venerdì 29 dicembre 2023

FALCON LAKE: LO SPETTRO DEL PRIMO AMORE

Non di rado attori e attrici passano dall'altro lato della cinepresa, talvolta con risultati discreti ma dimenticabili, specialmente quando dirigono se stessi, in altri casi però riescono a dimostrare una visione tanto personale da fare invidia a numerosi registi con anni di esperienza alle spalle. Di questa categoria fa senza dubbio parte Charlotte Le Bon, che dopo aver recitato in notevoli produzioni internazionali debutta alla regia di un lungometraggio con Falcon Lake. Presentato all'edizione 2022 del Festival di Cannes, il film ottiene il plauso unanime della critica, compresa quella italiana, mentre il pubblico nostrano può recuperarlo da qualche mese in streaming tramite Rai Play.


Protagonista della pellicola è Bastien (Joseph Engel), tredicenne francese in vacanza in Canada con la famiglia, grazie alla quale conosce Chloé (Sara Montpetit), più grande di tre anni ma con cui instaura in breve tempo un rapporto molto speciale dopo aver parlato del presunto fantasma che aleggia sul lago intorno al quale trascorrono le vacanze estive.


Dall'ormai lontano XVIII secolo, grazie al più noto romanzo scritto da Goethe, la narrativa ha iniziato a interessarsi sempre di più al processo di maturazione degli adolescenti, dando vita a quel genere denominato romanzo di formazione o Bildungsroman. Falcon Lake rientra appieno in questo tipo di racconto, in special misura per quanto concerne la scoperta dell'amore. Materiale dunque tutt'altro che nuovo ma che, come ci insegnano i maestri dell'arte di raccontare, può sempre colpire il pubblico per il modo in cui queste esperienze così vicine a tutti noi vengono messe in scena. Le Bon, nonostante sia alla sua prima prova registica, dipinge, quasi letteralmente, un'opera di raro lirismo, chiaramente figlia di precedenti cantori dell'adolescenza come Rohmer o Truffaut ma in grado di divincolarsi dal semplice manierismo tramite un'interessante commistione con atmosfere e persino elementi narrativi tipici del gotico anglosassone. La plumbea luce che emana l'ambiente del lago, così caro anche ad autori ottocenteschi quali Coleridge e Mary Shelley, così come i costanti riferimenti a presunte presenze fantasmatiche, donano al lento e inesorabile sviluppo di un sentimento in grado di legare fortemente Bastien e Chloé, al netto delle tante differenza caratteriali e di modi di vivere, un retrogusto tetro. La morte sembra aleggiare sempre dietro l'angolo, aumentando anche il senso di urgenza e precarietà tipico del primo amore, che per quanto potente e sconvolgente possa essere vive sempre su un sottilissimo filo, finendo quasi sempre per esaurirsi in un tempo tanto breve quanto impossibile da dimenticare. 


Per esprimere al meglio questo singolare coming of age gotico la cineasta franco-canadese opta per un approccio totalmente distante dalla visione hollywoodiana del filone, privilegiando i silenzi allo sproloquio, la luce naturale, persino nelle sequenze notturne, all'illuminazione posticcia di tanti teen movie e una coppia di attori protagonisti estremamente credibili, sia per età che per la capacità di rendere palpabile tutta la frenesia erotica della scoperta di sé. Il climax con cui i due si avvicinano sempre di più viene scandito anche da un crescendo dal punto di vista fisico, proprio a sottolineare quanto sensoriale, tattile e misterioso sia l'innamoramento tra ragazzi, come evidenziato dall'insistenza sui morsi alle mani o dai tanti contatti fisici precedenti alla vera e propria esperienza sessuale tra Bastien e Chloé.

