giovedì 27 settembre 2018

L'AUTISTA: UN ESORDIO TRA NEO-NOIR E WESTERN

Mi pare ormai evidente come una fetta sempre più consistente del mercato cinematografico statunitense, in particolare quella relativa a produzioni medio-piccole che potrebbero essere paragonate ai film diretti da registi indipendenti per sussidiarie delle majors negli anni '90 in seguito agli exploit commerciali di autori quali Quentin Tarantino e Paul Thomas Anderson, sia occupata dai lavori finanziati o distribuiti da Netflix e che quindi, purtroppo per chi ama ancora il cinema in quanto dispositivo e spettacolo collettivo, possono essere gustati solamente attraverso gli apparecchi casalinghi, dalla smart tv fino al tablet. Da un lato questo può deprimere qualunque cinefilo ma d'altro canto bisogna riconoscere con grande onestà che molte di queste produzioni non verrebbero mai a concretizzarsi senza le possibilità di rischio che può permettersi il colosso dei servizi on-demand, quel rischio che una pellicola poco pubblicizzata, priva di star internazionali o semplicemente esterna a un qualche franchise di successo possa rivelarsi un grosso buco nell'acqua al botteghino. Per questo mi sento di ringraziare vivamente Netflix per aver permesso l'arrivo in Italia di L'autista (Wheelman in originale), esordio al lungometraggio di Jeremy Rush del 2017. Una piccola opera prima, da un punto di vista prettamente produttivo, che molto probabilmente sarebbe passata inosservata nelle sale ma che nel catalogo del gigante statunitense dello streaming riesce a trovare un suo modesto spazio nonostante il suo unico nume tutelare sia Frank Grillo come attore protagonista (non a caso invischiato totalmente nel progetto in quanto produttore insieme a Joe Carnahan), personalità arrivata a una certa fama partecipando a Captain America: The Winter Soldier (Anthony e Joe Russo, 2014) e Anarchia - La notte del giudizio (The Purge: Anarchy, James DeMonaco, 2014) ma chiaramente non un divo capace di attirare milioni di dollari come Leonardo DiCaprio.

La semplice, nell'accezione migliore dell'aggettivo, traccia narrativa scritta dallo stesso regista si concentra su un'unica folle notte vissuta dall'anonimo protagonista interpretato da Grillo, uscito da meno di un anno dal carcere ma costretto dai debiti contratti proprio durante la detenzione a partecipare a delle rapine nel ruolo di autista (durante tutto il film viene chiamato autista e nei credits figura come Wheelman), Quello che sembra l'ennesimo lavoro da portare a compimento più velocemente possibile si rivela in realtà un intricato affare nel quale l'uomo si ritrova, suo malgrado, a dover resistere al fuoco incrociato di due malavitosi che affermano di essere i mandanti del colpo e dunque i destinatari del denaro che si trova nel bagagliaio dell'auto di Wheelman. La vicenda diventa ancora più drammatica nel momento in cui vengono coinvolte le persone che quest'ultimo ama di più.

Potrebbe trattarsi di un semplice caso di affinità elettive eppure è innegabile come si senta l'influenza del cinema di Carnahan all'interno di questo L'autista, quell'abilità di scrittura nel dare sostanza a un'idea semplice ma stimolante attraverso la sagacia del dialogo e l'asciuttezza dello sviluppo, il tutto rielaborando stilemi di generi ben codificati. Proprio come nei migliori lavori dell'autore di Smokin' Aces (2007) e The Grey (2011) Rush non tenta di inventare ex novo o di sperimentare arditezze da opera prima da festival per quanto concerne la struttura narratologica ma, al contrario, mescola e rielabora suggestioni provenienti dal meglio che il cinema di genere ha offerto negli ultimi anni. L'ingarbugliato intrigo tra diverse bande criminali che richiama proprio Smokin' Aces, il protagonista senza nome e infallibile autista prestato alle rapine di chiara derivazione da Driver l'imprendibile (The Driver, Walter Hill, 1978) e il quasi omonimo Drive (Nicolas Winding Refn, 2011) o la scelta di ambientare quasi tutto il film all'interno dell'abitacolo di un automobile come in Locke (Steven Knight, 2013) sono tutti riferimenti fin troppo palesi per non assurgere da suggerimento al pubblico che quello al quale stanno assistendo è un film di genere fin nel midollo e, aggiungo io, della miglior specie. L'epopea notturna di Frank Grillo, grazie anche alla durata breve, risulta una cavalcata urbana che non perde mai tensione tramite la saggia scelta di concentrare tutta l'attenzione della cinepresa sul protagonista, sul suo perpetuo spostamento tra le strade di una città illuminata da neon che tentano di mascherarne l'assenza quasi totale di quegli uomini che dovrebbero viverla realmente, similmente a quanto visto nella filmografia di Michael Mann. L'autore di Heat (1995) e Collateral (2004) rappresenta probabilmente, insieme al precedentemente menzionato Hill, la fonte d'ispirazione maggiore per l'esordiente Rush, non solo per l'ambientazione ma anche per la costruzione della figura di Wheelman, un antieroe solitario, schivo e incapace di scendere dal proprio "cavallo meccanico" e abbandonare di conseguenza una vita perennemente in pericolo proprio come i personaggi moralmente ambigui impersonati più di venti anni fa da Al Pacino e Robert De Niro. L'autista si potrebbe definire un vero e proprio cowboy metropolitano, un Clint Eastwood motorizzato come gli uomini duri che popolano i lavori di un amante del western quale Walter Hill e lo stesso attore divenuto in seguito director di alcuni tra i lavori più crepuscolari del genere (si pensi a Gli spietati del 1992).
Se nella costruzione del racconto i pilastri che guidano la penna del regista e sceneggiatore del lungometraggio risultano evidenti ben più personale si dimostra la forma. L'incipit in questo senso è un chiaro manifesto del talento visivo di Rush: un piano sequenza lungo più di cinque minuti (ripreso in un secondo momento in una versione meno estesa) con la macchina da presa fissa all'interno dell'abitacolo dell'automobile protagonista quasi quanto Wheelman che inquadra, alla stregua di una telecamera nascosta, la discussione precedente alla rapina in campo lungo, senza mai stringere o zoomare. Successivamente, con l'esplodere dell'azione, il cineasta aumenta con perizia il ritmo del montaggio evitando al contempo di rinunciare a una perfetta leggibilità dell'inquadratura, specie nel caso dei rapidissimi dettagli su ruote, volante, cambio e altre parti dell'automobile riprese frequentemente come a voler sottolineare il peso della stessa all'interno della storia, sfiorando quasi una sorta di feticismo per la meccanica e la velocità che riporta alla mente precedenti illustri (dal Cronenberg di Crash del 1996 fino, andando a ritroso, al futurismo di Marinetti e soci).

L'autista, tirando le somme, non potrebbe mai arrogarsi il titolo di film del 2017, non possiede la presunzione/ambizione, a seconda dei punti di vista, di molte opere prime o dei blockbuster che dominano il mercato ma rappresenta un piccolo gioiello per chiunque apprezzi il cinema di genere e l'abilità di plasmare determinati canoni narrativi con una ricerca estetica estremamente personale, per non parlare della performance quasi completamente in solitaria di un Frank Grillo sempre più convincente, capace di valere anche da solo la visione del film.

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