giovedì 15 agosto 2019

ALITA - ANGELO DELLA BATTAGLIA: QUANDO LA TECNOLOGIA DIVENTA MAGIA

Per quasi vent'anni James Cameron, non esattamente un mestierante qualsiasi, ha cullato il sogno di trasformare in un lungometraggio live-action il manga sci-fi Alita l'angelo della battaglia (1990-1995) di Yukito Kishiro, nel quale aveva evidentemente visto molte delle ossessioni che affollano la sua poetica e che, non a caso, hanno ispirato anche il serial Dark Angel (2000-2002), creato dallo stesso autore canadese insieme a Charles H. Eglee. Dopo tanti ripensamenti, cambi di programma e slittamenti il 2019 ha finalmente portato alla luce Alita - Angelo della battaglia (Alita: Battle Angel), ideato interamente da Cameron in quanto sceneggiatore e produttore della pellicola ma diretto da Robert Rodriguez, scelto in queste vesti per la sua esperienza con il digitale e per l'ottimo riscontro ricevute dalle modifiche apportate allo script dal cineasta messicano. Concepito come il primo capitolo di una saga, il film si rivela il maggiore incasso nella carriera di Rodriguez con più di quattrocento milioni di dollari al botteghino mondiale. Una cifra enorme ma che potrebbe, purtroppo, non garantire il proseguimento del franchise a causa degli altissimi costi di produzione.

La pellicola, ambientata in un distopico futuro che, in seguito a una passata guerra, vede uomini e cyborg vivere insieme per la maggior parte nella Città di Ferro, vede come protagonista proprio un cyborg dalle fattezze di una adolescente ribattezzata Alita (Rosa Salazar) dal dottor Dyson (Christoph Waltz), che la trova all'interno di una discarica priva di gran parte del corpo. La ragazza, rimessa ins esto dal medico, non ricorda nulla del proprio passato ma inizia a scoprire la propria indole guerriera nel momento in cui aiuta il padre putativo in una delle sue ronde da cacciatore di taglie (figura chiamata Braccatore nell'universo del film), sconfiggendo facilmente il temibile Grewishka (Jackie Earle Haley). Nel tentativo di conoscere se stessa Alita si avvicina sempre di più a Hugo (Keenan Johnson), giovane meccanico che, a insaputa della protagonista, rapisce e priva di parti del corpo i cyborg per conto di Vector (Mahershala Ali), gangster del luogo e amante di Chiren (Jennifer Connelly), ex moglie di Dyson.

Sebbene Alita - Angelo della battaglia introduca nelle sue due ore molti spunti tematici e un variegato cosmo di personaggi, atti anche a essere approfonditi negli eventuali seguiti, appare chiaro fin dalla prima sequenza come il suo cuore sia tutto riposto nella dialettica tra corpo e macchina, umanità e tecnologia, guscio e contenuto. Chiunque sia abbastanza avvezzo al cinema di Cameron sa che la riflessione su questo rapporto tra organico e meccanico è ciò che muove tutte le sue opere, persino i documentari girati per la televisione, e dunque appare chiara la paternità da parte del canadese anche di questo progetto. Attraverso il connubio tra una stereoscopia quasi invisibile, agli antipodi di quella potentissima vista in Avatar (James Cameron, 2009), e una CGI così fotorealistica da permettere la presenza di una protagonista completamente realizzata in performance capture senza che stoni con i personaggi in carne e ossa, la pellicola riesce a rendere vivo e incredibilmente interessante un mondo futuro nel quale convivono (ancora la dialettica umano-meccanico) esseri completamente organici, cyborg e persone con innesti cibernetici più o meno invadenti. Sebbene la separazione, sia fisica che sociale, tra la Città di Ferro e Zalem, l'ultima città volante rimasta dopo la guerra e nella quale vive solo l'élite, richiami molto da vicino altre pellicole fantascientifiche come, in particolare, Elysium (Neill Blomkamp, 2013), la conformazione multietnica, plurilinguistica ed eterogenea anche dal punto di vista socio-economico rende molto originale la metropoli nella quale vivono Alita e gli altri personaggi, in parte riconducibile alla Los Angeles di Blade Runner (Ridley Scott, 1982), si distingue anche per l'architettura che unisce la sci-fi logora della saga di Star Wars agli edifici delle città mesoamericane

L'intera composizione etnica e socio-culturale dell'ambiente nel quale si svolge la pellicola richiama, in realtà, le megalopoli statunitensi e messicane popolate da quei latinoamericani che sono sempre stati al centro del cinema di Rodriguez. L'autore di Machete (2010) non si limita infatti a vivere all'ombra di Cameron, bensì modifica lo script per adattarlo ai temi che gli stanno a cuore, tra cui proprio la lotta di classe delle minoranze etniche, e anche al proprio stile post-rivoluzione digitale, come dimostrano le spettacolari quanto brutali sequenze d'azione, in cui, alla faccia delle restrizioni del PG-13, non mancano teste mozzate, corpi tagliati a metà e altri momenti sanguinolenti tipici del cineasta messicano. Certo non si finisce mai nei territori dello splatter visti in Planet Terror (2007) ma bisogna tenere a mente che Rodriguez è anche un regista affascinato dalle dinamiche genitori-figli (si pensi alla saga di Spy Kids) che emergono dal rapporto tra Alita e Dyson; una sorta di rilettura in versione cyberpunk di quello tra creatore-creatura e poi, appunto, padre-figlio che lega Geppetto e Pinocchio. Proprio l'elemento della fiaba convive con le riflessioni antropologiche prima citate e il romanzo di formazione della giovane protagonista, rinvigorendo ancora una volta quella dialettica tra tecnologia e umanità alla base del cinema di Cameron e di questo film. Potremmo dunque inserire Alita- Angelo della battaglia all'interno di quella fase della filmografia del canadese che, a partire da Titanic (1997), porta agli estremi la tecnologia cinematografica e la riflessione su di essa per ricreare nello spettatore quel senso di meraviglia che soltanto la magia, la prestidigitazione sa creare dello spettatore. La stessa magia che regna nel mondo della fiaba, persino quando l'eroe diventa la principessa in pericolo e il cavaliere il personaggio da salvare dal male.

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