sabato 17 febbraio 2024

MAESTRO: L'INSONDABILE MISTERO DELL'UOMO DIETRO L'ARTISTA

Dopo aver lottato per anni contro la reputazione di attore più bello che talentuoso (perché purtroppo certi pregiudizi sono duri a morire anche nel terzo millennio), Bradley Cooper ha dimostrato nel 2018 con A Star is Born di poter destreggiarsi con ottimi risultati anche dietro la macchina da presa, tanto che nel 2023 eredita il testimone di nomi del calibro di Martin Scorsese e Steven Spielberg per la regia di Maestro. La pellicola, finanziata da Netflix con i due summenzionati cineasti nel ruolo di produttori, è attualmente candidata a ben sette Academy Awards, a conferma di un gradimento universale di critica e pubblico.


Il film racconta, in flashback, la relazione più che trentennale tra Leonard Bernstein (Bradley Cooper), compositore e direttore d'orchestra di enorme successo, e Felicia Montealegre (Carey Mulligan), attrice di Broadway che trova la sua fortuna nella nascente televisione. Tra i due nasce un'immediata complicità che li porta al matrimonio e dare vita a una famiglia numerosa, nonostante l'omosessualità del musicista, che la compagna conosce molto bene e asseconda, almeno fino a quando le innumerevoli relazioni extraconiugali cominciano a pesarle fin troppo.


Maestro fin dalla citazione dello stesso Bernstein dichiara programmaticamente di non voler fornire, come succede con i più classici biopic, delle risposte a chiunque nutra un certo interesse verso un personaggio storicamente rilevante, bensì intende mettere in scena domande e contraddizioni che scaturiscono dalla sua vita. L'unica vera certezza che permea il lungometraggio, difatti, è un senso di dualità costante, a partire chiaramente dalla sessualità del protagonista, la cui propensione per gli uomini viene espressa già dalla sequenza d'apertura, per poi venire problematizzata dalla successiva frequentazione con Felicia, che viene narrata con tutti gli strumenti del musical a tema amoroso. L'intesa che nasce tra i due non preclude mai l'attrazione del compositore per i tanti amanti con cui si intratteneva in precedenza, tra cui il clarinettista dal volto tristemente innamorato di Matt Bomer, ma al contempo Cooper non risolve mai questa singolare situazione in una banale dicotomia manichea tra affetto platonico verso la moglie e passione carnale nei confronti degli uomini. Le continui ellissi sul lato più erotico dell'amore, tanto da non mostrare mai Leonard alle prese con atti sessuali, conferma invece la volontà di non scadere in semplificazioni atte a dare risposte al pubblico, così da rendere giustizia a tutta la complessità insita nell'animo umano, specie in quello di figure pubbliche.
All'insegna della dualità è anche lo spazio narrativo riservato ai personaggi, i quanto Felicia è centrale per il racconto esattamente quanto il consorte, al punto da determinare i confini dello stesso sia nell'incipit che nella chiusura, così come il rapporto tra Bernstein e la fama, che ricerca ossessivamente per una sorta di fobia della solitudine ma che ne frena anche la vena creativa, con quel desiderio di comporre che finisce per scontrarsi prima con i pregiudizi del mondo accademico e poi con le richieste incessanti di esibizioni da parte del mercato.


Il vero punto di forza dietro questa precisa scelta registica di Cooper risiede però nella forma, che, come nel grande cinema, esprime in primo luogo quanto appena sottolineato senza dover ricorrere costantemente alle parole. La prima parte del film, infatti, viene girata in un bianco e nero sognante, dove spesso la realtà e i mondi immaginari partoriti dalla musica del protagonista si fondono attraverso soluzioni illuministiche e compositive felliniane. Questo idillio iniziale viene progressivamente a incrinarsi con l'avvicendarsi degli anni di matrimonio, come evidenzia l'aspect ratio quadrangolare che ingabbia i personaggi esattamente come le finzioni che tengono insieme la loro relazione, mentre anche il bianco e nero cede il passo ai colori, che segnano la cesura definitiva al sogno perfetto in cui si erano incontrati Leonard e Felicia. In un'opera all'insegna dei non detti, di silenzi riempiti spesso solamente dalle note di un pianoforte o di un'orchestra che prevalgono su qualsiasi spiegazione a parole, il cineasta del Pennysilvania dimostra di aver appreso la lezione dei suoi maestri accreditati come produttori, lasciando che siano le immagini e tutte le infinite possibilità espressive offerte dalla grammatica filmica a comunicare con gli spettatori, allo stesso modo in cui Bernstein comunica tutto il suo, seppur discontinuo e complesso, amore alla consorte in una potentissima esibizione dal vivo, che suggella anche il profondo lavoro di Cooper nel calarsi nei panni del direttore d'orchestra di origini ebraiche.


A Star is Born aveva acceso la luce su una promettente carriera da regista dell'ormai ex stella di Una notte da leoni (The Hangover, Todd Phillips, 2009) ma Maestro è la conferma di trovarsi dinanzi a un nuovo autore tra le grandi produzioni hollywoodiane.