giovedì 13 settembre 2018

DOWNRANGE: L'IMPORTANZA DELLO STILE

Arrivato da pochi mesi sul mercato italiano attraverso l'ormai sempre più florido home video, specie per gli appassionati di cinema di genere, Downgrade (2017) rappresenta attualmente l'ultima fatica del cineasta nipponico Ryuhei Kitamura, autore sempre ben riconoscibile e perennemente impegnato sia con produzioni autoctone che con altre completamente o quasi statunitensi, proprio come quella in analisi. Dopo aver girato alcuni horror a medio budget negli USA come Prossima fermata: l'inferno (The Midnight Meat Train, 2008) e No One Lives (2009), due pellicole accomunate peraltro dalla presenza di due star nei ruoli principiali (Bradley Cooper nel primo e Luke Evans nel secondo), l'eclettico regista torna con questo lungometraggio a un progetto del tutto indipendente e dunque svincolato dal circuito della distribuzione di massa nelle sale ma nonostante ciò capace di conquistare numerosi consensi ai festival internazionali.

Il narrato, nato da un soggetto originale dello stesso Kitamura, propone al pubblico le disavventure di un gruppo di ragazzi, conosciutisi attraverso una app che permette di trovare un passaggio in auto a pagamento, il cui tranquillo percorso viene interrotto in una desolata strada dello sterminato continente americano dal fuoco sparato, senza alcun apparente motivo, da un cecchino nascosto tra i rami di un albero. Tra l'infallibile tiratore e i giovani si instaura così un crudele gioco al gatto e al topo nel quale l'unica speranza di salvezza per questi sembra essere la presenza di Keren, le cui inaspettate conoscenze del mondo della caccia e delle armi aiuta Jodi, Todd ed Eric a resistere.

Come hanno dimostrato i più rigorosi e mentalmente elastici studi sul cinema di genere questo tipo di pellicole si basano su precisi schemi narrativi che i registi più abili riescono a rinfrescare con piccole novità ma che restano in definitiva fedeli a determinate radici. Dovendo dunque mantenere inalterato il cuore di questi topoi nella costruzione del racconto il vero banco di prova per un autore di horror diventa il versante formale e questo Downgrade non solo conferma tale "regola" ma anzi potrebbe divenire un vero e proprio exemplum per chiunque voglia comprendere i meccanismi di questa porzione della settima arte. Kitamura, produttore, autore del soggetto e regista dell'opera, a sottolineare la natura prettamente personale del progetto, dirige un film che supera appena l'ora e mezza di durata, che inizia in medias res e che non si sogna neanche per un attimo di soffermarsi su riflessioni sottese o sulla costruzione psicologica ed etica dei personaggi, con l'unica eccezione di Todd, l'unico che nel corso dell'azione fuoriesce dal tipo dello stupidotto fidanzato con la bella biondina per dimostrarsi un uomo vero, con un passato, delle emozioni palpabili e una maturazione evidente con il passare dei minuti. Tutti gli altri caratteri non fanno altro che mantenere inalterati i ruoli archetipici del new-horror inaugurato da Tobe Hooper e John Carpenter, persino quando la sceneggiatura si diverte a sorprendere lo spettatore appassionato con improvvisi colpi di coda, uno su tutti la morte di Keren e la trasformazione della fragile Jodi in quella che sembrerebbe essere una final girl in piena regola. Senza rivelare nulla sull'ironico quanto nichilista finale appare evidente quanto a livello puramente narrativo il cineasta giapponese si concentri solamente su qualche variazione su tema rispetto ai canoni dello slasher e dei film d'assedio (si pensi a The Night of the Living Dead di Romero del 1968 o ad Assault on Precinct 13 del già citato Carpenter), come per esempio l'ambientazione in esterni, mentre tutta la sua attenzione si focalizzi sul versante estetico e formale. La pellicola fin dall'incipit si rivela un susseguirsi di inquadrature sempre diverse, una giostra che mette in mostra la spropositata inventiva del regista attraverso soggettive impossibili (da quella di uno pneumatico a quella dei proiettili), piani sequenza esasperati o movimenti di macchina che ribaltano con ardita eleganza il punto di vista della cinepresa. Certamente in alcuni frangenti tutte queste meraviglie visive restano delle finezze per il palato prive di qualunque significante ma è innegabile come riescano a stupire qualsiasi tipo di spettatore e al contempo anche a mantenere alta la tensione di un sadico gioco di sopravvivenza nel quale un minimo passo falso può costare la vita.

Downgrade si rivela in conclusione un efferato prodotto di ludico orrore, un sadico divertissement perfettamente aderente a quello messo in piedi dal cecchino con i giovani protagonisti. Un campionario delle abilità visuali di Kitamura nel quale forma e contenuto tendono a sovrapporsi attraverso il filtro della tensione come disimpegno.

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