questi traffici con un'attività legale altrettanto discutibile eticamente. In fondo anche il cibo spazzatura che propina con la sua catena di fast food può essere considerato un veleno paragonabile per molti aspetti alla droga che esporta.


Il rinnovato interesse verso l'esplorazione intima di personaggi complessi e sfaccettai trova il proprio apice nella regia del lungometraggio tratto dalla serie, El Camino, completamente incentrato sulla definitiva emancipazione dal padre putativo da parte di Jesse e sul proprio percorso di convivenza con i peccati commessi nel corso di una adolescenza di fatto prolungata ben oltre la durata naturale di questa problematica fase di transizione nel percorso umano.


Se Breaking Bad a quasi dieci anni dalla sua conclusione continua ad affascinare e a rappresentare per milioni di appassionati una delle vette della serialità le ragioni principali risiedono, dunque, nella straordinaria aderenza tra forma e contenuto. Una parabola umanista e crepuscolare al contempo che ha portato sul piccolo schermo il revisionismo del mito fondatore della cultura egemone della nostra contemporaneità, il western, sia nella bellezza delle immagini che nell'onestà dell'indagine psicologica. Un connubio in perfetto equilibrio tra esplorazione del macrocosmo socio-politico americano e del microcosmo di una famiglia-tipo, trafficanti internazionali e uomini o donne che trova la sua ideale sineddoche proprio nei due episodi diretti dal già menzionato Johnson, Fly e Ozyamandias.