lunedì 15 ottobre 2018

NIGHTCRAWLER: L'ETICA DELL'IMMAGINE TRA CINEMA E MONDO ATTUALE

Dopo aver passato anni a scrivere per il cinema, proprio come il più celebre fratello Tony, Dan Gilroy esordisce alla regia nel 2014 con un progetto a basso budget prodotto dalla sua star incontrastata Jake Gyllenhaal: Lo sciacallo - Nightcrawler (in originale semplicemente Nightcrawler). Tramite la fama dell'attore portato alla ribalta da Donnie Darko (Richard Kelly, 2001), il passaparola tra gli spettatori e gli ottimi riscontri ricevuti ai festival il film si guadagna una buona fetta di mercato al box office ma soprattutto i favori di critica e pubblico di tutto il mondo, certificati dalle candidature ricevute ai Golden Globe e agli Academy Awards.

Centro gravitazionale dell'opera scritta e diretta da Gilroy è Lou Bloom (Jake Gyllenhaal), ladro di rame e altri metalli in cerca di una attività che gli permetta di sbancare il lunario come un vero imprenditore, convinto dalla sua istruzione fai da te online di avere tutte le carte in regola per poter scalare la piramide sociale con impegno, costanza e disposizione a imparare da qualunque situazione. L'opportunità che attendeva da anni gli capita quando per caso assiste alle riprese di un operatore freelance di crimini o eventi comunque appetibili per dei servizi giornalistici televisivi. Armato solamente della propria ferma volontà, una videocamera economica e una radio con la quale intercettare le frequenze della polizia l'uomo riesce a filmare un numero sempre maggiore e qualitativamente migliore di omicidi eclatanti, tutti rivenduti con soddisfazione a Nina Romina (Rene Russo), direttrice del tg di una emittente di Los Angeles in crisi di audience. Lou ben presto capisce che per espandere il proprio business necessita della rapidità che gli permetta di anticipare i colleghi edi immagini sempre più violente, a qualunque costo.

Come notato, piuttosto sagacemente, da molta critica nostrana sarebbe superficiale limitare questo Nightcrawler a un ennesimo attacco alla spettacolarizzazione esasperata della violenza da parte dei mass media, in particolare la televisione. In fondo lo stesso 2014 segna il successo mondiale di Gone Girl, opera nella quale Fincher mette alla berlina con il medesimo ironico disincanto, tipico del regista, sia l'istituzione del matrimonio che la spietata manipolazione della realtà operata da tv e social network, specialmente quando si tratta di eventi particolarmente violenti. Certamente nell'opera prima di Dan Gilroy non manca questa rappresentazione a metà tra nichilismo e umorismo della strumentalizzazione, per puri fini economici, delle notizie da parte dei media più diffusi eppure in questo caso tale tematica appare, in maniera forse più fine, come una declinazione simbolica della più ampia capacità del rapporto tra l'uomo e le immagini di rispecchiare la sua condizione attuale. La scelta di utilizzare proprio le riprese, seppur per finalità televisive, da parte di Lou per realizzare il suo proposito di diventare finalmente un imprenditore di successo, così come l'insistenza su dati procedimenti tecnici e formali tipici della settima arte, non possono non celare una profonda riflessione metalinguistica sulla relazione tra immagini cinematografiche e l'atto stesso del guardare in una società come quella contemporanea, bombardata ogni singolo giorno da pellicole di qualunque tipo e provenienza, sempre più "generose" in materia di violenza grafica in una dinamica di diretta proporzionalità tra scene truculente e insaziabile e morboso bisogno di alzare l'asticella di tali rappresentazioni. Lo stesso protagonista non appare spinto da un proprio intimo bisogno a superare ogni limite legale e morale pur di immortalare scene sempre più sanguinolente all'interno di contesti benestanti, bensì da una richiesta altrui sempre più pressante di queste immagini, come dei prodotti così richiesti dalla clientela da non poter essere ignorati da un provetto uomo d'affari come lo strambo personaggio ottimamente interpretato da Gyllenhaal.

Lou, in virtù di tale riflessione, appare non tanto come un avido cultore della violenza ma come il perfetto prototipo dell'esasperazione del modello capitalistico americano, del self-made man che tramite la propria ferma volontà riesce ad arrivare a un successo determinato solamente dal potere sul prossimo e dalla ricchezza pecuniaria, a discapito di ogni codice etico. Il figlio prediletto della crisi economica e morale scoppiata in tutta la sua cruda essenza nel 2008 proprio come Travis Bickle incarna la desolante condizione sociale scaturita dalla guerra in Vietnam.

Nightcrawler in poche parole costituisce un esordio estremamente interessante per Dan Gilroy, arricchito da una scrittura di grande livello, una performance conturbante da parte della propria star ma soprattutto una qualità visiva non così scontata per un regista formatosi principalmente con la parola scritta. Il digitale vivido e dotato di una profondità di campo quasi esasperata adottato per portare su schermo una Los Angeles notturna popolata solamente da criminali e avvoltoi richiama un modello non banale come quello di Michael Mann, rendendo ancora più evidente come oltre alla riflessione morale abbia un ruolo centrale quella sul mezzo cinematografico.

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