sabato 11 marzo 2023

BABYLON: FOLLE E DISPERATO AMORE PER LA FABBRICA DEI SOGNI

Raramente nel panorama cinematografico si è parlato di enfant prodige come nel caso di Damien Chazelle, capace di trovare il successo planetario a soli ventinove anni con Whiplash (2014) e ottenere l'Oscar per la miglior regia a trentadue grazie a La La Land (2016). Una continua parabola ascendente che inizia a scricchiolare con First Man (2018), accolto benevolmente dalla critica ma con numeri al box office ben più bassi del previsto. Nonostante ciò il 2022 vede l'uscita della sua opera più ambiziosa, il period drama Babylon. Forte di un cast ricco di grandi nomi e un budget considerevole, il lungometraggio si rivela un enorme buco nell'acqua da un punto di vista commerciale e spacca nettamente i recensori, tra chi ne loda il coraggio e chi, invece, ne critica principalmente sceneggiatura e la libertà nel mostrato davanti alla cinepresa senza alcun pudore vomito, pissing e altri eccessi ancora poco tollerabili soprattutto in ambito americano.


Ambientata agli albori del cinema sonoro, la pellicola segue il travagliato percorso a Hollywood dei giovani Nellie LaRoy (Margot Robbie) e Manny Torres (Diego Calva), alla ricerca del proprio posto tra le star, come attrice lei, come produttore esecutivo lui, del musicista afroamericano Sydney Palmer (Jovan Adepo) e del più attempato divo Jack Conrad (Brad Pitt). Proprio la rivoluzione tecnica introdotta da Jazz Singer (Alan Crosland, 1927), segnerà il declino della carriera di tutti i personaggi, incapaci di restare al passo con i tempi e le rinnovate aspettative dell'industria.


Riprendendo una famosa definizione applicata all'industria cinematografica losangelina, Babylon tiene fede al proprio titolo mettendo in scena uno spettacolo strabordante, barocco (nell'accezione più filologica del termine) e completamente scevro di limiti per rappresentare al meglio quell'incredibile crogiolo di aspettative, speranze e talenti più o meno inquadrabili su cui si fonda Hollywood. Proprio come nei precedenti film, Chazelle, sfruttando anche il suo passato da musicista, imbastisce uno spartito privo di pause, del quale l'iniziale scena orgiastica, girata attraverso una serie di complessi long take che ne esaltano il dinamismo, diventa metonimia. Nellie, in particolare, sembra trascinare tutto il mondo che le ruota attorno, cinepresa compresa, in un vortice vitalistico quanto mai assimilabile all'adolescenza, in cui ogni emozione viene vissuta con un impeto estremo tipico di chi non vede alcun possibile traguardo alla propria corsa, se non il puro gusto di assaporare tutto l'assaporabile. Almeno fino a quando non sopraggiunge la maturità e con essa le responsabilità, il lavoro, i doveri di qualunque cittadino e così via, fino ad arrivare alla prospettiva che un giorno, senza alcun preavviso, potrebbe sopraggiungere la morte. Spartiacque tra la giovinezza e la vita adulta sembra essere per il cineasta statunitense il passaggio dal muto al sonoro: un enorme passo in avanti per le possibilità sensoriali della Settima arte ma che, al tempo stesso, in questa visione umanistica della storia riduce la libertà e la pura creatività di tutto l'ecosistema che gravita intorno alla più celebre collina al mondo, per catapultarlo in una nuova realtà all'insegna di perbenismo, pseudo intellettualismo e calcoli economici. Di colpo i pionieri del cinema, dopo aver vissuto al massimo, fino a godere di qualsivoglia eccesso edonistico, il lato più positivo del sogno americano si trovano a dover fare i conti con quello più mercantilista e oscuro, con conseguenze anche letali per chi è sempre stato abituato a sentire fino all'estremo, come dei novelli Werther.

Pur facendo riferimento a moltissimi personaggi o eventi realmente accaduti, con una notevole dovizia di particolari tipicamente cinefila, é chiaro come a Chazelle non interessi una ricostruzione filologica e storiograficamente fedele della fine degli Anni Trenta, bensì dare vita a un passato fortemente influenzato dall'io dell'artista. Hollywood diventa in tal senso un luogo del sentire prima che un luogo fisico e reale, simbolo di uno smisurato amore nei confronti dell'arte in ogni sua sfumatura, persino quando arriva a essere doloroso al punto da piangere lacrime amare tra centinaia di persona in una sala buia. La sequenza finale, con una carrellata, in ordine cronologico, di pellicole che hanno segnato la centenaria storia del cinema conclusa dal sorriso di Manny, rappresenta proprio il sentimento smodato, esasperato e disperato che il regista prova per quel magico telo bianco, proprio come altrettanto folle risulta Babylon.


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