sabato 4 gennaio 2020

LA PARANZA DEI BAMBINI: LA PERDITA DELL'INNOCENZA TRA BILDUNGSROMAN E NEO-NOIR

Il caso Gomorra (Matteo Garrone, 2008), con la sua filiazione transmediale, ha evidentemente portato all'esplosione, all'interno del già fecondo neo-noir italiano, di un sottogenere di ambientazione campana in cui si sono cimentati, a cavallo degli anni Dieci del terzo millennio, alcuni tra i migliori cineasti italiani contemporanei. A essi si aggiunge nel 2019 Claudio Giovannesi, autore, proprio a partire da un altro romanzo scritto da Roberto Saviano, di La paranza dei bambini, presentato a Berlino e vincitore dell'Orso d'argento per la miglior sceneggiatura. Inevitabile il confronto, specialmente da parte del pubblico, con il succitato capolavoro diretto da Garrone ma scopriamo perché questo film è tutt'altro che un Gomorra 2.0.

Ambientata principalmente nel Rione Sanità di Napoli, la pellicola segue la improvvisa e inesorabile ascesa/discesa criminale di un gruppo di quindicenni, guidato da Nicola (Francesco Di Napoli), figlio della titolare di una lavanderia costretta a consegnare puntualmente quel poco che guadagna agli sgherri del boss di quartiere. Consapevole di non poter trovare altra via per guadagnare denaro rapidamente il ragazzo prima entra nella cosca egemone e poi, insieme ai suoi amici, conquista il potere nel momento in cui lo stesso boss viene arrestato. Nicola imparerà a spese sue e di chi ama però che la scalata al potere pretende dei sacrifici.

Claudio Giovannesi ha sì diretto alcuni episodi di Gomorra - La serie (Roberto Saviano, 2014-) ma fin dal prologo appare evidente come La paranza dei bambini sia ben più vicino al lungometraggio Fiore (2016) che non allo stile fortemente di genere proprio del serial televisivo. La pellicola, fin dalla scelta di concentrarsi su un gruppo di ragazzini inizialmente estraneo al sottobosco criminale, opera un distanziamento netto sia a livello formale che narrativo, portando all'interno del milieu e del genere neo-noir napoletano le istanze ormai consolidate del cinema di Giovannesi. Proprio come nelle opere precedenti, l'autore filma un lavoro di fiction adoperando un registro linguistico tipico del documentario, come dimostra il ricorso costante al piano sequenza con camera in spalla. Nicola, protagonista assoluto dell'intreccio, viene pedissequamente seguito dall'occhio della cinepresa con piani sempre molto ravvicinati, tra i quali spiccano non a caso soggettive e semisoggettive che aumentano il senso di aderenza dello spettatore alle vicende e la centralità dello sguardo del giovane. Se Gomorra, con la sua moltiplicazione di storie e di personaggi, rappresentava il primato del collettivo rispetto all'individuo, ormai privato di un reale libero arbitrio dall'ambiente tossico nel quale si trova a vivere, La paranza dei bambini mette il singolo al cuore della narrazione e persino la sua gang di amici e complici finisce per diventare diretta emanazione della personalità del protagonista. Questo non significa che Biscottino, Tyson e gli altri (non casualmente privati dei loro reali nomi) siano personaggi privi di alcuna psicologia o aderenti soltanto a un determinato carattere, bensì ognuno di essi finisce per espandere e gettare una luce più netta sulle sfaccettature dietro il volto angelico di un teenager che in breve tempo diventa un boss della camorra. Nicola stesso in una delle prime sequenze del film, quando incontra, innamorandosene all'istante, Letizia, sottolinea di essere un bravo ragazzo e il fastidio che prova dinanzi alla richiesta del pizzo alla madre da parte di due guappi mette in chiaro come questi sia in principio un adolescente uguale in tutto e per tutto a quelli che, magari dopo aver finito il liceo classico, si laureano a pieni voti per la gioia di mamma e papà. Ed ecco la parola chiave dell'intera pellicola: papà. Nell'appena menzionata sequenza si evince per la prima volta come il protagonista viva senza un padre, così come privi di genitori appaiono i suoi amici e in particolare i fratelli Striano: proprio con uno dei due, Agostino, Nicola instaura un'amicizia fulminea, una sorta di colpo di fulmine (un certo sottotesto omoerotico non è certamente trascurabile) che scatta sotto il segno del comune peso dell'assenza paterna. Agostino è figlio di un boss che viene solamente evocato, un boss sinonimo di un passato glorioso ma ormai ammuffito e che sembra portare solamente problemi alla progenie. La mancanza di un modello maschile di riferimento o più in generale di un genitore forte accomuna in prima istanza il rampollo degli Striano e il protagonista ma è una condizione che si estende, in modo più o meno letterale, a tutti i ragazzi della paranza. In questo senso la scalata ai vertici del crimine degli stessi assume contorni ibridi, assimilabili sia ai codici del genere crime tanto caro a Scorsese e De Palma che al romanzo di formazione. Gli echi del gangster crepuscolare raccontati in Carlito's Way (Brian De Palma, 1993) si fondono con il racconto del passaggio cruciale dall'infanzia all'età adulta senza un padre come modello di riferimento tipico del cinema spielberghiano, senza mai perdere quella dimensione documentaristica, sia formale che poetica, a cui accennavo precedentemente.

Giovannesi (autore della sceneggiatura insieme proprio a Saviano) utilizza dunque un ampio repertorio stilistico e narratologico, capace di abbracciare estremi apparentemente lontanissimi della cinematografia mondiale, non per creare un ennesimo e comunicativamente sterile pamphlet antimafia, bensì per catapultare lo spettatore all'interno di uno dei tanti possibili racconti su come un ragazzino, in un ambiente in cui la cultura è sinonimo di esibizione di mobilio pacchiano all'interno della villa di un camorrista, sia destinato a perdere irrimediabilmente la propria primigenia innocenza, in luogo di un patto diabolico con la criminalità. L'unica possibile strada offertagli dai soli rimpiazzi di un padre che conosca, un boss ai domiciliari.

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