venerdì 29 luglio 2016

IN THE CUT: QUANDO L'AUTRICE GIOCA CON LE ASPETTATIVE



In The Cut, uscito nelle sale nel 2003, sarebbe dovuto essere il grande salto nel cinema di genere americano da parte dell'autrice neozelandese Jane Campion, già vincitrice dell'Academy Award nel 1994 per Lezioni Di Piano (The Piano; 1993) e regista (scusate per questo piccolo inserto molto, molto personale) del successivo Bright Star del 2008 che adoro così come adoro la poesia di John Keats. Il condizionale mai come in questo caso è d'obbligo e per più di una ragione che vi illustrerò tra poco.
Il film vede come protagonista l'ex "fidanzatina d'America" Meg Ryan invischiata in una serie di delitti che la coinvolgono sempre più fino a raggiungere il culmine con l'orrida uccisione della sorellastra, interpretata da Jennifer Jason Leigh, ma anche in una sordida relazione con un detective (Mark Ruffalo) che potrebbe essere proprio il serial killer.
Questa breve sinossi sembra (non è un caso che io utilizzi termini legati alla sfera del dubbio) confermare l'appartenenza della pellicola al filone del thriller hollywoodiano e per la precisione a quei thriller erotici che Adrian Lyne (autore, molto sottovalutato secondo me, di Lolita del 1997, 9 Settimane e 1/2 ecc.) e Paul Verhoeven con Basic Instinct (1992) hanno portato a un grandissimo successo commerciali tra la fine degli anni 80 e gli anni 90; una visione piuttosto semplicistica che ha portato molti critici a stroncare l'opera della Campion per la poca abilità nell'uso degli elementi caratteristici di questo genere cinematografico. Ecco uno dei motivi a cui accennavo prima riguardo la diffidenza nel considerare In The Cut "il grande salto nel cinema di genere" di questa autrice: mancano molto degli elementi tipici del thriller, come la suspence, la ricerca di indizi per svelare l'identità dell'assassino e, soprattutto considerando che parliamo di un film uscito dopo il successo strepitoso de Il Silenzio Degli Innocenti (The Silence Of The Lambs; Jonathan Demme; 1991) di Seven (David Fincher; 1995) e dei vari emuli, un'attenta analisi della psicologia e del movente del killer stesso. La pellicola inoltre non ha avuto una distribuzione su larga scala, come avrebbe avuto qualsiasi altro prodotto di tale genere con un cast notevole, cosa che la avvicina molto di più al cinema indipendente da Sundance e alla sfera autoriale europea. 

Se non è un thriller, erotico o meno, cos'è allora In The Cut? Perché sembra persino ai critici quello che non è? Beh semplicemente perché Jane Campion, da donna arguta ed esperta della sua arte, dissemina il film di finti indizi (altro che Hannibal Lecter) per prendersi gioco del sistema tutto americano di incasellare i prodotti cinematografici in generi ben distinti. Per questo motivo piazza nella sequenza iniziale e in quella finale (sviluppo circolare della narrazione) la canzone Que sera, sera che rimanda subito a L'Uomo Che Sapeva Troppo (The Man Who Knew Too Much; Alfred Hitchcock; 1956), qualche sequenza, piuttosto blanda, sulle scene del crimine e altri topoi del genere.A giudicare dalle recensioni pare che il depistaggio sia riuscito fin troppo purtroppo e quindi è bene fare chiarezza sulle reali riflessioni contenute nella pellicola.
Una volta svelato lo strato dell'inganno sull'appartenenza al filone del thriller, si rivelano ben più chiari i molti riferimenti letterari presenti, su tutti quelli a Virginia Woolf, e il loro rapporto con la psicologia della protagonista. La donna, un'insegnante per l'appunto di letteratura, sta scrivendo qualcosa sullo slang afroamericano e ha la casa tappezzata di appunti sulle parole, a dimostrazione della sua ossessione per il mondo altro della scrittura. Questa vita in funzione del mondo dell'altrove letterario la porta a non avere rapporti definibili tali con il prossimo, se non con la sorellastra, e sembra essere sia una delle cause e che la conseguenza di un feeling con il mondo maschile non pervenuto, fatto solo di immaginazione e non di realtà (la sequenza della masturbazione ne è una esemplificazione). Eccolo finalmente, il sesso, l'elemento che più di ogni altra cosa è stata sottolineata nelle analisi della pellicola anche a causa della campagna mediatica che l'ha accompagnata: in sostanza In The Cut è stato spacciato non solo per un thriller erotico, bensì per il definitivo distacco di Meg Ryan dalla figura di attrice simbolo delle commedie romantiche in favore di un ruolo trasgressivo e molto spinto. Chissà quanto si sarà divertita la signora Campion a leggere e sovvertire certe sciocchezze!

Battute a parte la sfera sessuale è la reale chiave di lettura dell'opera, che rappresenta una vera e propria analisi del rapporto della protagonista con le figure maschili, il cui principio (la sequenza d'apertura) è ovviamente il disagio provocato dall'abbandono del padre nonostante ciò che la madre racconta a proposito del colpo di fulmine scattato durante il loro primo incontro. Da qui la regista mostra allo spettatore sprazzi immaginifici che svelano quanto sia appunto immaginario e per niente fisico, reale il contatto con l'altro sesso da parte di Frannie. Tutto cambia nel momento in cui la donna assiste compiacente al rapporto orale del killer con la prima vittima e con l'entrata in scena del detective Malloy, con il quale instaura una relazione che la trasporta finalmente nel sesso reale, di cui diventa veramente consapevole quando ammanetta il poliziotto e, usando un'espressione di Malloy, "si scopa da sola". Sarà forse un caso (non direi) ma proprio a questo punto Frannie affronta la verità sull'assassino e così lo spettatore scopre che in fondo i due sono le due facce della stessa medaglia, due persone che non riescono a far coincidere il sesso immaginato con quello fattuale ossessionati dalla dimensione fallica della natura umana (si pensi alla fellatio della sequenza già citata, la pratica dello sgozzamento usata dal killer per tutti i suoi omicidi ecc.). Il finale chiarisce definitivamente questa interpretazione in quanto l'insegnante, ormai definitivamente innestata nella vita reale, riesce a uccidere il suo assalitore poiché ha assunto, in seguito al processo di scoperta di sé a cui abbiamo assistito durante il film, il ruolo di donna "fallica" (simile alla Bernarda Alba di Lorca a proposito di citazioni letterarie) che tanto attirava e al contempo temeva l'assassino.

In conclusione, per rispondere al precedente quesito, In The Cut è a mio parere un altro esempio di analisi psicologica di un personaggio femminile della filmografia di Jane Campion, mascherato da thriller e impreziosito da una fotografia oscura, che rende New York simile a un inferno sulla terra. Pur con i suoi difetti un'opera ricca di spunti di riflessioni, soprattutto se si è interessati a certe tematiche freudiane, ed esteticamente notevole.

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