Se il buongiorno si vede dal mattino Falcon Lake rappresenta il migliore degli auspici possibili per la carriera da cineasta di Le Bon, avendo diretto uno dei migliori racconti di formazione girati da anni e un'opera prima da ricordare a lungo.

mercoledì 27 dicembre 2023

REBEL MOON - PART ONE: A CHILD OF FIRE: I MAGNIFICI SETTE ARTURIANI NELLO SPAZIO SIDERALE

Chiusa una fase quantomeno turbolenta come quella dell'ormai defunto DCEU, Zack Snyder collabora oggi assiduamente con Netflix, che, grazie ai buonissimi risultati ottenuti dal regista con Army of the Dead (2021), gli concede totale (o quasi) libertà nella realizzazione di un progetto decennale, una space opera chiamata Rebel Moon. Inizialmente l'idea nasce come possibile spin-off ambientato nel franchise di Star Wars, pensata per offrirne una visione maggiormente indirizzata al pubblico adulto, in maniera non dissimile da Rogue One: A Star Wars Story (Gareth Edwards, 2016), ricevendo un cortese rifiuto dai vertici di Lucas Film. A questo punto Snyder rimaneggia il soggetto dando vita a un proprio universo narrativo, per il quale il colosso dello streaming prevede numerose espansioni crossmediali. Ecco dunque che nel corso di dicembre 2023 viene distribuito, anche in alcune sale americane ed inglesi, Rebel Moon - Part One: A Child of Fire, prima parte del dittico già girato dal cineasta americano in versione parzialmente ridotta per venire incontro a un rating adatto a un pubblico adolescente. In attesa di scoprire anche la versione estesa della stessa e la seconda parte, che arriveranno entrambe intorno ad aprile del 2024, scopriamo come mai anche questo film ha nettamente diviso critica e pubblico, con giudizi però prevalentemente negativi.


Ambientata in un immaginario universo futuristico dominato dall'impero di Mondo Madre, al momento però in preda a una crisi politica di cui sta approfittando il sanguinario reggente Balisarius (Fra Fee), la pellicola segue il tentativo di ricostruirsi una vita pacifica da parte di Kora (Sofia Boutella), ex comandante dell'esercito che, dopo aver disertato, ha trovato rifugio in una comunità contadina ai limiti dei possedimenti di Mondo Madre. Purtroppo però una nave spaziale comandata dall'ammiraglio Noble (Ed Skrein) arriva sul pianeta Veldt, dove vive la donna, in cerca di un gruppo di ribelli e chiede delle provviste proprio al suo villaggio. Il crudele ufficiale uccide senza pietà il leader della comunità per poi obbligarla a rifornire i soldati con l'intero raccolto dei campi. Quando alcuni di essi tentano di stuprare una ragazza del villaggio, Kora abbandona l'idea di fuggire e uccide l'intera guarnigione lasciata da Noble sul pianeta. Una vera e propria dichiarazione di guerra per la quale la protagonista decide, accompagnata dall'amico Gunnar (Michiel Huisman), di andare in cerca di guerrieri in grado di difendere i contadini dalla rappresaglia dell'esercito, a cominciare dall'ex generale Titus (Djimon Hounsou).


Giudicare questa prima parte di Rebel Moon è tutt'altro che un compito semplice, poiché è fin troppo evidente la natura episodica della stessa, così strettamente connessa alla seconda da pregiudicarne la riuscita complessiva come opera autosufficiente. A questo deficit narrativo contribuisce però anche una scrittura priva di equilibrio, dato che la pellicola si divide in una prima metà di introduzione alla vastissima lore e soprattutto ai due protagonisti assoluti, Kora e Gunnar, che funziona a dovere, creando una notevole curiosità nello spettatore nei confronti di quanto seguirà e una certa dose di empatia verso tali personaggi. Meno riuscita risulta, d'altro canto, l'altra metà, dove l'assemblaggio della squadra di rinnegati, chiaramente ispirata a I sette samurai (Akira Kurosawa, 1954), per difendere i contadini vessati dal potere politico e militare di Mondo Madre viene affrettata così tanto da lasciare poco spazio per dare vita a un tangibile rapporto sia tra i personaggi che tra questi ultimi e il pubblico. Persino una delle più interessanti divagazioni rispetto alla chiara matrice lucasiana del lungometraggio viene depotenziata dalla suddetta fretta nel giungere alla battaglia centrale.

