lunedì 8 maggio 2023

GUARDIANI DELLA GALASSIA VOL. 3: QUANDO LA FAMIGLIA VA BEN OLTRE IL SANGUE

Parlare di fase calante per l'imponente Marvel Cinematic Universe risulta un eufemismo, specie dopo che, chiusa l'altalenante Fase 4, l'attuale nuovo ciclo narrativo si è aperto con il flop commerciale e critico di Ant-Man and the Wasp: Quantumania (Peyton Reed, 2023), eppure qualcuno sembra riuscire ogni volta a estraniarsi da qualsiasi fenomeno attraversi il più vasto universo gestito da Kevin Feige: mi riferisco a James Gunn e ai suoi film, che hanno sempre vissuto in perfetto equilibrio tra i poli di autorialità e adesione ai canoni imposti dall'alto. Nelle sale di tutto il mondo è appena arrivato Guardiani della Galassia Vol. 3 (Guardians of the Galaxy Vol. 3, James Gunn, 2023), che, dato anche il passaggio del regista al ruolo di presidente della concorrente divisione cinematografica della DC Comics, segna la conclusione di una trilogia unica all'interno del panorama MCU e, non a caso, sia la stampa che il pubblico stanno premiando all'unanimità la pellicola, dimostrando per l'ennesima volta che ad attentare alla vita dei cinecomic non è il genere in sé, bensì la forzata omologazione che tarpa le ali al suo maggior pregio, la sterminata varietà di interpretazioni che permette.

Ambientato almeno inizialmente nella nuova base dei Guardiani, chiamata Ovunque, il lungometraggio segue il disperato tentativo da parte di Peter (Chris Pratt) e dei suoi compagni di salvare la vita di Rocket (Bradley Cooper), gravemente ferito in seguito a uno scontro con il potentissimo essere artificiale Adam Warlock (Will Poulter). Mentre i protagonisti lottano per trovare un dispositivo che salvi la vita all'amico risalendo al luogo in cui è nato, si alternano flashback sul passato dello stesso procione, che mostrano quanto abbia dovuto soffrire sia fisicamente che emotivamente prima di conoscere Groot (Vin Diesel) e gli altri.

In un film, specialmente all'interno del panorama contemporaneo, l'importanza della sequenza d'apertura va spesso ben oltre il semplice tentativo di catturare nell'immediato l'attenzione dello spettatore, così da convincerlo a proseguire la visione, bensì forma una sorta di ouverture che anticipa e al tempo stesso riassume in sé le principali coordinate dell'opera. In questo senso l'opening di Guardiani della Galassia vol. 3 funziona in maniera quasi esemplare: riprende la tradizionale struttura da videoclip con un brano molto noto di musica pop preesistente ma con una notevole variazione rispetto ai precedenti capitoli: alle scanzonate danze e note viste in passato si sostituisce il vagare malinconico di Rocket accompagnato da una versione acustica di Creep dei Radiohead. Un brano simbolo per chiunque si sia sentito almeno una volta nella vita fuori posto, "a weirdo" come cantato da Thom Yorke, che si intona alla perfezione con i sentimenti provati per una vita intera da tutti i membri della sgangherata squadra assemblata da Gunn, ma in particolare per lo scontroso procione dalla voce di Bradley Cooper, messo per la prima volta a nudo in tutta la sua fragilità di esperimento di eugenetica che ha sperimentato qualsiasi forma di dolore prima di scoprire nuovamente la forza dei legami attraverso l'amicizia. Dopo averlo lasciato serpeggiare in maniera velata, il cineasta americano rivela una volta per tutti una netta preferenza per questo personaggio dalle sembianze perennemente in bilico tra umano e animale, rendendolo l'ideale rappresentazione di una mancanza di certezze che colpisce fin troppi di noi in una società che cerca di far sentire fuori posto chiunque non si incaselli facilmente nelle categorie imposteci. Persino le battute tutt'altro che politicamente corrette dei prequel assumono alla luce di quanto mostrato nel corso del film una dimensione estremamente tragica, non però fine a se stessa; anzi la vera forza del racconto, scritto dallo stesso Gunn, a sottolineare il suo status di autore quanto mai libero per gli standard Marvel, si situa in realtà nel dare vita alla più naturale evoluzione e conclusione al percorso iniziato nel 2014: non solo viene finalmente rivelato il trauma che ha reso un reietto anche Rocket ma soprattutto i Guardiani assumono definitivamente il ruolo di grande famiglia interstellare pronta ad abbracciare qualunque freak cerchi un proprio posto. Dall'eterno insicuro Kraglin (Sean Gunn) fino al potentissimo ma spaesato Warlock, tutti trovano comprensione, fratellanza e unione di intenti nella squadra formata da Peter Quill, che da bravo leader e padre putativo capisce bene quando è tempo di lasciare che i suoi figli spicchino il volo senza la sua ingombrante ala protettrice, potendo di conseguenza dedicarsi ai propri traumi rimasti in sospeso.

A una narrazione davvero all'altezza della chiusura di una trilogia di rara coerenza per il genere in questione corrisponde un altrettanto efficace comparto estetico, nel quale spicca una connivenza tra effetti pratici e digitali che tradiscono l'amore dell'autore di Slither (James Gunn, 2006) per Star Wars ma, prima di tutto, rendono ben più vivi e tangibili gli strambi personaggi che popolano le avventure intergalattiche che porta su schermo, mentre un virtuoso piano sequenza con repentini cambi di ritmo in stile Zack Snyder appagano anche l'occhio dei fan dall'azione pura. In attesa di scoprire se lo strampalato stile che contraddistingue il cinema di Gunn possa adattarsi anche alla magniloquenza di Superman, Guardiani della Galassia vol. 3 chiude perfettamente un cerchio e ci ricorda ancora una volta quanto i supereroi abbiano ancora da dire al cinema, specialmente in sala.