mercoledì 26 maggio 2021

ARMY OF THE DEAD: DALL'EPICA SUPEREROISTICA AL B-MOVIE POSTMODERNO

A una manciata di mesi dal rilascio dell'atteso Zack Snyder's Justice League (2021) il regista di Green Bay torna su una piattaforma di streaming (stavolta Netflix) con il suo primo e vero nuovo lungometraggio dai tempi di Batman v Superman: Dawn of Justice (Zack Snyder, 2016), Army of the Dead (2021). Dopo la lunga parentesi all'interno del DCEU il cineasta statunitense filma il suo secondo lavoro scritto di proprio pugno, libero dalle comprovate pressioni subite dai vertici di Warner Bros. e, per la prima volta in carriera, si cimenta persino nel ruolo di direttore della fotografia. Un'opera dunque concepita interamente da Snyder in tutti i propri aspetti, seppur evidentemente legata al suo esordio al cinema con L'alba dei morti viventi (Dawn of the Dead, Zack Snyder, 2004) e tutto quell'immaginario di genere alla base dello stesso. Pur dividendo come al suo solito il pubblico tra accaniti fan e ancor più agguerriti detrattori, il film sembra aver incontrato il favore di buona parte della critica, facendo del 2021 una delle annate più fortunate per l'autore.

La pellicola è ambientata in un prossimo futuro immaginario nel quale la città di Las Vegas vive un completo isolamento rispetto al resto del mondo, a causa dello scoppio di un'epidemia che ha trasformato la popolazione in non-morti. All'interno delle mura che separano la capitale del gioco d'azzardo dal resto degli USA si trovano, oltre a un grande campo per la quarantena dei residenti sfuggiti al virus, ancora tutte le ricchezze nascoste nei casinò. Proprio il caveau di uno di questi diventa il bersaglio della missione ideata dal potente Hunter Bly (Hiroyuki Sanada), che affida il compito di recuperare i milioni al suo interno a un team assemblato dall'ex soldato Scott Ward (Dave Bautista) e dall'amica di lunga data Maria Cruz (Ana de la Reguera). La già ardua impresa verrà resa ancor più rischiosa dal tentativo da parte di Scott di ricreare un rapporto con sua figlia Kate (Ella Purnell), volontaria all'interno della zona di quarantena con cui non parla dallo scoppio dell'epidemia.

Fin dall'incipit intriso di ironia, appare evidente la distanza che separa Army of the Dead dai monumentali blockbuster basati sui personaggi DC diretti precedentemente da Snyder. Pur senza rinunciare ad alcuni ammiccamenti verso la tanto amata epica classica, il lungometraggio in questione abbandona il pathos e la sacralità che rivestivano eroi semidivini come Superman per abbracciare una dimensione ben più terrena, sia per quanto riguarda la diegesi che la forma cinematografica. Ricorrendo per la prima volta alle sole cineprese digitali, il regista americano opta per uno stile visuale meno pittorico e più aderente al reale, con largo utilizzo di camera a mano (già presente a onor del vero in alcuni suoi cinecomic ma sfruttata principalmente come ponte tra mito e attualità), effetti speciali artigianali e luce naturale. Una precisa cifra stilistica che rende i personaggi e le loro disavventure molto più umane e vicine allo spettatore, nonostante l'inusuale presenza costante di parti dell'inquadratura non messe a fuoco crei uno straniante effetto onirico che sembra suggerire la presenza di diversi piani di lettura degli accadimenti. Il monologo recitato dal personaggio di Vanderohe (Omari Hardwick) dinanzi alla cassaforte, insieme ad altri dettagli sparsi nel corso del film e alla dichiarata volontà di dare vita a un franchise multimediale a partire dallo stesso, hanno spinto molti spettatori a ipotizzare la presenza di un loop temporale che porta i protagonisti a ripetere più volte la propria missione ma, probabilmente, sia le suddette riflessioni del veterano laureato in filosofia che l'uso sperimentale di lenti vintage su una camera digitale risultano parte del discorso metatestuale e sociopolitico sotteso alla trama.

Pur negandosi una carica sovversiva feroce come quella dei propri epigoni, Snyder cita nel corso dell'opera alcuni capisaldi del cinema di genere horror e distopico, quali George A. Romero e John Carpenter, che omaggia in primo luogo negli snodi narrativi e nella caratterizzazione delle parti contrapposte. Come in 1997: Fuga da New York (Escape from New York, John Carpenter, 1981) il pubblico assiste a una missione di infiltrazione all'interno una ben nota città americana separata dal resto del mondo militarmente; come in La terra dei morti viventi (Land of the Dead, George A. Romero, 2005) le creature mostruose che ostacolano i protagonisti dimostrano un certo sviluppo sociale e persino emotivo, rendendoli più complessi rispetto agli zombie conosciuti nel 1968. Come già affermato precedentemente il regista di Green Bay ottempera le critiche feroci di questi riferimenti con una massiccia dose di humour e con l'inserimento di alcune tematiche a lui care, come il rapporto padri-figlie, ma resta evidente, a cominciare dai divertentissimi e sagaci titoli di testa la volontà di mettere mostra ancora una volta la natura ferina e bestiale dell'essere umano, esaltata da una società individualistica e connotata da una violenza primigenia come quella statunitense. L'emergenza della pandemia da COVID-19 hanno peraltro reso ancor più attuali e potenti le immagini di disumanizzazione legate ai sopravvissuti al contagio costretti a una lunga e opprimente quarantena tra le mura di Las Vegas, simbolo quanto mai evidente del capitalismo esasperato americano. Una forma mentis, quella incarnata dall'American Dream, messa alla berlina con notevole efficacia dalla umanità mostrata proprio dagli zombie, il cui leader Zeus (Richard Cetrone) plasma una vera e propria società complessa nella quale traspare un senso di appartenenza e pietas totalmente dimenticati dagli avidi umani. Un ribaltamento dei ruoli che riporta alla mente la trilogia conclusa da Matt Reeves e iniziata con L'alba del pianeta delle scimmie (Rise of the Planet fo the Apes, Ruper Wyatt, 2011), così come l'ambigua contrapposizione tra civiltà e stato di natura esplorata da Wes Craven in Le colline hanno gli occhi (The Hills Have Eyes, 1977).

Army of the Dead è dunque una nuova pietra miliare del genere? Non credo, data anche la sua natura crossmediale che verrà espansa tramite prequel, spin-off animati ecc. il film necessita di alcune espansioni che ne esplorino con maggiore profondità l'universo narrativo e alcune relazioni tra i personaggi lasciano l'amaro in bocca per quello che avrebbero potuto rappresentare con una cura maggiore. Nonostante ciò la pellicola centra in gran parte il proprio obiettivo, portare su schermo una divertente e sagace rilettura di un certo cinema, girato con passione da un regista che aveva bisogno di ritrovare il piacere di creare storie senza le incessanti pressioni del sistema degli studios attuali.

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