Detto di questi tutt'altro che trascurabili difetti, probabilmente ascrivibili in realtà alla scelta di mostrare prima il montaggio più breve, il film mostra anche tanti lampi di bellezza, a cominciare dalla fotografia, curata personalmente da Snyder. In un panorama dominato da scelte di inquadrature, illuminazione e lenti completamente standardizzate come quello degli attuali blockbuster, è rinvigorente assistere a sequenze illuminate perlopiù da luce naturale e con un singolare utilizzo del fuori fuoco come quelle ambientate nel villaggio su Veldt, dove l'ispirazione al maestro del cinema giapponese si evince anche sul versante formale e non soltanto su quello del racconto. In particolare la scena in cui dialogano la ragazza interpretata da Charlotte Maggi e Jimmy (Anthony Hopkins), un robot che aiuta Kora a uccidere i soldati sul pianeta, spicca per il lirismo espresso dalla forte illuminazione delle inquadrature e la cornice bucolica che circonda i personaggi, con un'atmosfera di incontro tra due outsider che ricorda Frankenstein di James Whale (1931), così come alcuni momenti di L'uomo d'acciaio (Man of Steel, Zack Snyder, 2013). Le concessioni alla contemplazione dell'affascinante pianeta in cui vive la protagonista vengono esaltate anche da una cgi egregiamente implementata all'interno dei set ricostruiti materialmente, donando scorci davvero suggestivi su una galassia che promette davvero mondi interessanti da esplorare per qualunque fan della sci-fi più avventurosa.


Allo stesso mondo il panorama politico e sociale tratteggiato solo parzialmente in questa prima pellicola rievoca certamente classici della space opera quali Star Wars e Dune, ma con evidenti riferimenti anche alla politica militarista statunitense e, soprattutto, al tanto amato da parte dell'autore ciclo bretone, come è possibile notare dalla caratterizzazione di alcuni personaggi o dalle vicende riguardanti la decaduta famiglia reale di Mondo Madre, i cui guerrieri, peraltro, vengono spinti a creare dei rapporti affettivi con un commilitone per combattere al meglio, prendendo in prestito un'usanza tipica di quel mondo ellenico che affascina Snyder quasi quanto le avventure di Artù. Tutto ciò però al momento resta purtroppo fin troppo sospeso a causa della scelta di dividere quello che è senza alcun dubbio un unico grande film in due, così come quella, ancor più discutibile, di rilasciare in anticipo un montaggio evidentemente monco rispetto a quello più corposo che arriverà tra qualche mese. Il giudizio su Rebel Moon dunque resta sospeso a mio parere. Promosso ma con riserva.

domenica 17 dicembre 2023

RAW: LA FAME DI VITA GIOVANILE IN CHIAVE HORROR

In un panorama europeo e mondiale che finalmente sembra pronto a riconoscere, in primis mediaticamente, il ruolo creativo delle donne nel cinema spicca la figura di Julia Ducournau, vincitrice della Palma d'oro con il controverso (nella migliore delle accezioni dal mio punto di vista) Titane nel 2021. Prima però di ottenere uno dei riconoscimenti più prestigiosi per qualunque regista la parigina dirige Raw - Una cruda verità (Raw, 2016), con cui riesce già a trovare una propria fetta di pubblico tra gli appassionati di horror e un eccellente riscontro dalla critica, come testimoniato dalla vittoria del premio FIPRESCI alla rassegna sopracitata.


Il film segue l'arrivo all'università di Justine (Garance Marillier), totalmente abnegata al proprio sogno di diventare veterinaria. L'impatto con la nuova realtà, nonostante qui ritrovi anche la sorella maggiore Alexia (Ella Rumpf), è purtroppo molto negativo, in primis a causa degli eccessivi riti a base di nonnismo organizzati dagli studenti dell'ultimo anno ai danni dei novellini, tra cui in particolare il momento in cui la ragazza, fieramente vegetariana, viene costretta a mangiare un pezzo di carne di coniglio. Da qui la sua vita viene completamente sconvolta, con costanti disturbi fisici e soprattutto l'incalzare di una insostenibile fame di carne. Umana.


