mercoledì 18 gennaio 2017

IL PIANETA DEL TESORO: L'INCOMPRESA SPACE OPERA DISNEY

Nato da un'intuizione risalente addirittura al 1985 e già messa in scena, almeno in parte, da Antonio Margheriti con lo sceneggiato ad alto budget per la RAI L'isola del tesoro, Il pianeta del tesoro (Treasure Planet) è un film d'animazione prodotto dalla Disney diretto dagli artefici della rinascita della casa di Topolino tra gli anni 80 e 90 Ron Clement e John Musker (The Great Mouse Detective, 1986; Aladdin, 1992; Hercules, 1997). La pellicola richiede per il suo completamento molti anni di lavoro e soprattutto un budget spropositato per l'epoca, ben centoquaranta milioni di dollari, dovuto all'enorme impiego tecnologico richiesto per accoppiare alla perfezione il disegno tradizionale alla CGI. Il risultato viene apprezzato, in realtà neanche troppo, dalla critica ma il pubblico, ormai rapito dalla moda dei film realizzati completamente in computer grafica come Shrek (Andrew Adamson, Vicky Jensen; 2001), ne decreta un completo disastro al box office, una disfatta tale da far accantonare il progetto già avviato di un sequel e bloccare per anni i due cineasti.

La trama ricalca a grandi linee il famoso romanzo d'avventura L'isola del tesoro (Treasure Island) realizzato da Robert Louis Stevenson nel 1883 cambiandone però l'ambientazione: le avventure piratesche del protagonista vengono trasportate in un imprecisato futuro in cui la tecnologia si mescola a elementi retrò (si pensi alle astronavi a forma di velieri) e così l'isola diventa un pianeta da raggiungere attraverso un viaggio avventuroso nello spazio. Il protagonista Jim è un adolescente cresciuto con il mito del tesoro del pirata spaziale Nathaniel Flint, ha grande talento con i motori e la tecnologia ma anche altrettanta indisciplina e insicurezza, dovuti in gran parte all'abbandono subito dal padre quando era ancora un bambino. La sua vita subisce una svolta quando si impossessa casualmente della mappa per il tesoro su cui fantasticava da piccolo e così decide di salpare alla sua ricerca accompagnato da un amico di sua madre, l'astrofisico dottor Doppler, il quale assolda una ciurma capitanata dall'arcigna Amelia e di cui fa parte il cyborg John Silver, pirata con cui il giovane instaura un particolare rapporto.

Fin dalla scelta dell'ambientazione Il pianeta del tesoro dimostra di essere ben lontano dai canoni disneiani, tanto da ricordare sia per stile che per narrativa la più famosa delle space opera in live action: quel Star Wars (Star Wars: Episode IV - A New Hope, George Lucas, 1977) con il quale condivide un universo spaziale dalle tecnologie più disparate, numerose razze aliene multiformi e il viaggio di formazione di un giovane protagonista, poco incline alla disciplina ma dalle grandi potenzialità, durante il quale trova nel proprio mentore quella figura paterna che cercava. Attraverso questo paragone ho introdotto proprio il tema portante dell'avventura messa in scena dalla coppia di registi, quel rapporto padre-figlio che si instaura tra Jim e Silver. Nonostante i due sappiano di non potersi fidare l'uno dell'altro inizialmente (il precedente padrone della mappa, Billy Bones, prima di morire aveva rivelato al ragazzo di non fidarsi di un cyborg) stando a stretto contatto finiscono per affezionarsi a tal punto da mettere a repentaglio il piano del pirata di impadronirsi del favoloso tesoro, il sogno che per tutta la vita aveva inseguito a discapito di tutto e tutti. Certamente non è il primo rapporto di questo tipo che viene rappresentato al cinema e non solo ma la genuinità con il quale si sviluppa non può non catturare lo spettatore, grazie alle caratterizzazioni tutt'altro che banali dei personaggi, alla qualità delle animazioni e a sequenze di straordinaria potenza emotiva, come quella accompagnata dal più che calzante brano I'm Still Here, scritto e interpretato dal leader dei Goo Goo Dolls John Rzeznik.

Se la navigazione intergalattica e i personaggi rappresentati nel lungometraggio appassionano gli spettatori di tutte le età bisogna ammettere che il vero fiore all'occhiello resta l'aspetto visivo, un gioiello forgiato dall'enorme qualità dei disegni animati artigianalmente, della CGI sbalorditiva per l'epoca e sopra ogni cosa per la regia sopraffina, ricca di movimenti di macchina quasi impensabili per un film d'animazione; un risultato fortemente voluto dalla coppia Clement/Musker e per il quale hanno saputo aspettare il giusto grado di maturazione delle tecnologie occorse. Un'attesa ripagata da uno spazio vivo, di una tridimensionalità che trasuda vitalità da tutti i pori e illuminato da stelle e galassie realizzate con una tale vivida immaginazione da estasiare il palato del romantico sognatore che vive dentro ogni amante dell'arte, il tutto accompagnato dalle splendide musiche di James Newton Howard, la cui colonna musica richiama la musica per film della Hollywood classica (si pensi a Max Steiner) per poi fondersi con sonorità contemporanee e pop, proprio come l'universo narrato si compone per il 70% di elementi tradizionali e al 30 di quelli fantascientifici.
In conclusione Il pianeta del tesoro, nonostante lo status di cult conseguito negli ultimi anni, resta una delle opere maggiormente incomprese nel cinema d'animazione e non solo, causata da un cattivo tempismo a dispetto delle mode correnti e probabilmente anche dalla poca considerazione artistica allora attribuita dal grande pubblico alle produzioni animate, ritenute ancora semplici operazioni per bambini; un problema in realtà ancora attuale ma che inizia trovare spiragli di luce grazie al coraggio di pellicole come quella appena analizzata.

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