giovedì 4 luglio 2019

ALBA ROSSA: L'OPERA DEFINITIVA (E BISTRATTATA) DI JOHN MILIUS

La New Hollywood viene ormai considerata come una fase per lo più transitoria, per quanto rivoluzionaria, all'interno del percorso storico del cinema americano ma è innegabile come molti dei suoi protagonisti siano tra i registi più influenti degli ultimi decenni (si pensi a Scorsese, Spielberg, Lucas ecc.). Tra i membri proprio di quel gruppo di amici cineasti che tentarono di imporre la figura del regista all'interno di un sistema tradizionalmente legato agli studios e ai produttori, oggi ho deciso di rievocare uno di quelli che, purtroppo, ha trovato meno fortuna, soprattutto a causa di idee politiche poco compatibili con Hollywood e di un carattere estremamente inviso alle regole o all'autorità: John Milius. Certo non si può dire che l'ex compagno di università di Lucas non abbia avuto una carriera di tutto rispetto, la cui ciliegina sulla torta resta la sceneggiatura di Apocalypse Now (Francis Ford Coppola, 1979), ma di fatto la sua avventura nell'olimpo del cinema si è conclusa con la metà degli anni Ottanta. Mentre Spielberg continua a tirare fuori lavori da centinaia di migliaia di dollari di incasso Milius non frequenta i set hollywoodiani da circa trent'anni, facendo un rapido raffronto con un altro dei suoi amici e colleghi. Percorrere in poche righe l'excursus di questo autore e soprattutto i motivi della sua parabola discendente sarebbe, chiaramente, una mistificazione della realtà del tutto velleitaria e dunque ho deciso di rendergli giustizia riportando un piccolo spiraglio di luce sull'ultimo successo (almeno economico) della sua filmografia, Alba rossa (Red Dawn, 1984).

Ambientata in un ipotetico futuro nel quale la NATO è stata sciolta, le armi nucleari sul suolo europeo rese inoffensive e l'Unione sovietica è costretta a fronteggiare una carestia senza precedenti, la pellicola si concentra sulla reazione di un gruppo di adolescenti della provincia americana all'invasione del suolo statunitense da parte di un esercito composto da milizie russe, cubane e nicaraguensi congiunte. Guidati dal più maturo Jed (Patrick Swayze) e dal fratello minore Matt (Charlie Sheen), entrambi addestrati alla caccia e alla sopravvivenza in montagna dal padre (Harry Dean Stanton), i ragazzi si rifugiano proprio tra le asperità del Colorado per sfuggire alla prigionia e organizzare una resistenza armata. Purtroppo l'unico aiuto dagli adulti che riceveranno sarà quello, del tutto inaspettato, del tenente colonnello Tanner (Powers Boothe), il quale darà loro i rudimenti di tattica militare necessari a mettere in seria difficoltà i nemici.

