martedì 25 settembre 2018

READY PLAYER ONE: LA LETTERA D'AMORE DI SPIELBERG AI CREATIVI

Steven Spielberg non ha certamente bisogno di presentazioni, per quanto vi siano detrattori della sua visione della settima arte e oggi non abbia più l'appeal commerciale di qualche anni fa (si pensi alle nuove generazioni che magari conoscono per sentito dire Tarantino e Kubrick ma non il re della Hollywood anni Ottanta e Novanta) questo autore per resta un vero e proprio sinonimo di cinema. Un cinema quello del regista nato a Cincinnati che non conosce confini, distinzioni di genere o infantili distinzioni tra arte colta e popolare. La dimostrazione di ciò è il continuo alternare nella filmografia spielberghiana di pellicole "impegnate" ad altre più dedite all'intrattenimento e nel giro di pochi mesi, tra il 2017 e il 2018 assistiamo proprio all'ennesimo passaggio da una sponda all'altra di questo cineasta bifronte: prima viene distribuito nelle sale The Post, basato su una storia vera di grande impegno civile, e successivamente nel corso di quest'anno Ready Player One, che ho scelto di analizzare. La pellicola, tra le poche non scritte dallo stesso autore di Lo squalo (Jaws, 1975), è l'adattamento dell'omonimo romanzo scritto da Ernest Cline, a sua volta co-sceneggiatore della stessa. Nonostante le perplessità di molti circa la capacità di un settantenne di portare su schermo un'opera legata indissolubilmente alla cultura videoludica e al digitale il lungometraggio risulta essere a oggi uno dei maggiori incassi dell'anno, con tanto di recensioni per la maggior parte positive, anche se lontane da quelle trionfali per il precedente lavoro candidato a numerosi Academy Awards.

Protagonista del film è Wade Watts (Tye Sheridan), diciassettenne che vive in un 2045 dominato da una gravissima crisi economica lenita solamente da Oasis, un gioco di ruolo online sviluppato dal geniale James Halliday (Mark Rylance) con l'aiuto del suo unico amico Ogden Morrow (Simon Pegg) arrivato ad avere un successo tale da segnare letteralmente la vita dell'intera popolazione mondiale. In punto di morte l'ideatore del videogame ha dichiarato di aver lasciato sparsi nel mondo virtuale tre easter eggs (contenuti nascosti) legati alla propria vita che una volta trovati permettono a colui che li scopre per primo di acquisire tutte le azioni dello stesso Halliday della propria azienda da miliardi di dollari. Questo fa sì che chiunque riesca a portare a termine la caccia al tesoro diventi l'uomo più potente dell'intero pianeta e dunque alla ricerca dei tre preziosi si lanciano non solo semplici appassionati di Oasis come Wade ma anche la società presieduta dal perfido Nolan Sorrento (Ben Mendelsohn), la quale utilizza tutti i suoi potenti mezzi economici e persino la forza per riuscire a ottenere il controllo assoluto del videogame che controlla il mondo. La caccia agli easter eggs sembra in una fase di stallo finché protagonista non incontra Samantha (Olivia Cooke), ragazza a capo di un gruppo di resistenza nei confronti dei soprusi di Sorrento e per questo intenzionata a trovare i tre oggetti nascosti. Tra i due ragazzi, sebbene inizialmente si conoscano soltanto attraverso i loro avatar, nasce un amore che, coadiuvato dalla sincera amicizia con altri tre giovani conosciuti sempre online, svelerà loro la via per salvare Oasis.

Dopo aver studiato cinema per anni e giocato con sempre maggiore consapevolezza ai videogiochi da quando ho memoria posso francamente ammettere che è impossibile riassumere in poche righe la ricchezza di Ready Player One. Se, come affermato precedentemente, molti erano dubbiosi circa la possibilità che un attempato regista cresciuto in un'era completamente o quasi analogica potesse riuscire a non svilire la cultura videoludica, l'odierno sviluppo online del medium e anche la sua spettacolarizzazione attraverso la nascita degli eSports (tornei agonistici in cui veri e propri campioni si sfidano in un determinato gioco) e la trasmissione su piattaforme come Twitch e YouTube di sessioni di gaming Spielberg, come solo i grandi artisti sanno fare, suga ogni perplessità trattando con la sua consueta, enorme sensibilità questo fenomeno e per di più riesce ad raccontarlo scovandone le similitudini con il cinema e il rapporto in generale tra vita e arte, lo stesso di cui si occupavano secoli fa geni del calibro di Oscar Wilde e Gabriele D'Annunzio. Il 2045 immaginato dalla pellicola rappresenta una distopia che si limita a estremizzare la deriva escapistica che contraddistingue la nostra contemporaneità, specie in concomitanza con l'esplosione della crisi economica del 2008, le tensioni politiche tra le potenze occidentali e il terrorismo islamico numerose altre diatribe politico-sociali che avvelenano le nostre esistenze al punto da costringerci a rifuggire la realtà attraverso la fantasia, l'intrattenimento e dunque anche i videogiochi cooperativi o competitivi online, dove chiunque può assumere una seconda identità anche completamente diversa da quella reale, alla stregua di ciò che accade sui social network.

