domenica 7 luglio 2019

TRUE DETECTIVE: IL NUOVO CRIME TRA TV E CINEMA, FINCHER E NIETZSCHE

Da almeno un decennio, complice anche l'arrivo in quasi ogni casa dei servizi di streaming on demand come Netflix, è esploso il fenomeno della serialità televisiva come serio rivale del cinema in quanto linguaggio audiovisivo preferito dal pubblico. Certamente la diffusione di questo mezzo è strettamente connessa alla generale convergenza creatasi tra la fine del secondo e l'inizio del terzo millennio tra cinema, televisione, videogame, fumetto e numerose altre espressioni artistiche che maggiormente definiscono la contemporaneità e, anche in virtù di tutto ciò, molti talenti della settima arte si sono spostati verso il piccolo schermo, sperimentando i limiti e le possibilità loro offerte da sistemi produttivi diversi da quello hollywoodiano. Il risultato di queste ibridazioni è riscontrabile soprattutto nell'enorme qualità di un numero sempre crescente di prodotti seriali, di qualunque genere o target, tra i quali trova un posto di spicco True Detective, creata e sceneggiata da Nic Pizzolatto nel 2014. A oggi questo serial risulta composto da tre stagioni, ognuno indipendente narrativamente dalle altre, ma oggi ho scelto di occuparmi esclusivamente della prima, i cui otto episodi sono stati diretti unicamente da Cary Fukunaga. Un successo enorme, sia di critica che di pubblico, che merita un approfondimento.

Spostandosi costantemente tra il 2012 e 1995 (con alcune incursioni nel 2002), il serial si incentra sulle indagini della eterogenea coppia di detective del Louisiana composta dal padre di famiglia Marty Hart (Woody Harrelson) e dal nichilista Rust Cohle (Matthew McConaughey) su un omicidio rituale di una ragazza. La coppia si rende subito conto di aver a che fare con un serial killer ma, nel corso degli anni, la caccia all'assassino si trasforma in una lotta contro un intero sistema corrotto e le miserie della vita privata dei due.

Sebbene la stagione in questione sia composta da "soli" otto episodi, una cifra piuttosto contenuta per la media dei serial televisivi, la complessità stilistica e di contenuti che contraddistingue True Detective è davvero impossibile da indagare nelle poche righe di un post online. Il primo elemento che salta all'occhio, fin dal pilot, è l'enorme influenza del cinema, crime e non solo, su questa produzione. La scelta di un unico regista e di un solo sceneggiatore per tutti gli episodi, una rarità all'interno dei serial, dona una compattezza nella narrazione e nell'impianto formale tipicamente cinematografica, come se lo spettatore si trovasse dinanzi a un film della durata di circa otto ore, diluite da dissolvenze in nero e sigla di testa che segnano lo stacco tra una macrosequenza (episodio) e l'altra. All'interno di questo unico blocco emerge con chiarezza e libertà piuttosto inedita per il mezzo televisivo la visione della coppia di autori Pizzolatto-Fukunaga: il primo attinge a piene mani dal proprio bagaglio culturale influenze da letteratura di genere, fumetto e filosofia (sia europea che americana), mentre il secondo rielabora il crime movie adattandolo al proprio stile e al medium. Se la detection, la descrizione dell'ambiente poliziesco e la rappresentazione di un serial killer dalle velleità mistiche rientrano ormai nei topoi del suddetto genere, la declinazione di tutti questi elementi, in particolare il modello imposto da David Fincher con Seven (Se7en, 1995), diviene uno strumento, un mezzo per esplorare il lato più oscuro dell'essere umano e il rapporto tra la fede e tutto il male che l'uomo riesce a seminare. Innegabile è come queste tematiche siano alla base proprio della poetica del già menzionato autore di Gone Girl (L'amore bugiardo - Gone Girl, David Fincher, 2014) e dunque come questi si ponga quale riferimento costante per i due demiurghi dello show, eppure altrettanto evidente è la maggiore attenzione riposta da Pizzolatto sul ruolo della fede cristiana. La contrapposizione caratteriale, etica e filosofica tra Marty e Rust diventa un vero e proprio saggio sulla secolare dialettica tra la dottrina cristiana, con la sua impostazione trascendente ma anche le chiare contraddizioni morali, e l'ateismo nichilista incarnato dalla filosofia nietzschiana, specie nei testi della fase finale e febbricitante della parabola dell'autore di Così parlò Zarathustra. Prendendo in prestito assunti anche dalla visione di Thomas Hobbes di un uomo intrinsecamente portato al male e all'istinto di dominare sul prossimo, lo sceneggiatore statunitense mette continuamente in luce una visione della fede come puro rifugio dalla paura della mancanza di un qualunque senso trascendente della vita umana, capace persino di spingere alcuni uomini a commettere atti di una crudeltà indescrivibile. Anche le disavventure della vita privata di Marty, incapace di essere fedele a una moglie che ama profondamente, la costanza con cui viene mostrata l'inadeguatezza delle figure maschili dinanzi a donne che restano un vero e proprio mistero, impenetrabile al punto da divenire oggetti sessuali o corpi su cui sfogare le frustrazioni di una vita miserabile. Una cultura sfacciatamente maschilista che giustifica tale natura proprio attraverso supposti dogmi religiosi. Proprio nel momento di maggiore oscurità però emerge anche l'altra faccia della fede, la pars costruens che rischiara le tenebre dell'eterno ritorno, dell'homo homini lupus e della morte di Dio: il finale, l'esperienza pre-morte vissuta da Rust durante il coma gli fa riscoprire il valore dell'amore, degli affetti, dei rapporti con le altre persone e soprattutto la speranza per un futuro più brillante. In fondo il messaggio di Cristo è anche questo, il paradiso in Terra per gli uomini di buona volontà contro l'assenza totale di qualunque valore etico.

True Detective è tutto questo e moltissimo altro ancora, un lavoro denso di strati di significato e fruizione capace di incollare allo schermo (qualunque esso sia) dall'inizio fino alla fine, portando lo spettatore a riflettere, a vivere attivamente la tensione del thriller e ad ammirare la bellezza delle immagini di Fukunaga, specialmente il furente piano sequenza del quarto episodio.

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