lunedì 20 gennaio 2020

LIKE CRAZY: ANATOMIA DI UN AMORE CONTEMPORANEO

Il Sundance Film Festival ha lanciato nel corso degli anni molti giovani talenti provenienti dalla scena indipendente statunitense, alcuni dei quali divenuti autori ben riconosciuti a livello globale mentre altri continuano a cercare una propria dimensione stabile. Più o meno a metà tra queste due categoria si potrebbe collocare Drake Doremus, autore di pellicole che non sono ancora riuscite a fare breccia nel pubblico generalista ma che nel 2013 colpì profondamente il festival fondato da Robert Redford con Like Crazy, suo secondo lungometraggio. Girato con un budget davvero irrisorio per gli standard hollywoodiani il film conquistò la critica americana, lanciò la carriera da star di Felicity Jones e portò una credibilità nuova al compianto Anton Yelchin.

La pellicola segue, nel corso di alcuni anni, l'evoluzione della storia d'amore sbocciata all'università tra Jacob (Anton Yelchin) e Anna (Felicity Jones). Quello che sembra un idillio perfetto viene però bruscamente interrotto dalla burocrazia americana, che impedisce alla ragazza, di cittadinanza inglese, il ritorno negli USA a causa della violazione dei termini del permesso di soggiorno durante l'estate che i due innamorati hanno passato insieme. La distanza forzata costringe la coppia a separarsi, a provare a vivere due vite distinte ma con la consapevolezza di essere ancora importanti l'uno per l'altro.

L'amore non è certo un tema nuovo al cinema, per usare un eufemismo, eppure raramente capita di vederlo sul grande schermo così vicino al vissuto dello spettatore, specialmente se in quella fascia d'età compresa tra i venti e i trent'anni. Like Crazy ribalta i topoi della commedia romantica classica avvicinando la propria disanima del rapporto di coppia a un modello cinematografico rintracciabile nella trilogia di Richard Linklater iniziata con Prima dell'alba (Before Sunset, 1995). Doremus, rievocando esperienze autobiografiche, dona vita a una narrazione partorita dall'unione tra una sceneggiatura quasi del tutto priva di dialoghi e l'apporto drammaturgico dei suoi attori protagonisti, in maniera non dissimile da quanto fatto dal cineasta di Houston. Attraverso questa metodologia di scrittura i personaggi di Jacob e Anna risultano estremamente naturali e il loro feeling come coppia produce un'empatia da parte del pubblico molto potente, amplificata dall'uso insistito di inquadrature ravvicinate, come se la cinepresa divenisse essa stessa un prolungamento dei corpi e degli occhi dei due giovani. A tal proposito l'autore di Equals (2015) rinuncia a cineprese professionali in favore di fotocamere reflex, ben più agili e in grado di donare alla fotografia del film un look che ricorda le riprese private che tutti noi utilizziamo per immortalare momenti particolarmente importanti della nostra vita, specialmente quando si tratta di relazioni sentimentali. Una scelta estetica che allontana l'opera dal modello citato, così come l'ampio ricorso a jump cut ed ellissi temporali completamente opposte al concetto di unità cronologica e topologica della trilogia con protagonisti Ethan Hawke e Julie Delpy.
Proprio spazio e tempo diventano nel corso del lungometraggio fattori fondamentali: la romance tra Jacob e Anna viene esplorata nel corso di un periodo temporale ampio e la sua evoluzione viene letteralmente segnata dalla dimensione spaziale. La distanza forma un primo ostacolo all'amore che lega i due, portandoli a prendere strade divergenti, a conoscere nuove persone e forme di autorealizzazione senza però che riescano mai a dirsi davvero addio. Una situazione paradossale in cui, inevitabilmente, con lo scorrere del tempo il sentimento finisce per assumere le forme dolorose del suo ricordo, dando vita così a un finale aperto da cui traspare tutta l'amarezza nei confronti di un fato avverso. Un destino che, come purtroppo quasi tutti noi sappiamo, spesso porta l'amore a vivere una parabola discendente di questo tipo, resa nel caso dei personaggi splendidamente interpretati da Anton Yelchin e Felicity Jones ancor più tragica dall'intervento di elementi esterni (con tanto di velata ma non troppo critica alle leggi sull'immigrazione americana post-11 settembre).

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