Protagonista del lungometraggio è Sam (Andrew Garfield), trentenne losangelino che passa le giornate a oziare, principalmente cercando messaggi subliminali in vecchi programmi televisivi o facendo sesso con un'aspirante attrice (Riki Lindhome). Una sera trova il coraggio di avvicinare la sua nuova vicina di casa, Sarah (Riley Keough), con la quale trova un'inattesa affinità ma che il giorno seguente sparisce senza lasciare alcuna traccia. Il giovane decide dunque di lanciarsi nella ricerca di quest'ultima, finendo in un esteso sottobosco che lega tra di loro showbiz e senzatetto della città.
Analizzare la narrazione di Under the Silver Lake risulta un'operazione davvero ardua, così come può essere per lo spettatore riuscire a tenere il passo dei continui salti mortali di un impianto assolutamente anticlassico, il cui unico fil rouge risiede in Sam, le cui peregrinazione da un lato all'altro di Los Angeles ricordano quelle di Joaquin Phoenix in Vizio di forma (Inherent Vice, Paul Thomas Anderson, 2014). Quello che potrebbe sembrare un racconto ipertrofico, che procede per accumulo sfilacciandosi fino a superare le ambizioni dell'autore in realtà si rivela semplicemente la più coerente realizzazione dell'imperituro senso di smarrimento provato dal protagonista, assorto a sineddoche di un'intera generazione di millennials arrivata alla soglia dei trent'anni senza aver trovato alcuna Stele di Rosetta in grado di rendere leggibile il mondo lasciatogli da padri e nonni. Proprio come i protagonisti della saga di Scream, il giovane dal volto di Andrew Garfield tenta di rintracciare dei possibili significati all'interno della cultura pop in quanto unici strumenti con i quali sembra poter analizzare la vita ma anche quest'ultimo appiglio naufraga dolorosamente quando scopre che persino dietro un simbolo di ribellione giovanile come i Nirvana si nasconde il Compositore (Jeremy Bobb), simbolo di quelle generazioni precedenti che manovrano le vite dei figli come dei burattinai da teoria complottista.
Impossibile dunque scindere a livello teoretico la pellicola dal precedente It Follows, del quale riprende proprio la dialettica generazionale, aggiornandola però ai giovani adulti rispetto agli adolescenti e trasportandola nel cuore della Mecca del cinema, che domina ogni singola inquadratura ma finendo per essere decostruito e smitizzato, proprio al fine di sottolineare la totale mancanza di comunicabilità tra genitori e figli, come già evidenziava la scena iniziale con il colloquio telefonico tra Sam e la madre, in cui neanche la proposta di guardare lo stesso film sembra riuscire a ricucire un rapporto fin troppo distante.
Ancora una volta le musiche di Disasterpeace forniscono un apporto fondamentale alla narrazione, anche se in questo caso il musicista abbandona il sound elettronico a cui è solito per richiamare la tradizione più classica della Golden Age hollywoodiana, sottolineando l'intenzione da parte di Mitchell di scardinare il mito della cinefilia, così come lo si può riscontrare anche nella scelta di imbastire un plot inizialmente assimilabile ai canoni del noir postmoderno per poi strabordare in un crescendo di situazioni sempre più grottesche e impossibili da incanalare in un genere della classicità.
Under the Silver Lake, in conclusione, conferma il talento del proprio autore e anche i cardini della sua poetica tramite un racconto ricco di fascino e possibili chiavi di lettura, requisiti ideali per dare vita a una folta schiera di cultori.
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