Pur senza seguire assiduamente le news legate al mondo del cinema o le dichiarazioni dei diretti interessati, è sufficiente una manciata di inquadrature di The Lighthouse (Robert Eggers, 2019) per comprendere quanta fascinazione nei confronti di Murnau nutra il cinema di Robert Eggers, tra i cineasti americani sotto la soglia del mezzo secolo più apprezzati dagli appassionati, sia di horror, sia di "arthouse". La perfetta chiusura del cerchio circa l'onnipresente reverenza verso il maestro tedesco non può che essere la realizzazione di un remake della sua opera più celebre, motivo per cui il 2024 si chiude negli States con l'arrivo in sala di Nosferatu, che a sua volta inaugura la stagione 2025 delle sale nostrane, con un non così scontato successo di pubblico e recensioni perlopiù positive.
La pellicola, fedele quasi al 100% a quanto visto nel modello originario, vede la coppia di novelli sposini composta da Ellen (Lily-Rose Depp) e Thomas (Nicholas Hoult) Hutter alle prese con una forza soprannaturale che ne sconvolge le esistenze, specie quando si rivela essere in realtà il cliente con cui l'uomo deve firmare un importante contratto di vendita edile, ossia il sinistro conte Orlok (Bill Skarsgard), che intende trasferirsi dalla Transilvania a Wisburg per insidiare la giovane signora Hutter.
Sebbene gli ultimi anni cinematograficamente parlando siano contrassegnati in primo luogo dalla tendenza al remake, siano essi espliciti o nascosti dietro etichette fantasiose come reboot, requel, legacy sequel o addirittura omaggi, pare che pochi cineasti siano in grado di eseguire il compito senza scadere nella stanca reiterazione di quanto già visto o nel blando travaso di una traccia narrativa di base entro i confini degli stilemi più in voga al momento. Eggers, d'altro canto, con il suo Nosferatu mostra fin dalla sequenza d'apertura la volontà di operare una sintesi tra il rispetto, ai limiti della reverenza, nei confronti di un film che ne ha segnato fin dall'infanzia l'immaginario cinematografico e la centralità della propria poetica e del proprio stile, che chiaramente non è insensibile rispetto ad alcuni crismi del panorama attuale. La colonna musica, gargantuesca e minacciosa, così come alcune soluzioni di montaggio e l'uso insistito della profondità di campo a fini orrorifici chiamano in causa il lato più contemporaneo del genere, in special misura quella fetta che si è diffusa a partire dal successo delle prime produzioni A24 che qualcuno etichetta come "elevated horror" con una certa supponenza verso il concetto stesso di orrore filmico. Al contrario l'uso estremamente stilizzato e antinaturalistico di luci e ombre, la staticità della macchina da presa e l'attenzione nei confronti delle possibilità espressive di architetture e scenografie chiamano direttamente in causa l'operato dell'autore di Aurora (Sunrise: A Song of Two Humans, Friedrich Wilhelm Murnau, 1927), certamente con un approccio in parte postmoderno, che gioca con un repertorio di immagini ormai iconico per ottenere un effetto di raffinata nostalgia, ma al tempo stesso dettato da ragioni più prettamente narrative e poetiche.
Fin dal celeberrimo romanzo firmato Bram Stoker, Dracula e il vampiro tout court rappresentano un potente simbolo, in grado, come accade quando una creazione diventa mito, di adattarsi a innumerevoli interpretazioni, tra le quali quella più evidente fin dalle origini resta la reificazione di ciò che, in termini freudiani, si potrebbe delineare come rimosso o, come direbbe Nietzsche, dionisiaco. In un'epoca fortemente divisa tra dialettiche opposte (superficie/profondità, etica/costumi, progresso/conservatorismo ecc.) come quella vittoriana, in seno alla quale peraltro i primi vagiti letterari e artistici intorno al tema del subconscio sfoceranno negli studi della nascente psicoanalisi in territorio austriaco, un essere immortale, che si nutre del sangue dei vivi e mette in crisi qualunque appiglio razionale non può non simboleggiare l'insieme di tutto ciò che la socialità borghese e cristiana ritiene sconveniente, in primis il desiderio sessuale. Come già visto nel corso di The Witch (Robert Eggers, 2015), il regista americano mette in discussione tramite il soprannaturale le fondamenta repressive della cultura occidentale, con particolare attenzione alla situazione femminile, che subisce con maggiore forza i limiti imposti dalla società. Esempio lampante di ciò è proprio la sfera erotica, poiché nella mentalità tradizionale la donna svolge unicamente un ruolo di oggetto del desiderio maschile, finalizzato alla creazione di una famiglia, mentre le naturali pulsioni altrui vengono costantemente represse, al punto da essere addirittura considerate sintomi di malattia mentale quando espresse liberamente. Ecco che Ellen, questa volta parte attiva della relazione di Eros e Thanatos con il vampiro, diviene cuore di questo enorme insieme di spinte interiori e irrazionali che la moralità tenta di celare sotto al tappeto e in tal senso anche il finale, drammaturgicamente identico a quello di Murnau, si pone in scia alle rivendicazioni della potenza del dionisiaco nei confronti dell'apollineo di Eggers, dato che solamente attraverso la soddisfazione delle pulsioni il mondo può liberarsi dalla maledizione del desiderio represso. Persino Thomas, pur essendo privilegiato dal genere biologico, condivide con la consorte la tragica esperienza dello scontro con il Male a causa delle stringenti regole sociali, nello specifico legate alla mascolinità tossica e a una sorta di proporzionalità tra virilità e benessere economico.
Possono far storcere il naso le modalità con cui l'autore sposta tutto ciò che nella lunga tradizione di trasposizioni di Dracula è sempre stato sottotesto verso la superficie, con un didascalismo lontano anni luce dal lirismo di Herzog, ad esempio, ma che, a mio avviso, è perfettamente coerente con il cinema di Eggers, che fa proprio della reificazione del sotteso il fil rouge della propria filmografia. Nosferatu è dunque lo specchio del proprio regista, che piaccia o meno.