Oggi e in special misura per il pubblico italiano il regista norvegese Morten Tyldum viene riconosciuto grazie a due pellicole hollywoodiane con numerose candidature agli Academy Awards come The Imitation Game (2014) e il successivo Passengers (2016) ma la sua carriera ha in realtà trovato un punto di svolta con il precedente Headhunters (2011), ultimo lavoro del cineasta girato in patria. Il film in questione non solo risulta un trionfo al botteghino del paese scandinavo, tanto da posizionarsi ancora al primo posto nella classifica dei più grandi incassi nazionale, ma riesce anche a convincere a pieno la critica europea e americana, spalancandogli così le porte per il dorato mondo delle grandi produzioni statunitensi.
La voce over che accompagna l'incpit del lungometraggio rivela fin da subito il protagonista assoluto dello stesso, Roger Brown (Aksel Hennie), un selezionatore del personale specializzato in top manager che per poter mantenere un tenore di vita molto elevato si occupa anche di furti di opere d'arte con l'aiuto di Ove, un fanatico delle armi da fuoco che lavorando in una società di videosorveglianza si occupa di disattivare i dispositivi di sicurezza delle case da saccheggiare. La vita del ladro viene a complicarsi quando durante l'inaugurazione della galleria d'arte di sua moglie Diana conosce Clas (Nikolaj Coster-Waldau), ex dirigente di una società leader nel settore delle tecnologie GPS con un passato in un'unità speciale dell'esercito. L'uomo, presentato al protagonista dalla moglie, sostiene di possedere una tela originale di Rubens, un'opera che potrebbe rappresentare il tanto atteso colpo grosso, quello che permetterebbe al "cacciatore di teste" (così si definisce in gergo il ruolo del selezionatore di personale) di poter vivere per sempre nello sfarzo che intende donare alla sua bellissima consorte.
Rivelare ulteriori dettagli sui risvolti narrativi di Headhunters sicuramente rovinerebbe a quanti di voi non abbiano visto il film il piacere di alcune svolte più o meno inattese della trama, eppure non è certo questo un thriller che vive per depistare lo spettatore o un mind-game movie in stile Shyamalan o Nolan. Sebbene al lungometraggio di Tyldum non manchi nessuno degli elementi più archetipici del noir classico e della sua declinazione moderna nota come neo-noir (dall'ambiguità morale del protagonista alle femme fatale fino al tentativo di depistare le indagini della polizia) l'intera struttura di genere viene riletta attraverso un filtro di macabra ironia, a cominciare dalla già citata sequenza iniziale in cui Roger elenca le regole che il perfetto ladro di opere d'arte deve seguire, quasi come in un film di Tarantino o Guy Ritchie. Con l'intricarsi della vicenda e soprattutto nel momento in cui viene rivelata la reale natura di Clas il grottesco humour in questione assume connotati sempre più algidi e marcati, connotando una certa affiliazione non tanto al filone pulp in voga negli anni '90 quanto caso mai ai singolari thriller girati da Woody Allen quali Match Point (2005) e Irrational Man (2015), specie per quanto concerne l'importanza estrema che riveste il caos, la fortuna all'interno delle vicende umane e come appunto il caso possa determinarle ben più del libero arbitrio. Il protagonista, infatti, sebbene molto astuto e con un notevole istinto di sopravvivenza non è certo dotato delle abilità fisiche e dell'addestramento militare di cui gode il suo rivale e così, senza voler rivelare troppo della trama, nel finale dovrà davvero molto alla sorte. Persino la messa in scena scelta dal director, ricca di campi lunghi e inquadrature fuori asse, pone attraverso la distanza rispetto ai personaggi e la presenza quasi asfissiante di colori freddi la cinepresa in un ruolo quasi di occhio divino che osserva con distacco le disavventure di uomini e donne coinvolte, trovando un unico vero momento di empatia nella sequenza in cui il protagonista confessa a sua moglie i motivi che lo hanno spinto a rubare opere d'arte e riempirla di regali costosi.
Headhunters in definitiva potrebbe davvero catturare l'attenzione di ogni appassionato di Woody Allen e della sua poetica concernente la dialettica fortuna/libero arbitrio ma con la forza dei suoi ottimi attori e dell'innegabile qualità delle sue immagini trova il modo di farsi ricordare da qualsivoglia tipologia di spettatore, rendendo dunque evidenti i motivi del suo successo unilaterale.
Piccolo satellite orbitante attorno al pianeta Cinema ma con la forte attrazione anche per le altre arti e in particolare per quelle che più segnano la nostra contemporaneità: fumetto, videogame ecc. Fondamentale per me è che chi scriva qui abbia assoluta cognizione di causa (io ad esempio possiedo una laurea triennale al DAMS e una magistrale in scienze dello spettacolo). Auguro buona lettura e buona riflessione a chiunque voglia fermarsi su questo sperduto satellite della settima arte.
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