martedì 30 ottobre 2018

IL CASO SPOTLIGHT: IL CINEMA D'INCHIESTA AMERICANO DAL 1976 AL 2015

Quarantadue anni fa, nel 1976, arrivava nelle sale americane, nel pieno del clima di rinnovamento e sfiducia verso le istituzioni classiche causato dalle rivolte giovanili, dalla ferita costituita dalla Guerra del Vietnam, dalla scandalo Watergate e dalle nuove evoluzioni della New Hollywood, Tutti gli uomini del presidente (All President's Men), pellicola diretta da Alan J. Pakula capace di ricostruire con estrema lucidità e uno stile visivo da reportage di guerra proprio l'inchiesta che aveva portato alle dimissioni di Richard Nixon. L'enorme successo di quest'opera inaugurava la diffusione di un vero e proprio filone cinematografico statunitense legato dalla volontà di portare su schermo il coraggio e la caparbietà con la quale il giornalismo può smascherare gli intrighi di potere delle istituzioni solitamente intoccabili, sfruttando anche l'aria di complottismo conseguente proprio alla scoperta degli abusi di potere dell'ex presidente. Oggi, vivendo un decennio la cui parola d'ordine pare essere "vintage", tra le tantissime tendenze, tipologie di produzioni o modelli che vengono ripescate dal passato per essere adattate a un'idea dello stesso fortemente legato al sentimento nostalgico è possibile rintracciare proprio quel cinema d'inchiesta grazie soprattutto a Il caso Spotlight (Spotlight), quinto lungometraggio diretto dall'attore Tom McCarthy. L'opera girata nel 2015, certamente non l'unica a seguire questa linea d'indirizzo, merita una certa attenzione quantomeno per il successo che riscuote alla sua uscita, specialmente all'interno della critica anglofona che la elogia come uno dei migliori prodotti dell'anno, aiutandola persino a ben sei candidature agli Academy Awards, con tanto di vittoria nella categoria per il miglior film.

La pellicola ricostruisce, con notevole rispetto dei fatti realmente accaduti, l'inchiesta messa in piedi dalla squadra Spotlight del Boston Globe nel 2001 capace di portare alla luce una fitta rete di preti pedofili nella città del Massachusetts e soprattutto la connivenza del cardinale Bernard Law, al corrente degli atti orribili perpetrati da questi prelati e colpevole di aver organizzato un sistema di spostamenti degli stessi da una località all'altra e di risarcimenti economici secretati alle vittime per poterne coprire le tracce. Il team formato da Walter Robinson (Micheal Keaton), Michael Rezendes (Mark Ruffalo), Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams) e Matt Carroll (Brian d'Arcy James), sostenuto dal neodirettore Martin Baron (Liev Schreiber) riesce a rintracciare e soprattutto a rendere pubbliche le prove della colpevolezza di circa novanta preti e l'accondiscendenza del cardinale, nonostante l'ambiente omertoso nel quale si trovano a dover lavorare.

Dilungarsi sullo spinoso tema della diffusione della pedofilia all'interno delle schiere ecclesiastiche mi pare piuttosto superfluo in questa sede, specialmente perché proprio Spotlight lo affronta con una sobrietà, una consapevolezza della complessità dello stesso e, cosa fondamentale in ambito giornalistico, una aderenza alle fonti e alla loro attendibilità capaci di aprire gli occhi persino al più disinteressato degli spettatori. Una capacità tutt'altro che comune resa possibile dall'ottimo lavoro di sceneggiatura di McCarthy e Josh Singer ma in buona parte dovuta anche alla straordinaria performance attoriale di un cast composto da attori di prim'ordine accomunati dal disinteresse verso l'istrionismo o la tipica volontà di catalizzare l'attenzione del pubblico propria del divo, categoria alla quale in fondo sfuggono tutti gli interpreti presenti (si pensi a Keaton e alla sua lotta al divismo messa in scena in Birdman, girato dal messicano Inarritu nel 2014). Proprio la centralità degli attori e della creazione dei loro personaggi rappresenta uno dei tanti ponti che collegano l'opera in questione con quell'ondata di cinema d'inchiesta citata precedentemente e in particolare con Tutti gli uomini del presidente, anch'esso forte delle performance sobrie ma altrettanto potenti di interpreti quali Dustin Hoffman, Robert Redford o Martin Balsam e capace di riflettere non solo sul motivo etico alla base dell'indagine portata sul grande schermo (la fitta rete di abusi di potere di Nixon si rispecchia in quella creata da Law per occultare la pedofilia ecclesiastica) ma anche sul giornalismo stesso, sulla sua capacità di aprire o chiudere gli occhi delle persone comuni e sulla difficoltà nel riuscire a difendersi dalle pressioni politiche. Lo sguardo del regista di New Providence non può però essere il medesimo di Pakula, data la distanza temporale tra i due lungometraggi, e dunque il film del 2015 appare come l'ennesimo tentativo di riportare in vita un fenomeno passato attraverso una lente nostalgica tipica dell'estetica vintage: in particolare al lavoro svolto dall'autore di The Visitor (2007) manca la ricerca formale da reportage bellico tipica dello stile di Pakula, influenzato certamente dalle immagini del Vietnam e dall'ibridazione cinematografica delle stesse operate da altri cineasti della Hollywood Reinassance quali Francis Ford Coppola, George Lucas e John Milius. Nel 2015 i riferimenti culturali e visuali per un regista sono ovviamente ben diversi da quelli di quattro decenni fa e dunque risultano ben evidenti le influenze ben più contemporanee di McCarthy, specialmente quelle provenienti dal linguaggio del serial televisivo di genere thriller (si pensi alle varie serie facenti parte del franchise Law & Order).

Spotlight rappresenta in definitiva un caso esemplare della tendenza alla riscoperta del passato mediante un filtro di sapore nostalgico tipico dell'attuale cultura vintage e nel caso in essere a essere riportato alla luce è la cinematografia d'inchiesta giornalistica esplosa negli anni '70 negli USA. Questo ancoraggio al passato certamente non connota negativamente di per sé l'operazione svolta dall'autore e anzi potrebbe persino essere appropriato parlare di aggiornamento o evoluzione di taluni modelli, eppure mi pare un gran peccato aver sacrificato la ricerca stilistica presente in Tutti gli uomini del presidente e in generale tipica del grande cinema. Un difetto quasi mai notato dalla critica in sede di recensione del film, esattamente come pochi hanno dotato il giusto risalto alle magnifiche musiche composte da Howard Shore, forse il vero valore in più di Spotlight rispetto ai propri modelli.

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