mercoledì 31 ottobre 2018

MINE: IL DESERTO DEI TARTARI IN OGNUNO DI NOI

Come avevo precedentemente affermato a proposito di The End? L'inferno fuori il cinema di genere in Italia, dopo almeno due decenni di crisi e di chiusura verso una nicchia sempre più esigua, sta vivendo un vero e proprio rinascimento facendo proprio stilemi internazionali per poi rileggerli attraverso la realtà autoctona, proprio come accaduto negli anni d'oro di Cinecittà con la famiglia Bava, Riccardo Freda, Lucio Fulci, Antonio Margheriti, Sergio Leone e molti altri. All'interno di questa seconda giovinezza trova una propria posizione ben distinta Mine, primo lungometraggio diretto da Fabio Guaglione e Fabio Resinaro tramite una co-produzione tra Italia, Stati Uniti e Spagna sostenuta da Armie Hammer, produttore esecutivo e protagonista del film. Sebbene, piuttosto inspiegabilmente, l'opera prima dei due non abbia convinto la critica americana in Italia l'accoglienza si è rivelata ben più generosa, impreziosita da recensioni positive, buoni riscontri commerciali e varie candidature ai David di Donatello e al Nastro d'argento.

Protagonista assoluto della pellicola è il marine Mike Stevens (Armie Hammer), impegnato in una missione in Nord Africa come cecchino insieme all'amico Tommy. I due sono incaricati di assassinare un pericoloso terrorista ma Mike, sebbene possieda una mira infallibile, resta come pietrificato e rinuncia a colpire il bersaglio quando si rende conto che quest'ultimo si trovi coinvolto in un matrimonio e che l'unico modo per ucciderlo sarebbe stato sparare anche agli sposi. Scoperti dagli uomini al soldo del bersaglio mancato i due soldati fuggono attraverso il deserto e impossibilitati da alcune tempeste di sabbia a ricevere il soccorso immediato dei mezzi aerei si incamminano in cerca del primo villaggio disponibile. Durante la fuga finiscono loro malgrado in un vecchio campo minato: Tommy fa inavvertitamente scoppiare un ordigno mentre il compagno ne calpesta uno ma riesce a bloccarsi per evitare di azionarlo. Rimasto senza gambe e sanguinante l'osservatore si spara mentre Mike resta bloccato con il piede sulla mina in attesa dell'arrivo dei soccorsi.

Con un incipit in medias res Mine appare per i primi 20 minuti circa come un tipico war movie statunitense contemporaneo con l'ambientazione esotica, lo scontro ormai divenuto archetipico tra i marines buoni e i terroristi islamici cattivi e una coppia di protagonisti tendente al buddy movie, data la caratterizzazione opposta dei due (uno taciturno e pessimista, l'altro loquace e sempre pronto allo scherzo). Nel momento in cui Mike dimostra per la prima volta di non riuscire a muoversi, a fare un ulteriore passo nella propria vita, ossia quando evita di sparare al bersaglio, il film si trasforma in un thriller di sopravvivenza nel quale il deserto si tramuta da puro ambiente ad antagonista; una trappola che stringe d'assedio i due soldati proprio come farebbe un esercito nemico fino a farli cadere nell'imboscata del campo minato. Ed ecco che la pellicola subisce un'ulteriore e definitiva trasformazione: come un bruco che diventa crisalide e infine una farfalla l'opera prima di Fabio & Fabio (così si firmano nei titoli di testa) trova la propria identità matura in un viaggio metaforico e psicologico tra presente e passato, reale e immaginazione nel quale fattualmente Mike non si muove mai. Alla stregua di un contemporaneo Odisseo legato all'albero maestro della propria nave per non cedere alle lusinghe delle sirene il soldato americano tenta di resistere alla tentazione di spostare il piede dall'ordigno mantenendo una posizione che lo mantenga in vita ma che è anche identica a quella assunta da un uomo quando chiede la mano della donna amata e quella di un cavaliere durante l'atto di reverenza verso il proprio re e la propria regina. Il personaggio interpretato con notevole capacità fisica ed emotiva da Hammer conosce bene questa posizione poiché costituisce parte integrante di quel passato dal quale non riesce proprio a fuggire, nonostante l'escapismo che ha causato la sua scelta di arruolarsi, esattamente come la coppia di registi italiani conosce forme e contenuti della mitologia occidentale, sia essa di matrice ellenica o bretone, perché il lungometraggio appare intriso di riferimenti sia all'Odissea che al ciclo arturiano. Esattamente come l'eroe omerico Mike affronta un viaggio irto di insidie per poter tornare a casa dalla donna che ama, spesso alla deriva senza poter ricevere aiuto se non da figure incontrare lungo il percorso ma la sua peregrinazione è tutta interiore, simbolica e attraversa non i confini del mondo conosciuto ma il passato e i demoni che l'uomo ha portato con sé in missione. Resistere alla tentazione di abbandonarsi ancora una volta alla paura e all'immobilità, alla non-decisione non è facile per il protagonista, esattamente come è dura sopportare il clima avverso, la sete e gli assalti di creature selvagge che appaiono durante la notte proprio come creature infernali più mitologiche che reali.

La dura battaglia per la vita e la libertà combattuta da Mike si dipana tra visioni oniriche, ricordi in flashback e miraggi causati dalla stanchezza ma la notevole capacità di raccontare per immagini dei due cineasti italiani si palesa mediante la materializzazione di due archetipi della fiaba, l'antagonista e l'aiutante, nelle figure del già citato deserto e di un anonimo Berbero interpretato con enorme umanità da Clint Dyer. Esattamente come avviene nell'impianto narratologico del racconto fiabesco il deserto tenta in ogni modo di abbattere il desiderio di resistere e di liberarsi finalmente dei fardelli che bloccano il percorso di Mike mentre il saggio aiutante fa di tutto per mantenere in vita lo sconosciuto straniero e anzi, tramite un mix di saggezza e dolce ironia, mostra al soldato come la posizione nella quale questi si trovi sia dettata non da interventi esterni ma dalla sua paura, dal timore di commettere l'ennesimo errore diventando un mostro come suo padre. Un vero e proprio deserto dei Tartari personale dunque che tiene bloccato un singolo uomo esattamente come nel capolavoro di Buzzati accade per un esercito simbolo di un paese e di un intero sistema socio-politico come quello determinato dalla Guerra fredda. Questo e molto altro ancora è Mine, un esordio folgorante per due giovani registi che dimostrano un talento probabilmente appena scalfito e che magari un giorno verrà compreso anche oltreoceano.

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