lunedì 28 febbraio 2022

I VAMPIRI: NASCITA DEL GOTICO ITALIANO

Quando si parla di cinema italiano nella maggior parte dei casi la mente viaggia tra i capolavori del Neorealismo, le risate amare della Commedia all'italiana e gli exploit contemporanei di autori come Sorrentino o Garrone, dimenticando però l'altra faccia della medaglia del periodo aureo della settima arte nostrana. In più di un'occasione ho accennato a una rinascita negli ultimi cinque o sei anni dei generi nel Belpaese ma quando è esplosa la diffusione di horror, peplum e gialli che hanno regalato fama internazionale a personalità quali Mario Bava e Dario Argento? Una data convenzionalmente accettata dagli storici è il 1957, anno di uscita de I vampiri, diretto da Riccardo Freda come sfida alla secolare estraneità della cultura italiana nei confronti del gotico e concluso proprio dal summenzionato Bava, a causa di dissidi tra il regista e i produttori negli ultimi giorni di riprese. Un titolo divenuto sinonimo della nascita dell'horror sul suolo italico ma merita ancora oggi una visione, al di là del ruolo di capostipite del genere? Scopriamolo.

 


Ambientato in una Parigi contemporanea, il film segue l'inchiesta del giornalista Pierre Latin (Dario Michaelis) sui misteriosi omicidi di giovani donne, tutte private del sangue come se a ucciderle fosse stato un vampiro. Alla continua ricerca di possibili indizi sul caso, il reporter deve gestire anche la corte dell'aristocratica Giselle Du Grand (Gianna Maria Canale), innamorata di lui come sua zia lo era del padre del protagonista.

 


Nonostante un titolo tanto diretto, I vampiri si presenta fin dalle prime sequenze come un parente piuttosto lontano dal filone iniziato dal seminale Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, Friedrich Wilhelm Murnau, 1922). Pur senza rinunciare a topoi come la scelta di avvenenti donne in qualità di vittime e un'ambientazione tipicamente gotica come il castello della Du Grand, Freda attinge alla sua notevole cinefilia e all'esperienza di regista affermato per dare vita a una miscela di elementi provenienti dai più disparati riferimenti, al punto da rendere quasi irriconoscibile la matrice vampirica originaria. Tra mad doctor e sieri sperimentali di origine fantascientifica, una componente whodunit poeiana e la sopracitata ambientazione moderna, il cineasta nato ad Alessandria d'Egitto sceglie di dare vita a una propria lettura del mito dei non-morti, puntando su un'aderenza al reale che li rende un perfetto mezzo di critica sociale, anticipando in tal senso le istanze del New Horror americano degli anni Settanta.

Come confermato anche all'interno di interviste e della sua biografia, Freda vede nel vampirismo la smania delle generazioni più anziane di riacquistare il vigore perduto prelevandolo dai giovani, in un egoistico atto di ribaltamento della freudiana operazione di uccisione dei padri. A ciò si aggiunge, utilizzando come esempio di tale visione il personaggio della duchessa, una più politica riflessione sul rapporto tra il mondo contemporaneo e la decadenza dell'aristocrazia, ormai del tutto depauperata dei propri privilegi dall'ascesa borghese. In un ultimo tentativo di mantenere il proprio status si avventa sulla vitalità del motore della società attuale, attraverso strumenti del tutto moderni come chimica e chirurgia, privando il vampiro di quel sostrato erotico racchiuso nel gesto del morso sul collo.

 


Alle interessanti digressioni rispetto alla tradizione del filone esploso con il romanzo di Bram Stoker a fine Ottocento, Freda abbina una cura per la forma figlia di un'impostazione classicheggiante di ispirazione hitchcockiana, in totale opposizione alla sovraesposizione della macchina da presa resa popolare dal Neorealismo. Proprio come il maestro del brivido, l'autore italiano si mantiene costantemente in bilico tra la trasparenza registica hollywoodiana e momenti di virtuosismo attrattivo, resi ancora più evidenti dalla maestria nell'uso del bianco e nero da parte del direttore della fotografia Bava, che alle ascendenze espressioniste abbina straordinari effetti speciali, come l'indimenticabile trasformazione senza stacchi di montaggio di Giselle.

 


Vale dunque la pena recuperare I vampiri anche per chi non possiede particolari velleità di storia del cinema? Assolutamente sì: pur non essendo il miglior lavoro di un director raffinato come Freda, la sua originale interpretazione della figura del vampiro, insieme all'eccezionale impianto estetico lo rendono un titolo da riscoprire.


lunedì 14 febbraio 2022

SCREAM: IL REQUEL OMAGGIO AL PROFESSORE DELL'HORROR

Viviamo un periodo storico per il cinema, quanto meno americano, in cui la parola d'ordine sembra essere nostalgia. Alla prima ondata di remake e reboot cominciata agli albori del terzo millennio (senza contare che la pratica dei rifacimenti è sempre esistita, fin dai primi vagiti della settima arte) ne è seguita una all'insegna di sequel di franchise divenuti classici, nei quali aggiungere ai cast storici dei nuovi e più giovani protagonisti, dando vita a operazioni di soft-reboot ribattezzate da qualche anno con il termine "requel". Tra tentativi capaci ci centrare il bersaglio, rinverdendo saghe quasi del tutto sconosciute al pubblico sotto i trent'anni, e colossali buchi nell'acqua chi meglio del punto di riferimento pop per la riflessione metatestuale degli ultimi decenni poteva analizzare tale fenomeno? Mi riferisco a Scream, quinto seguito dell'originale diretto nell'ormai lontano 1996 da Wes Craven, affidato questa volta, vista la morte del proprio demiurgo, alla coppia Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillet. Distribuito nel corso delle prime settimane del 2022, il lungometraggio sta riscuotendo un notevole successo al box office, ben maggiore rispetto al quarto episodio (Scream 4, Wes Craven, 2011), e ottime recensioni, tanto da lasciare le porte aperte per ulteriori seguiti.

