martedì 13 agosto 2019

RIDE: RIMEDIAZIONE MADE IN ITALY

All'interno del rinvigorito cinema di genere di matrice italiana che caratterizza la nostra (non)industria cinematografica il duo composto da Fabio Guaglione e Fabio Resinaro occupa senza alcun dubbio un ruolo centrale. Sebbene il loro Mine (2016) sia una co-produzione internazionale, girata in inglese, la paternità italiana non può essere negata e il buon riscontro ricevuto ha permesso ai due di occuparsi di una variegata serie di progetti, tra cui Ride, lungometraggio diretto dall'esordiente Jacopo Rondinelli ma scritto e prodotto dai due Fabio nel 2018. Proprio come per il film con Armie Hammer la critica nostrana ha premiato l'esordio di Rondinelli con ottime recensioni, totalmente giustificate a mio avviso, come scoprirete tra qualche riga.

Protagonisti assoluti della pellicola sono gli amici fraterni Kyle (Ludovic Hughes) e Max (Lorenzo Richelmy), uniti dalla passione per gli sport estremi (filmano e pubblicano su YouTube le proprie imprese) ma estremamente diversi di carattere: il primo è sposato e ha una figlia mentre l'altro vive costantemente sul filo del rasoio a causa di debiti di gioco. Proprio gli ultimatum violenti di un creditore e il bisogno di denaro per la famiglia di Kyle spingono i due ad accettare di partecipare a una misteriosa corsa organizzata da Black Babylon, organizzazione sconosciuta persino al web. Il fatto che la coppia venga letteralmente rapita con la forza e portata in una location segreta è la prima avvisaglia di un gioco che diventerà letale.

Rivelare oltre del tessuto narrativo di Ride sarebbe un vero delitto, data la crescente complessità dell'intreccio e i numerosi colpi di scena, resi ancora più inaspettati dalla iniziale struttura a metà tra il film di genere asciutto e l'high concept nello stile de Lo squalo (Jaws, Steven Spielberg, 1975). Il fatto che la trama sia stata ampliata da un fumetto testimonia non solo questa stratificazione narratologica ma, soprattutto, la natura prettamente ipertestuale e transmediale dell'opera. L'idea di utilizzare per le riprese action cam, droni e videocamere di sorveglianza è il primo e più forte indizio della centralità della rimediazione all'interno del progetto di Fabio&Fabio e di Rondinelli, specialmente perché non vi è alcuna presunzione di proporre immagini amatoriali rimontate per l'occasione come accade nel filone del mockumentary, con il quale condivide appunto il solo rifiuto di cineprese tradizionali e la vena horror. Tramite le GoPro montate sui caschi degli attori o sulle bici si crea un cortocircuito linguistico e diegetico tra l'adrenalina tipica del cinema action, lo stile delle riprese dei video amatoriali caricati sul web e il confine tra profilmico e non, dato che gli stessi protagonisti sono acrobati che postano su YouTube le loro imprese in cerca di fama. Questo assottigliamento della barriera tra diegesi e non ottenuta tramite un connubio estremamente riuscito tra narrazione e messinscena porta da un lato lo spettatore a riflettere su tematiche chiaramente attuali come la spasmodica ricerca della celebrità sul web, persino a rischio della vita propria o altrui, ma dall'altro anche a un rapporto empatico maggiore tra lo spettatore e le vicende a cui assiste, portandolo a vivere l'esperienza di adrenalina e terrore quasi in prima persona. Persino la struttura a livelli, sia del sadico gioco a cui partecipano Kyle e Max che del film stesso, richiama un altro medium, ossia il videogame, prendendo spunto in tal senso da puzzle film come Inception (Christopher Nolan, 2010) o Source Code (Duncan Jones, 2011), ampliando però l'identificazione con il linguaggio videoludico tramite lo spettacolo messo in piedi da Black Babylon, costellato da checkpoint sotto forma di monoliti neri che richiamano non solo il simbolo di 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick, 1968) ma anche il primo modello di Playstation 2, la console più venduta di tutti i tempi.

Ride riesce dunque a unire al suo interno linguaggi di media molto diversi (cinema, video amatoriale, videogame ecc.) in maniera personale ed estremamente funzionale a una narrazione dislocata in più opere e, cosa ancor più importante, avvincente, capace di mostrare ancora una volta la capacità dei registi italiani di fare cinema di genere di grande qualità, oltre che, in questo caso specifico, anche innovativo sul piano estetico.

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