Come spesso accade con i film diretti da autori che negano di schierarsi apertamente con il Partito Democratico americano, Alba rossa, nonostante i buonissimi risultati al box office, è sempre stato criticato per una presunta ideologia destrorsa o addirittura filofascista che renderebbe impossibile giudicarlo positivamente. Lungi da me parlare di politica (o meglio, di partiti e schieramenti) in questa sede, ciò che mi preme sottolineare a tale proposito è solamente che in realtà vi è davvero poco spazio all'interno della pellicola per messaggi prettamente reazionari o addirittura di estrema destra: credo che in una storia di resistenza da parte di ragazzini all'oppressione di un'invasione vi sia caso mai una grande analogia con quanto accaduto ai gruppi di partigiani organizzatisi all'interno dei paesi invasi dalle forze nazionalsocialiste durante la Seconda guerra mondiale. Insomma mi pare l'ennesimo caso di caccia alle streghe inversa rispetto al maccartismo, quella con cui si ritrova ad avere a che fare a ogni suo nuovo lavoro Clint Eastwood e che ha sicuramente avuto una buona parte nel rendere inviso al cinefilo medio Zack Snyder (mi riferisco in particolare alle accuse di propaganda fascista rivolte al suo 300 del 2007). 
Chiusa questa, antipatica, parentesi torno a parlare di cinema e, nello specifico, dell'incontestabile cura con cui Milius, a partire da una storia di Kevin Reynolds, immagina un ipotetico scenario socio-politico futuribile che negli anni della presidenza Reagan, dell'invasione sovietica dell'Afghanistan e del riaccendersi della tensione tra le superpotenze poteva essere percepito come tutt'altro che irrealizzabile. Nel titolo di questo mio articolo ho voluto definire questo film come l'opera definitiva del regista di Un mercoledì da leoni (Big Wednesday, 1978) proprio perché questa ambientazione da Terza guerra mondiale sviluppata con grande conoscenza della situazione geo-politica del tempo, sintomo della mai celata fascinazione dell'autore nei confronti della guerra, diviene in realtà solamente uno sfondo per raccontare, ancora una volta, una storia di formazione, l'ennesimo passaggio dall'età aurea della fanciullezza alla brutalità dell'età adulta. Proprio come nell'appena citato lungometraggio popolato da giovani surfisti, così come nel fantasy Conan il barbaro (Conan the Barbarian, 1982), Milius mette in scena la guerra in quanto simbolo dell'orrore, del dolore e delle sofferenze che caratterizzano la maturità e il traumatico abbandono dell'adolescenza, l'ultimo baluardo dell'innocenza umana. Che si tratti del Vietnam, dell'invasione degli Stati Uniti da parte di una coalizione comunista o della rappresaglia di una tribù sanguinaria, nel cinema del regista nato a Saint Louis l'evento bellico è sempre l'evento che forza i ragazzi a diventare uomini, che li strappa dall'affetto della famiglia e soprattutto dal gruppo di amici, nucleo sociale fondamentale sia per il Milius cineasta che per il Milius uomo (a tal proposito vi consiglio di leggere le avventure di cameratismo e amore per il cinema che in gioventù aveva vissuto con l'amico fraterno Lucas). All'intero di questa Weltanschauung trova dunque la propria ragion d'essere anche la tanto vituperata violenza che caratterizza la pellicola, certamente tutt'altro che edulcorata ma mai pornografica dato che finisce per risultare parte centrale del percorso di formazione da parte di Jed e dei suoi "commilitoni", inizialmente semplici adolescenti della provincia americana vista in centinaia di film coevi ma che, con il passare dei mesi, si trovano loro malgrado ad accettare, senza neanche rendersene conto, le spietate leggi della guerra, con tanto di fucilazione a sangue freddo di un traditore e la formazione di un evidente disturbo da stress post-traumatico in uno dei ragazzi.
Proprio come nella giungla asiatica di Apocalypse Now il conflitto bellico semina orrore e genera mostri in ogni schieramento, riducendo il concetto di umanità a un pallido ricordo di un tempo lontano in cui regnava la pace. Risulta quanto mai interessante il parallelo con il film diretto da Francis Ford Coppola nel momento in cui si riflette su come i protagonisti possano essere equiparati ai vietcong assediati da un esercito venuto dall'altra parte dell'oceano, così come, allo stesso tempo, al microcosmo creatosi attorno al colonnello Kurtz, isolatosi all'interno dell'impenetrabile territorio tra Vietnam e Cambogia per creare una sorta di comunità che mescola il socialismo utopico con quello di stampo totalitario stalinista, incentrato sulla fedeltà a un leader unico.

Alla luce di quanto detto, seppur brevemente, pare davvero impossibile tacciare di reazionarismo Alba rossa (se non forse nella posticcia inquadratura finale), forte di uno spirito indissolubilmente legato allo spirito ribelle e giovanilistico della Hollywood Reinassance con influenze da un romanzo tutt'altro che fascista quale Il signore delle mosche di William Holding. Se proprio si vuole rintracciare un certo sentimento di autentico patriottismo americano lo si può scovare nel registro formale adottato da Milius, evidentemente debitore del western classico e delle sue tipiche panoramiche tra i paesaggi incontaminati degli States che il mondo intero ha imparato a conoscere attraverso i lavori di John Ford. Stavolta però la frontiera del mito a stelle strisce non deve più essere conquistata dagli "invasori" cow boy contro il volere dei nativi, bensì difesa e riacquisita dai conquistatori sovietici.

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