martedì 2 ottobre 2018

ASSASSIN'S CREED: VIOLENZA E CONVERGENZA NEL BLOCKBUSTER D'AUTORE DI KURZEL

Ormai persino i muri conoscono il mito della presunta impossibilità di trarre bei film da videogiochi di successo. La vulgata ricorda continuamente, a proposito di tale argomento, esempi negativi di trasposizioni dal medium videoludico come l'ormai famigerato Super Mario Bros. (Rocky Morton, Annabel Jankel) o le tante pellicole dirette da Uwe Boll eppure basterebbe una piccola dose di elasticità mentale e minimi studi sui rapporti tra i mezzi audiovisivi nel contemporaneo per rendersi conto di quanto il linguaggio cinematografico sia oggi debitore dei videogame (Inception, regia di Cristopher Nolan del 2010, docet) così come vi sia una minoranza di lungometraggi di notevole fattura, tra i quali spiccano Silent Hill (2006) di Christophe Gans e Warcraft (2016) di Duncan Jones. Proprio nel medesimo anno in cui il figlio di David Bowie realizza la sua terza opera un altro regista dotato di estetica e poetica proprie, oltre che più avvezzo al cinema da festival, quale Justin Kurzel dirige il suo primo blockbuster attingendo all'immenso bacino di suggestioni narrative e visuali della vasta saga di Assassin's Creed, prodotta da Ubisoft a partire dal 2007. A differenza del suo collega inglese, Kurzel per il suo Assassin's Creed opta per una storia originale solo ispirata alla mitologia originale, attirandosi in questo modo fin da subito le prime ire dell'enorme fanbase dei videogiochi. Alla sua uscita nelle sale la pellicola, vittima di evidenti pregiudizi sia da parte della critica per un beh testimoniato pregiudizio verso le trasposizioni videoludiche che da parte degli appassionati oltranzisti, si rivela un successo modesto al botteghino ma un vero e proprio fallimento in sede di recensione.

La volutamente esile narrazione del film concentra la propria lente su Callum Lynch (Michael Fassbender), condannato alla pena di morte per omicidio dopo aver vissuto una vita da sbandato, ricca di piccoli crimini e segnata indelebilmente dall'odio verso suo padre, colpevole di aver ucciso la madre davanti ai suoi occhi. A sua insaputa l'uomo non viene ucciso dall'iniezione letale comminatagli dalla legge, bensì si risveglia in una struttura segreta della multinazionale Abstergo, dove viene affidato alle cure della dottoressa Sofia Rikkin (Marion Cotillard). La ricercatrice e figlia del CEO della società Alan Rikkin (Jeremy Irons) è la responsabile del progetto legato all'utilizzo di una macchina avveniristica chiamata Animus in grado di trasportare colui che la utilizza all'interno dei suoi ricordi genetici, ossia di fargli rivivere episodi realmente esperiti dagli antenati di tale persona. L'Abstergo si serve di tale strumento per poter rintracciare la Mela dell'Eden, l'artefatto risalente alla notte dei tempi narrata dall'Antico Testamento e che pare contenga al suo interno il codice genetico responsabile del libero arbitrio. Questo mitico oggetto interessa così tanto alla società di Rikkin perché in realtà essa non è altro che una delle tante espressioni della secolare setta dei Templari, un gruppo di uomini di potere che nel corso della storia tenta di sopprimere la libertà per instaurare un unico regime pacifico da loro dominato. A rovinare i loro piani fin dagli albori della civiltà si pone la Confraternita degli Assassini, un ordine legato a un rigido credo e che agendo nell'ombra combatte ogni regime che offuschi l'espressione libera dell'umanità. Callum discende da una longeva stirpe di Assassini e viene scelto come cavia da Sofia perché un suo antenato vissuto nella Spagna rinascimentale, Aguilar de Nerha, è noto per essere stato l'ultimo uomo ad aver posseduto la Mela dell'Eden.