Un bacchettone qualsiasi avrebbe trattato la materia narrativa nata dalla penna di Cline puntando il dito contro la finzione insita nei mondi digitali, contro la voglia di evadere dei giovani, l'inutilità dei videogiochi e l'enorme mole di citazioni provenienti dall'immaginario nerd anni '80 presente nel romanzo sarebbe stato sciorinato semplicemente per accattivarsi un certo tipo di pubblico. Tra le mani di Spielberg, al contrario, l'avventura di Wade e dei suoi amici si trasforma nell'ennesimo Bildungsroman di qualità eccelsa della sua filmografia ma con al suo centro un tema che un artista del genere sente più di chiunque altro: la creatività. Il regista non condanna mai tutte quelle persone che tentano sbancare il lunario o semplicemente di dimenticare per qualche ora una vita miserabile attraverso Oasis perché questo enorme universo digitale rappresenta un'ambiente che fondamentalmente espande al massimo le possibilità creative di chiunque vi giochi, dove una ragazza può apparire come un alto e prestante uomo, un'altra può sfrecciare sulla moto di Kaneda vista in Akira (Katsuhiro Otomo, 1988) e un undicenne può diventare un maestro ninja. Per espresso volere del suo ideatore, a differenza di quanto accade con molti degli odierni videogiochi, il MMORPG del film non possiede quasi nessuna restrizione, nessuna pubblicità permettendo dunque a ogni suo utente di esprimere al massimo la propria immaginazione e di conseguenza di farne dei veri sceneggiatori dello script di Oasis. Si potrebbe dire che quest'ultimo rappresenti l'utopia di ogni sognatore, ciò che sarebbe dovuto essere il web 2.0 prima che le questioni economiche diventassero priorità, la concreta realizzazione di ogni creativo. Ecco la parola chiave. Tutta la pellicola ruota attorno allo scavo nella vita, nella psicologia e nelle emozioni vissute da Halliday, un uomo profondamente solo, incapace di costruire dei rapporti con gli altri nella vita fattuale eppure dotato di una tale immaginazione da aver unito tutto il mondo attraverso un universo parallelo che non frena la fantasia come accade nella quotidianità. La vittoria finale di Wade, colui che, stando alle parole di Samantha e alla conferma successiva di Ogden colui che più di tutti conosce e comprende il singolare game director defunto, non assume il semplice happy ending richiesto da un blockbuster per accontentare una platea più ampia possibile ma il compimento di una vera e propria lettera d'amore che Spielberg invia a tutti quei sognatori che hanno anteposto la propria visione dell'arte, della vita e dell'essere uomini a questioni di utilità, di sfruttamento altrui o di convenienza materiale. Dietro al volto del personaggio interpretato con straordinaria capacità empatica da Mark Rylance è affascinante rintracciare, come in un gioco, le possibili ascendenze da personaggi reali, soprattutto conoscenti del regista come George Lucas o Francis Ford Coppola, eccezionali storyteller sedotti e abbandonati da un mondo spietato come quello Hollywoodiano, ma in fondo ciò che conta per Spielberg non è certo a quale grande creativo si sia ispirato (potrebbe essere persino un riferimento autobiografico il suo), così come non è fondamentale rintracciare ogni singola citazione dall'immaginario pop anni '80 e '90, del quale comunque la pellicola si pone come una enciclopedia fornitissima. L'essenza del lungometraggio si trova tutta nelle semplici quanto sagge parole di Halliday con le quali ringrazia il suo giovane successore per aver giocato alla sua opera ma allo stesso tempo lo ammonisce su quanto sia importante raggiungere un equilibrio tra la creazione di mondi immaginari e la vita reale, l'unica nella quale si può davvero essere felici.

Purtroppo in questa sede mi è davvero impossibile sintetizzare la vastissima mole di suggestioni narrative, formali, poetiche presenti in Ready Player One e per questo ho deciso di focalizzarmi sulla centralità della creatività e del rapporto con il mondo di coloro che amano sognare. Vi ricordo che senza queste figure, spesso bistrattate perché diverse dall'idea di vincente che abbiamo in mente, non potremmo alleviare i dolori che accompagnano le vite di tutti noi con opere d'arte come quella in questione. Grazie Steven per avermi fatto giocare al tuo gioco più recente.

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