Ambientata esattamente a dieci anni dal massacro avvenuto nel corso del prequel, la pellicola vede nuovamente in azione una coppia di assassini travestiti da Ghostface, che perseguitano un gruppo di nuovi protagonisti, tutti però imparentati con vecchie conoscenze per i fan della saga. In particolare a essere colpita per prima è Tara (Jenna Ortega), che sopravvive miracolosamente all'incontro con il killer e, indirettamente, convince la sorella Samantha (Melissa Barrera) a tornare a Woodsboro dopo averla abbandonata in piena adolescenza. Un terribile segreto legato al passato della giovane sembra il vero movente dei villain e ad aiutare il gruppo di amici di Tara a sopravvivere sarà il trio nato dalla penna di Kevin Williamson, costituito da Sidney (Neve Campbell), Linus (David Arquette) e Gale (Courtney Cox).

Come per ogni capitolo del franchise indugiare oltre nella trama rischierebbe di rovinarne uno dei cardini, ossia il piacere della scoperta dell'identità degli assassini, in pieno spirito da giallo deduttivo. Scream, per quanto concerne la fedeltà all'operato del suo originale regista, si dimostra estremamente rispettoso, tanto da non nascondere neanche per un secondo l'intento della nuova coppia di director di omaggiare il maestro scomparso nel 2015. L'incipit da questo punto di vista è quanto mai rivelatorio: un vero e proprio remake della prima, iconica, sequenza del film datato 1996, del quale riprende soluzioni visive, canovaccio, inserti metacinematografici e la beffa dei rinforzi che arrivano troppo tardi per la "vittima", che stavolta però sopravvive alla prima apparizione di Ghostface. Una variazione sul tema, tutt'altro che banale, che introduce quello che poi diviene il leitmotiv dell'intero lungometraggio: il concetto di requel nel panorama contemporaneo, ben oltre la nicchia rappresentata dal filone slasher. Prendendo come modello principalmente gli Halloween di David Gordon Green e la trilogia sequel di Star Wars (esilarante quanto sagace l'easter egg dedicato allo Stab diretto da Rian Johnson), Bettinelli-Olpin e Gillet recuperano in parte le riflessioni sul reboot operate da Scream 4, offrendo però uno sguardo di sarcastica critica alla più fresca tendenza di celarlo dietro le maglie di un sequel in cui compaiono ancora gli eroi storico del franchise, così da poter catturare sia l'attenzione dei vecchi fan che le generazioni più giovani.
Il vero obiettivo, però, dell'invettiva dei due registi si cela non tanto nell'ormai conclamata, presunta mancanza di innovazione di cui soffrirebbe Hollywood, bensì nella sempre crescente influenza del fandom nel lavoro dei creativi. A partire in particolare dal più noto fenomeno di fanatismo legato alla celluloide, ovvero il già citato Star Wars, il web 2.0 ha reso sempre più facile per gli appassionati interagire con i propri beniamini e rendere pubblici i loro desideri nei confronti delle nuove iterazioni delle saghe che tanto amano. Ciò ha portato, inevitabilmente, a una certa sudditanza delle case di produzione nei riguardi delle tendenze su Twitter e Instagram e, dunque, a dover accontentare più possibile le richieste più popolari da parte dei fan stessi, così da scongiurare eventuali fallimenti al botteghino. Una situazione che rischia quasi di ribaltare le posizioni tra artisti e fruitori e che viene rappresentata con notevole arguzia dallo showdown finale del film analisi, con le motivazioni dietro gli omicidi che ricalcano proprio il desiderio degli appassionati di appropriarsi delle opere da loro amate al punto da farne una ragione di vita.

Siamo dunque dinanzi a un lavoro in grado di rivaleggiare o persino superare i capitoli diretti dal professore dell'horror? A mio parere purtroppo no, a causa di una certa superficialità nell'approccio al materiale poetico del franchise. Gli episodi diretti da Craven avevano ogni volta offerto nuove prospettive e argomenti di riflessione non soltanto sullo status del cinema horror e slasher in particolare, bensì avevano messo in evidenza l'evoluzione della spettatorialità dinanzi all'orrore filmico e a come questi sia in grado di raccontare e influenzare al tempo stesso il passaggio all'età adulta degli adolescenti, restando fedele ai temi cari alla propria filmografia. Un ulteriore step narrativo e filosofico ahimè assente in questo nuovo Scream, rendendolo un eccellente e accorato omaggio a un maestro, un ottimo esempio di requel in grado di riflettere sulla sua stessa natura ma non il quinto capitolo che avrebbero potuto partorire l'autore di Nightmare - Dal profondo della notte (A Nightmare on Elm Street, Wes Craven, 1984) e Kevin Williamson.