Da appassionato della serie videoludica mi preme sottolineare fin da subito che per quanto concerne la mitologia di quest'ultima Assassin's Creed si ispira solamente a parte di essa e che fin da subito mette in secondo piano lo sviluppo di quella narrazione improntata a una personalissima mescolanza di avventura in stile Indiana Jones con retroscena di fantapolitica intrisi di riferimenti alla archeologia misteriosa e alla teoria degli antichi astronauti. Il film in questione recupera alcuni elementi cardine dei videogame come la guerra secolare tra Templari e Assassini, le loro differenti convinzioni etiche e filosofiche, il ricorso all'Animus, la natura trascendente della Mela e tantissimi altri particolari piccoli o grandi che qualunque fan può cogliere facilmente (dal celebre motto della Confraternita fino a easter eggs legati alle armi presenti nelle bacheche della Abstergo) ma Kurzel mette in chiaro fin dall'incpit che ciò che lo affascina di questo universo risiede in ben altri aspetti. Alla stregua di quanto dimostrato nel precedente Macbeth (2015), il regista australiano concentra ancora una volta il suo singolare sguardo su due poli principali: il tema della violenza insita nell'animo umano e la messinscena. Per quanto concerne il primo aspetto, indissolubilmente legato ovviamente alla sfera poetica della filmografia di questo autore, appare evidente come le licenze poetiche prese rispetto all'opera videoludica derivino proprio dalla scelta di approfondire una tematica già presente nella saga ma che solo nella mente del cineasta diventa centrale. Per quanto dissimili per metodi e scopi sia i Templari che gli Assassini ricorrono a una violenza incessante, illimitata, incurante di vincoli emotivi o familiari e per questo sconvolgenti per chiunque non si trovi ad accettare la visione fondamentalista che gli adepti hanno sia del primo gruppo che dell'altro. Callum, esattamente come Ezio Auditore e Desmond Miles nei videogame, è consapevole di utilizzare metodi efferati esattamente quanto quelli del nemico e sa di essere lui stesso un uomo profondamente violento, segnato fin dall'infanzia dalla violenza e per questo inorridito inizialmente dalla Confraternita, colpevole con i suoi precetti della morte della madre esattamente quanto la mano del carnefice, il suo stesso padre. Mi sembra evidente come in questo legame viscerale tra l'aggressività bestiale insita nell'uomo e la distruzione della vita del protagonista dovuta a traumi dell'infanzia vi siano forti echi shakespeariani oltre che richiama alla tragedia attica classica ma tali riferimenti culturali vengono rielaborati dall'occhio contemporaneo di Kurzel, la cui visione appunto bestiale, anarchica e istintiva dell'essere umano viene dunque a convergere con la sua interpretazione del credo degli Assassini, baluardi dell'individualismo dell'uomo con i suoi lati migliori e anche quelli peggiori contro l'utopia o distopia di un mondo ordinato e privo di bellicosità grazie al dominio dell'oligarchia costituita dai Templari. Utilizzando un lessico caro a Nietzsche potremmo definire Callum e i suoi come degni rappresentanti di una visione dionisiaca dell'esistenza che affascina l'autore australiano, mentre i Rikkin, l'Abstergo e i Templari definiscono una Weltanschauung di matrice apollinea, composta, probabilmente pacifica ma priva delle passioni e della libertà insite nella natura ferina dell'uomo.

La dionisiaca idea del mondo di Kurzel viene confermata e anzi esplode in tutta la sua forza vitale dalla libertà con cui questi lascia in disparte la coerenza, l'approfondimento e la credibilità del racconto in favore di una messinscena estremamente estetizzante e personale. Date le ambizioni di una produzione con budget da 125 milioni di dollari quasi ogni director avrebbe optato per uno stile coerente con le ultime tendenze dei blockbuster di maggiore successo commerciale e quindi un certo allineamento verso i canoni piuttosto standardizzati dei cinecomics Marvel o più in generale dell'universo Disney e invece per il suo esordio in questo mondo dorato l'autore di Snowtown (2011) segue la scia dell'estetica barocca di Macbeth ibridandola con sequenza d'azione ricche di ralenti e inquadrature identiche a quelle dei videogiochi, piani sequenza digitali che seguono il volo dell'aquila simbolo degli Assassini e una netta separazione cromatica tra le scene ambientate nel presente e quelle nell'Animus. La stessa macchina a suo modo protagonista di questo mondo fantascientifico nella mente del regista si trasforma fisicamente e simbolicamente dal letto visto nella saga videoludica a una sorta di macchina di realtà virtuale. Questa modifica che potrebbe banalmente essere attribuita a una carente conoscenza delle opere d'origine (tutto il film dimostra quanto invece Kurzel abbia studiato il materiale originale) trova invece una sua ragion d'essere nel cambio di riferimento metaforico che l'Animus assume: nelle avventure su console e pc questo strumento richiama in maniera evidente alla dimensione del sogno, al confine labile che esiste tra esso e la realtà mentre invece nel film il suo funzionamento somiglia molto di più a quello delle attuali tecnologie di realtà virtuale e dunque in questo mondo il cineasta sembra suggerire come una chiave di lettura ipertestuale e convergente dell'opera in essere sia fondamentale in quanto i ricordi genetici di Callum finiscono per diventare come un videogioco contenuto in un film tratto da una serie videoludica. Una costruzione a scatole cinesi che descrive perfettamente l'importanza della convergenza tra i vari media audiovisivi nel cinema contemporaneo e allo stesso tempo spiega le particolari scelte estetiche della pellicola, compresa l'insistenza nel riproporre nelle sequenze ambientante nel 1492 inquadrature, stile di combattimento, parkour e persino effetti sonori identici a quelli del videogame.
Non male per un prodotto spazzatura tratto da quei stupidi giochi elettronici no?

Nessun commento:

Posta un commento