Sebbene Raw rappresenti il suo esordio al lungometraggio, Ducournau dimostra con quest'opera una conoscenza del genere di riferimento e, soprattutto, della teoria femminista legata allo stesso davvero capillare, che mette in pratica tramite quello che a tutti gli effetti è un coming of age ancora prima di un horror. Sulla scia di quanto fatto in precedenza da De Palma e Kusama, la regista transalpina ricorre ai canoni del racconto dell'orrore per esprimere quello, ben più reale, del traumatico passaggio dall'adolescenza all'età adulta, che diventa ancor più complesso quando è vissuto da una ragazza. Justine, infatti, come Carrie, vive con disgusto il processo di conoscenza del proprio corpo e della carne in generale, a causa di un'educazione votata al diniego totale del valore della stessa, incarnato nel caso del capolavoro depalmiano dal milieu religioso, mentre qui dalla scelta di famiglia per una dieta rigorosamente vegetariana, che però, come si scoprirà nel finale, nasconde solamente sotto il tappeto la proverbiale polvere di una vita che non può mai essere fatta di assoluti, bianchi e neri. Questa privazione vissuta per anni esplode in un bisogno insaziabile di matrice cannibalistica, chiara metafora di quella fame tipica di ogni ragazzo alle prese per la prima volta con le infinite possibilità offerte dalla libertà dalle imposizioni genitoriali: fame di amore, amicizie, sesso, droghe e tutte le trasgressioni che per un ventenne equivalgono alla vita vera. Una sorta di rivoluzione moltiplicata alla seconda nel caso di una giovane donna, poiché, oltre a dover fisiologicamente sopperire alle esperienze impossibili da provare nell'ambito del focolare domestico, viene quotidianamente frenata anche dagli innumerevoli pregiudizi e dalle catene dei moralismi di una società ancora culturalmente intrisa di maschilismo, per cui, ad esempio, un uomo può sfogare liberamente i propri appetiti sessuali mentre la medesima cosa diventa un marchio di infamia per una ragazza.

Ecco che in questo contesto esplode il cosiddetto mostruoso femminile teorizzato da Barbara Creed, trasformando la naturale fame di Justine in una dipendenza dalla carne umana che travalica quella ben più volitiva di Jennifer's Body (Karyn Kusama, 2009), anche perché finisce per assumere anche caratteri maggiormente freudiani quando si interseca a quella di Alexia e il rapporto tra le due diventa centrale nella narrazione. Come in una sorta di rilettura al femminile di Inseparabili (Dead Ringers, David Cronenberg, 1988) prima della serie tv, Ducournau mostra attraverso gli apparenti atteggiamenti opposti alla vita e all'uso del proprio corpo da parte delle sorelle proprio le conseguenze delle restrizioni imposte sul mondo femminile dalla visione patriarcale della società, che non a caso portano, almeno nel caso di una delle due, a una cattività che in fondo riguarda da vicino chiunque viva ai margini della conformità.


Raw rappresenta, in conclusione, non soltanto un esordio eccezionale, bensì una pellicola eccezionale tout court per la capacità di sfruttare i caratteri dell'horror per raccontare i travagli reali vissuti da buona parte di tutti noi durante la crescita, peraltro con una maturità di sguardo e un'eleganza formale che vanno al di là di qualsiasi semplicistico trend sintetizzato da termini come horror art-house o elevated horror.

venerdì 8 dicembre 2023

NAPOLEON: IL CREPUSCOLO DEGLI DEI DELLA STORIA TRADIZIONALE

Nei non rari momenti di crisi del cinema, in particolare nella sua accezione più legata alla sala, spesso Hollywood si è aggrappata alla spettacolarità sensoriale delle grandi produzioni, quelle possono mettere in evidenza la differenza rispetto a esperienze casalinghe come la televisione, l'home video o lo streaming sui dispositivi smart. Al centro di queste campagne vi erano sempre stati i cosiddetti kolossal, pellicole enormi da ogni punto di vista e spesso di ambientazione storica o mitologica. Oggi, pur vivendo uno dei suddetti periodi di stanca del grande schermo, queste opere sembrano non solo aver perso il ruolo tradizionalmente assegnatole dagli studios, ma addirittura zoppicano ben più di altri generi o filoni, relegate sovente a sparute eccezioni o alla serialità. Chi, invece, continua strenuamente ad affollare le sale con questo tipo di produzioni è Ridley Scott, la cui floridissima filmografia annovera capisaldi contemporanei come Il gladiatore (Gladiator, 2000) e Le crociate (Kingdom of Heaven, 2005) e che quest'anno porta in sala Napoleon, biopic sul celeberrimo imperatore. Un'operazione rischiosissima, finanziata da un altro colosso come Apple, che, come facilmente preventivabile, sta dividendo nettamente sia critica che pubblico, equamente distribuiti tra apprezzamenti anche prestigiosi e opinioni estremamente negative, soprattutto in Francia.


