sabato 11 marzo 2017

WARCRAFT: QUESTIONE RAZZIALE E FANTASY

Arrivato forse a uno degli snodi cruciali della propria promettente carriera, la realizzazione della terza fatica da cineasta, il britannico Duncan Jones si avventura in una delle imprese più ardue per il cinema contemporaneo: l'adattamento di un famoso videogame, in questo caso il capostipite della celeberrima saga Warcraft. L'autore di Source Code (2011), il quale si dichiara fin dagli inizi del progetto un grande estimatore del materiale di partenza, porta così nelle sale Warcraft - L'inizio (Warcraft) nel 2016, pellicola da lui diretta e co-scritta. Il risultato spiazza e divide nettamente l'utenza, con la critica più tradizionale che attacca senza mezzi termini il prodotto da un punto di vista narrativo mentre i fan del videogame apprezzano la fedeltà e le strizzate d'occhio allo stesso. In questa divisone quasi filosofica di giudizio il film si rivela al botteghino il maggiore incasso nella storia delle opere tratte dal mondo dell'intrattenimento elettronico ma la maggioranza del proprio pubblico si rivela cinese, altro dato segno della nuova era che stiamo vivendo.

Le vicende narrate si svolgono in due diversi mondi, Draenor e Azeroth, e due razze, umani e orchi. Questi ultimi, abitanti di Draenor, vengono guidati dal potente quanto dispotico stregone Gul'Dan a invadere attraverso un portale il regno umano di Roccavento, che, abbandonato al proprio destino dai suoi stessi simili e dai nani, si apprestano a resistere e a tentare di liberare gli umani prigionieri, usati dal terribile mago per alimentare il portale. Al centro di questa terribile guerra si trovano Durotan, orco capo del clan dei lupi bianchi, la mezzosangue Garona, il capo delle forze militari di Roccavento Anduin Lothar e il giovane mago Khadgar.

Il primo pensiero che affolla la testa alla visione di Warcraft è certamente il chiaro riferimento costante in molte suggestioni visive e narrative alla trilogia de Il signore degli anelli diretta da Peter Jackson, eppure allo stesso tempo le differenze rispetto alla stessa sono abissali e fingere che non siano degne di nota sarebbe una leggerezza imperdonabile. Al netto di una costante ricerca di quel respiro epico introdotto nelle proprie opere dal regista neozelandese, il film diretto dal figlio di David Bowie abbraccia con orgoglio le proprie origini da un media diverso dal cinema e per questo adotta molte inquadrature tipiche proprio del videogame, come ad esempio la camera dietro le spalle in stile Resident Evil 4 adottata nella visivamente straordinaria sequenza d'apertura, ma soprattutto costruisce la stragrande maggioranza del visibile in CGI. Una computer grafica talmente sofisticata da renderla quasi indistinguibile dalla realtà, scelta che non solo esalta la bellezza dei molti paesaggi mostrati ma soprattutto sottolinea la tematica principale del lungometraggio, ossia la questione razziale.

Con grande aderenza all'attualità, si pensi agli imponenti flussi migratori dall'Africa all'Europa ma anche alla grande mole di pellicole che hanno trattato tale tema, Jones utilizza il fantasy per imbastire un discorso tutt'altro che alieno alla dimensione reale sulla diversità, o meglio sulla non diversità. I personaggi messi in scena non rivelano mai una maggiore o minore moralità soltanto in base alla loro appartenenza etnica, come spesso succede nel genere adottato, e anzi credo che il cineasta britannico abbia deciso consapevolmente (bisognerebbe ricordare a molti critici che uno sceneggiatore fine non smette improvvisamente di esserlo) di concentrare l'indagine psicologica sugli orchi, i quali risultano alla fine ben più umani degli uomini. Un esempio di tale decisione è ben visibile nella trattazione del senso di sacrificio e delll'amore per la famiglia di Durotan, che si rispecchiano in quelli del re Llane Wrynn ma non con la stessa forza emotiva e la stessa intimità, così come la prova di essa risiede a mio parere nella modifica completa del finale rispetto a quello del videogame, nel quale veniva mostrata un'orgia di violenza completamente ingiustificata da parte degli invasori verdi.

Sempre a proposito della questione razziale resta un peccato constatare il non del tutto adeguato spazio riservato al sentimento che nasce tra Anduin e Garona, due personaggi tormentati e poco inclini all'apertura verso il prossimo che finiscono per sentirsi sempre più vicini, specie in una delle sequenze più d'impatto da un punto di vista emotivo dell'intera pellicola. Peccato anche che le performance attoriali non esaltino la gran parte dei personaggi messi in scena, con l'eccezione delle performance capture ottime degli orchi e della più naturale interpretazione di Paula Patton, per i motivi prima asseriti.
In definitiva la prima incursione nel cinema tratto dai videogame da parte di un autore talentuoso come Duncan Jones si rivela essere assolutamente imperfetta, meno raffinata rispetto a un esordio come Moon (2009) ma allo stesso tempo ricca di spunti interessanti che potrebbero portare a risultati migliori nei prossimi capitoli di quella che dovrebbe diventare una nuova trilogia.