domenica 22 gennaio 2017

BITTERSWEET LIFE: UN ATTIMO, UN SOGNO DI PERFEZIONE

Nel pieno di quel periodo compreso tra i primi anni del terzo millennio che ha visto un improvviso quanto, purtroppo, fugace invaghimento dell'occidente nei confronti del cinema sudcoreano (si pensi all'esplosione a Cannes del fenomeno Park Chan-wook) Kim Jee-woon (Two Sisters, 2003; Il buono, il matto, il cattivo, 2008) presenta fuori concorso proprio all'edizione del 2005 del festival francese Bittersweet Life. La pellicola, che conferma la volontà del suo autore di esplorare e dare una propria rilettura ai maggiori generi cinematografici occidentali, ottiene immediatamente il plauso della critica europea e americana e segna l'esplosione definita dell'amore nei suoi confronti da parte dei cinefili appassionati di cinema asiatico, infatuazione sbocciata già con la precedente incursione nell'horror psicologico.

La trama della pellicola appare, almeno fino al poetico finale, piuttosto pretestuosa, quasi una voluta esibizione dei luoghi comuni tipici del genere noir: Sun-woo (Lee Byung-hun in un ruolo che sembra essergli stato cucito addosso) lavora ufficialmente come manager di un elegante hotel ma al tempo stesso lavora a stretto contatto con un boss della malavita. Questi gli affida un lavoro alquanto bizzarro, ossia sorvegliare, accompagnare in giro per tre giorni la giovane di cui il gangster si è innamorato e nel caso scoprisse che la ragazza lo tradisse sistemare il problema da vero scagnozzo. Il protagonista, un uomo che fin dalla prima sequenza si mostra freddo e implacabile, nei pochi momenti in cui resta accanto a He-soo (Shin Min-a) comincia a mostrare un lato emozionale finora rimasto nascosto, al punto da decidere di non uccidere la donna del boss nel momento in cui scopre la sua relazione con un coetaneo. Questa apertura alla propria umanità porterà a conseguenze fatali per l'uomo.

Da tale breve sinossi appare chiaro come Bittersweet Life giochi con i topoi del noir visto che non ne rifugge neanche uno, dalla "femme fatale" che segna il destino tragico del protagonista agli immancabili ambienti mafiosi che sembrano determinare la vita intera della città, rappresentata nei suoi aspetti più oscuri e malfamati. Cosa rende allora la pellicola una gemma pregiata capace di distinguersi dai suoi predecessori? Sicuramente la risposta più immediata e inoppugnabile è l'aspetto formale. La regia dell'autore di I Saw the Devil (2010) mette in mostra un talento visivo impressionante, una ricchezza di movimenti e angolature della mdp che rendono ogni inquadratura una lezione di cinema, al punto da raggiungere una perfezione estetica che rende ancora più potente il potere significante della sequenza finale accennata in precedenza.

Le scelta di espandere a dismisura il lato visivo del lungometraggio lasciando invece nel territorio del repertorio la narrativa trova proprio il suo senso nella suddetta conclusione, la quale svela definitivamente il carattere onirico di tutto ciò che l'ha preceduta (cosa già anticipata, anche se in maniera oscura, dalla voce over nell'incipit), un lungo sogno in cui Sun-woo ha fatto esperienza di cosa si prova a vivere come un vero essere umano, a soffrire realmente e persino a essere felice per alcuni brevi attimi. Proprio i fragili frammenti di felicità vissuti dall'uomo nello stare accanto a He-soo diventano un sogno nel sogno (perdonate la mia interpretazione nolaniana) il cui effetto devastante su un'intera esistenza viene sintetizzato nella struggente penultima sequenza e, soprattutto, nel secondo intervento della voce over a proposito del sogno dell'allievo.

In definitiva a mio parere la pellicola diretta da Kim Jee-woon risulta ben più della visione estetizzante del noir da parte del suo autore, come molti critici hanno affermato, e gli indizi a sostegno della mia interpretazione sono molti, a partire dai monologhi sul maestro e sul suo allievo, passando per le numerose inquadrature di specchi o altre superfici riflettenti (evidenti simboli di differenti piani del reale) e per finire con l'emblematica sequenza di chiusura.
Fatemi sapere se siete d'accordo o meno con questa mia lettura.

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