domenica 17 dicembre 2023

RAW: LA FAME DI VITA GIOVANILE IN CHIAVE HORROR

In un panorama europeo e mondiale che finalmente sembra pronto a riconoscere, in primis mediaticamente, il ruolo creativo delle donne nel cinema spicca la figura di Julia Ducournau, vincitrice della Palma d'oro con il controverso (nella migliore delle accezioni dal mio punto di vista) Titane nel 2021. Prima però di ottenere uno dei riconoscimenti più prestigiosi per qualunque regista la parigina dirige Raw - Una cruda verità (Raw, 2016), con cui riesce già a trovare una propria fetta di pubblico tra gli appassionati di horror e un eccellente riscontro dalla critica, come testimoniato dalla vittoria del premio FIPRESCI alla rassegna sopracitata.


Il film segue l'arrivo all'università di Justine (Garance Marillier), totalmente abnegata al proprio sogno di diventare veterinaria. L'impatto con la nuova realtà, nonostante qui ritrovi anche la sorella maggiore Alexia (Ella Rumpf), è purtroppo molto negativo, in primis a causa degli eccessivi riti a base di nonnismo organizzati dagli studenti dell'ultimo anno ai danni dei novellini, tra cui in particolare il momento in cui la ragazza, fieramente vegetariana, viene costretta a mangiare un pezzo di carne di coniglio. Da qui la sua vita viene completamente sconvolta, con costanti disturbi fisici e soprattutto l'incalzare di una insostenibile fame di carne. Umana.


Sebbene Raw rappresenti il suo esordio al lungometraggio, Ducournau dimostra con quest'opera una conoscenza del genere di riferimento e, soprattutto, della teoria femminista legata allo stesso davvero capillare, che mette in pratica tramite quello che a tutti gli effetti è un coming of age ancora prima di un horror. Sulla scia di quanto fatto in precedenza da De Palma e Kusama, la regista transalpina ricorre ai canoni del racconto dell'orrore per esprimere quello, ben più reale, del traumatico passaggio dall'adolescenza all'età adulta, che diventa ancor più complesso quando è vissuto da una ragazza. Justine, infatti, come Carrie, vive con disgusto il processo di conoscenza del proprio corpo e della carne in generale, a causa di un'educazione votata al diniego totale del valore della stessa, incarnato nel caso del capolavoro depalmiano dal milieu religioso, mentre qui dalla scelta di famiglia per una dieta rigorosamente vegetariana, che però, come si scoprirà nel finale, nasconde solamente sotto il tappeto la proverbiale polvere di una vita che non può mai essere fatta di assoluti, bianchi e neri. Questa privazione vissuta per anni esplode in un bisogno insaziabile di matrice cannibalistica, chiara metafora di quella fame tipica di ogni ragazzo alle prese per la prima volta con le infinite possibilità offerte dalla libertà dalle imposizioni genitoriali: fame di amore, amicizie, sesso, droghe e tutte le trasgressioni che per un ventenne equivalgono alla vita vera. Una sorta di rivoluzione moltiplicata alla seconda nel caso di una giovane donna, poiché, oltre a dover fisiologicamente sopperire alle esperienze impossibili da provare nell'ambito del focolare domestico, viene quotidianamente frenata anche dagli innumerevoli pregiudizi e dalle catene dei moralismi di una società ancora culturalmente intrisa di maschilismo, per cui, ad esempio, un uomo può sfogare liberamente i propri appetiti sessuali mentre la medesima cosa diventa un marchio di infamia per una ragazza.

Ecco che in questo contesto esplode il cosiddetto mostruoso femminile teorizzato da Barbara Creed, trasformando la naturale fame di Justine in una dipendenza dalla carne umana che travalica quella ben più volitiva di Jennifer's Body (Karyn Kusama, 2009), anche perché finisce per assumere anche caratteri maggiormente freudiani quando si interseca a quella di Alexia e il rapporto tra le due diventa centrale nella narrazione. Come in una sorta di rilettura al femminile di Inseparabili (Dead Ringers, David Cronenberg, 1988) prima della serie tv, Ducournau mostra attraverso gli apparenti atteggiamenti opposti alla vita e all'uso del proprio corpo da parte delle sorelle proprio le conseguenze delle restrizioni imposte sul mondo femminile dalla visione patriarcale della società, che non a caso portano, almeno nel caso di una delle due, a una cattività che in fondo riguarda da vicino chiunque viva ai margini della conformità.


Raw rappresenta, in conclusione, non soltanto un esordio eccezionale, bensì una pellicola eccezionale tout court per la capacità di sfruttare i caratteri dell'horror per raccontare i travagli reali vissuti da buona parte di tutti noi durante la crescita, peraltro con una maturità di sguardo e un'eleganza formale che vanno al di là di qualsiasi semplicistico trend sintetizzato da termini come horror art-house o elevated horror.

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