sabato 28 dicembre 2019

DOMINO: LESA MAESTÀ AI TEMPI DEL POST-CINEMA

Quanto meno per chi ha superato i trent'anni Brian De Palma è sinonimo di cinema, persino per coloro che non vivono con profonda passione il mondo della settima arte. Uno dei pochi autori esplosi durante la New Hollywood ad aver girato grandi successi anche negli anni Ottanta e Novanta, seppur con alcune debacle. Oggi, nell'epoca di quello che molti chiamano post-cinema, nell'epoca dello streaming e della serialità televisiva applicata anche al grande schermo, la parabola dell'autore di Blow Out (1981) è in caduta libera; le sue ultime produzioni si situano ben distanti dai grandi budget hollywoodiani di un tempo e molti ragazzi pensano al massimo che sia un parente di un rapper nostrano. Non sorprende dunque che la sua ultima fatica , Domino (2019), sia una co-produzione europea in cui il cineasta statunitense non ha potuto avere il minimo controllo sul montaggio, portandolo per la prima volta a disconoscere pubblicamente una sua creatura. L'aneddotica è piena di casi in cui un regista, a causa dei problemi riscontrati sul set, finisce per rinnegare una propria opera e raramente la ricezione di questo tipo di lavori si rivela positiva. Questo caso in particolare non fa eccezione: stroncato dalla critica, snobbato dal pubblico ma è davvero così terribile Domino? Possibile che non vi sia alcuna traccia della maestria depalmiana al suo interno? Scopriamolo.

Ambientato prevalentemente in Danimarca, il film vede al suo cuore la caccia a una cellula dell'Isis scatenata dall'omicidio del poliziotto Lars Hansen (Soren Malling), avvenuto durante il tentativo di arresto del sospettato di omicidio Ezra Tarzi (Eriq Ebouaney). Le circostanze che hanno portato alla morte dell'uomo fanno sì che il suo partner e amico, l'agente Christian Toft (Nikolaj Coster-Waldau), si senta responsabile e che di conseguenza dia inizio a una caccia all'uomo in giro per l'Europa, durante la quale, accompagnato della collega Alex (Carice van Houten), verranno a galla intrighi di potere e verità scomode che riguardano anche la vita privata del defunto Lars.

Elimino subito ogni dubbio sulla prima domanda che sorge spontanea conoscendo le vicissitudini della produzione di Domino: gli effetti dei dissidi si sentono eccome, in particolare per la durata esigua della pellicola che porta ad avere un finale davvero sbrigativo e poco epico subito dopo una sequenza di eccezionale dilatazione temporale, sulla quale poi tornerò a soffermarmi. Senza utilizzare troppi giri di parole si avverte eccome il problema legato al montaggio, specialmente se si rapporta il film a quel Mission: Impossible (1996) con cui condivide molti elementi narrativi ed estetici, eppure, tornando alle domande poste in precedenza, la mano di De Palma emerge anche in mezzo alle sterpaglie appena descritte.
Esplorando la pellicola innanzitutto sul versante squisitamente formale i vezzi, le inquadrature e i movimenti di macchina che hanno dato vita alla fama di virtuoso dell'autore di Scarface (1983) sono ben presenti anche nel lungometraggio in analisi, basti pensare ai celebri split-screen e alla già menzionata sequenza pre-finale ambientata in Spagna. Quest'ultima, in particolare, rappresenta una vera e propria lezione su come creare la hitchcockiana suspense utilizzando i principi cardine della settima arte, immagini, montaggio e colonna musica. Attraverso un sapiente ricorso al montaggio alternato, i cui raccordi vengono rafforzati dalla sinergia perfezionata in anni di collaborazione con l'accompagnamento musicale di Pino Donaggio, il regista trasforma pochi minuti di contemporanea caccia ai terroristi da parte di Christian e Alex in una lunghissima e tesissima immersione subacquea in cui il fiato dello spettatore viene portato al limite estremo. Una di quelle sequenze che valgono il film, come si suole dire. A questo momento di suspense estrema si aggiungono numerose altre tracce del cinema depalmiano, come altri dei suoi tipici omaggi ad Alfred Hitchcock (si pensi alla scena dello scontro sui tetti tra il protagonista ed Ezra, ricca di rimandi a Vertigo, girato dal Maestro nel 1958) e soprattutto la moltiplicazione degli schermi, ottenuta sia tramite split-screen che attraverso le riprese in profilmico di strumenti di cattura dell'immagine tipici della contemporaneità quali videocamere a circuito chiuso, camere digitali e webcam.
A proposito di questa presenza ricorrente, ossessiva, di strumenti di ripresa, volendo passare dal piano estetico a quello poetico, il cinema nel cinema e il tema carissimo all'ultimo De Palma dell'onnipresenza di un voyeristico sguardo che controlla la vita di ogni singolo individuo tramite le apparecchiature digitali tornano prepotentemente all'interno della sua ultima pellicola. Proprio come in Blow Out, Femme Fatale (2002) e Passion (2012) omicidi in quanto espressione di esplosioni di crudeltà vengono sempre registrati attraverso supporti tecnologici tipici della settima arte, portando alla luce l'ambiguità etica delle motivazioni che rendono così affascinanti tali strumentazioni e, in particolare, la possibilità dell'occhio (o dell'udito) di dare vita a una versione aliena della realtà. Un mondo altro incorniciato all'interno dei limiti orizzontali e verticali dell'obbiettivo di una videocamera montata sul mitra di una terrorista, per esempio, che si tramuta così in un'arma che terrorizza persino più del mitra stesso. De Palma, autore non a caso di tanto cinema horror e thriller, conosce bene la potenza delle immagini sullo spettatore e per questo utilizza nuovamente la ripresa all'interno della ripresa per intensificare il disagio e l'orrore del pubblico nei confronti delle spietate azioni degli uomini dell'Isis, a loro volta ben consci di questi meccanismi che sfruttano ogni volta che riprendo e pubblicano online i video in cui decapitano una delle loro vittime. Torna dunque a farsi elemento cardine della riflessione del cineasta di origini italiane quel connubio formato da cinema nel cinema, strumenti di ripresa con forte connotazione realistica e umana crudeltà che avevano reso Redacted (2007) uno dei film più importanti del post-11 settembre e in generale della contemporaneità. 

Purtroppo i tanti tagli non gestiti in prima persona da De Palma, così come la recitazione spesso approssimativa dei protagonisti, impediscono a Domino di ergersi tra i migliori frutti di una filmografia straordinaria, ciononostante alle domande da me poste a inizio articolo rispondo così: ci troviamo dinanzi a una pellicola capace di appassionare, ricca di spunti formali e tematici tipici del suo regista e girata come raramente accade all'interno dell'attuale panorama action-thriller. Certamente i rimpianti per quello che sarebbe potuto essere restano, così come l'amarezza per come possa cadere nell'oblio uno dei maestri del cinema mondiale ancora in vita. Un reato di lesa maestà che evidenzia quanto questa realtà odierna consumi in fretta qualsiasi cosa, persino uomini e artisti.

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