Il lungometraggio percorre gran parte della vita politica e privata di Bonaparte (Joaquin Phoenix), alternando le più celebri imprese militari, a partire dalla presa di Tolone da giovane comandante nel pieno del Terrore giacobino, all'esplorazione dell'uomo dietro la leggenda, specie per quanto concerne la relazione con Giuseppina (Vanessa Kirby), la perso a cui si lega maggiormente, persino dopo il divorzio ottenuto per generare un erede.


Considerando la fama del protagonista e il tipo di produzione, un blockbuster da quasi 200 milioni di dollari, probabilmente la maggioranza degli spettatori si sarebbe aspettata da Napoleon un biopic classico, elevato rispetto alla media dalla messinscena delle battaglie campali. Scott invece, seppur artefice del ritorno in auge di quel tipo di cinema agli albori del terzo millennio, dirige un'opera molto più coraggiosa e personale, dove il conquistatore còrso viene spogliato di tutta l'aura mitica nata da un'abile operazione propagandistica (si pensi in tal senso ai dipinti di Jacques-Luis David) o semplicemente dalla storiografia tradizionale basata sulle epopee di sovrani e papi, divenendo sì un simbolo ma della banalità del male che inevitabilmente caratterizza il potere. Il cineasta britannico non disdegna di mostrare le uniche capacità da stratega militare di Napoleone, così come il carisma che suscita nei soldati o nel popolo più umile, ma al tempo stesso ne mette in risalto anche fragilità, a cominciare dalle difficoltà nella diplomazia o nei rapporti sociali in toto, e soprattutto la fin troppo umana ossessione per una donna, la sua imperatrice, nella più personale accezione del termine. Giuseppina, magistralmente interpretata da Vanessa Kirby, viene ritratta come il perfetto contraltare del consorte: tanto raffinata e libertina lei, quanto rozzo e manipolatore lui e forse proprio a causa di tale complementarietà entrano in una spirale emotivamente tossica per cui, nonostante i reciproci torti, schiaffi (non solo figurati) e violenze psicologiche, finiscono per non poter fare a meno dell'altro. Persino ogni grande evento della irripetibile ascesa e caduta politica di Bonaparte trova la sua vera ragion d'essere nella relazione con la vedova de Beauharnais, come quando l'allora generale diserta la campagna egizia pur di tornare in patria e affrontare i tradimenti della moglie. 


Da questo punto di vista Scott forse pecca non di sfrontatezza, bensì di un pizzico di conservatorismo, poiché a mio avviso una enfasi ancora maggiore su questo lato demistificatorio della Storia e sul sovvertimento dei tradizionali ruoli di forza tra i sessi avrebbe ottenuto un risultato ancora più importante, sia per la carriera del regista che per il blockbuster in generale. L'inserimento di numerose sequenze dedicate alle più famose battaglie vinte o perse dal condottiero, infatti, appare come un tentativo di tenere comunque il piede anche nella scarpa del kolossal hollywoodiano più classico, sebbene vada sottolineato come questa scarpa sia di una fattura straordinaria. Per composizione delle inquadrature, utilizzo di luci e ombre, montaggio sonoro e generale potenza immaginifica lo spettacolo offerto da questi momenti, specialmente la battaglia di Austerlitz, l'autore di Blade Runner (1982) dimostra ancora una volta la netta differenza tra un autore con una precisa visione in primis estetica della settima arte rispetto alla masnada di aspiranti cineasti che imperversa nel panorama ad alto budget attuale, dove risulta davvero riconoscere la mano di uno rispetto agli altri. 

Seppur imperfetto e in parte incapace di prendere pienamente la strada dell'unicità, Napoleon risulta un enorme spettacolo visivo, tramite cui viene messo alla berlina il potere in tutte le sue emanazioni, che diventa ancor più crudele e pericoloso quando mitizzato, come vorrebbero molti di quegli spettatori indignati dalla visione di un grande condottiero incapace di soddisfare sessualmente sua moglie.