lunedì 2 agosto 2021

SOUND OF METAL: UNA PRIVAZIONE CHE PROFUMA DI LIBERAZIONE

Dopo un principio all'insegna di una qualità spesso tendente al mediocre, l'universo dei film prodotti dai giganti dello streaming si è reso protagonista di un netto salto in avanti, spesso connesso anche al richiamo nei confronti di cineasti già affermati o di esordienti attratti dalla possibilità di ricevere più libertà creativa. A questo secondo gruppo pertiene Darius Marder, che dirige il suo primo lungometraggio per Amazon dal titolo Sound of Metal (2019). In realtà il regista è già un nome discretamente affermato a Hollywood, specialmente dopo aver firmato la sceneggiatura di Come un tuono (The Place Beyond the Pines, Derek Ciafrance, 2012), ma è proprio il passaggio alla regia a regalargli un enorme successo di critica, con numerose candidature prestigiose e l'inclusione dell'opera in molte liste dei migliori film dell'anno.

La pellicola segue la repentina perdita dell'udito da parte di Ruben (Riz Ahmed), batterista del duo di rock sperimentale Blackgammon, che condivide con la compagna e vocalist Lou (Olivia Cooke). Non essendo più in grado di continuare il tour con la band, l'uomo cerca un modo per riacquisire il senso deteriorato, scoprendo però di non potersi permettere un costoso impianto acustico. Come alternativa all'intervento chirurgico il protagonista, ex tossico, viene indirizzato dal suo vecchio sponsor a una comunità per sordi, che ha lo scopo di aiutare ad accettare e convivere con tale condizione, a patto di rinunciare ai rapporti con gli affetti esterni.

Nato come progetto, peraltro estremamente legato al proprio personale vissuto, del già citato Ciafrance, Sound of Metal condivide molte scelte tematiche e formali con Blue Valentine (2010), probabilmente il titolo più noto nella filmografia del cineasta originario del Colorado. Nonostante il passato da sceneggiatore, Marder dirige un lungometraggio in cui lo script funziona principalmente come un canovaccio da commedia dell'arte, in cui gran parte della drammaturgia viene affidata alle performance attoriali e, in questo caso, alle scelte di regia, tutt'altro che limitate ai classici schemi hollywoodiani. Ricorrendo abbondantemente alla camera in spalla, il director esordiente segue costantemente, soprattutto alle spalle, Ruben, donando al film, unitamente alla completa rinuncia a qualsivoglia musica extradiegetica, uno stile documentaristico molto simile a quello del lavoro con Ryan Gosling e Michelle Williams. Nella pellicola in analisi, però, la decisione di mantenere un registro antispettacolare tradisce la volontà di rendere il pubblico emotivamente e sensorialmente partecipe della nuova condizione con cui si trova a convivere il protagonista, quasi come se ogni singolo fruitore si trovasse accanto a lui e dentro la sua testa.

In questo senso diventa fondamentale il lavoro svolto in sede di sound design: l'alternanza tra suoni ovattati e lunghi silenzi, atti a rappresentare la soggettività dell'ex batterista, con i rumori e le voci riprese con estrema chiarezza nel momento in cui la macchina da presa si allontana da quest'ultimo enfatizza da un lato la distanza che intercorre tra percezione soggettiva e oggettiva, dall'altro la solitudine, la bolla in cui finisce per trovarsi un uomo privato di uno dei cinque sensi. Ancor peggiore risulta questa privazione quando a subirla è un musicista, che letteralmente fa dell'udito, delle vibrazioni e della melodia la propria ragion d'essere. Senza più questo scopo, Ruben è costretto a reinventare se stesso e il proprio rapporto con l'esistenza stessa, osservando persino la relazione con la donna della sua vita da una distanza che ne modifica irrimediabilmente le coordinate.

Tutto ciò avrebbe avuto tutt'altro impatto emotivo senza la strepitosa prova attorica di Riz Ahmed, che, oltre a suonare in prima persona la batteria durante le sequenze musicali, dona un'umanità vivida, delicata e brutale al tempo stesso a un personaggio che trova nella perdita dell'udito una sorta di ultimatum ad affrontare finalmente la questione relativa al proprio posto nel mondo. Sound of Metal, difatti, non si limita a dipingere, senza scadere nel patetismo, il rapporto tra singolo individuo e società dinanzi alla diversità, bensì mette in scena la maturazione, il processo di disintossicazione nei confronti di un mondo divenuto fin troppo caotico e rumoroso, persino per l'amore.

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