giovedì 3 gennaio 2019

CHIAMAMI COL TUO NOME: IL CARME BUCOLICO SUL PRIMO AMORE DI GUADAGNINO

Alla stregua di quanto accaduto a Paolo Sorrentino durante la seconda metà della carriera, Luca Guadagnino è ormai da alcuni anni un autore molto stimato negli Stati Uniti ma piuttosto criticato in patria, dove, proprio come il collega napoletano, viene attaccato da molti cinefili e firme del settore per un presunto manierismo, una imputata impostazione cinematografica estetizzante volta a nascondere lacune di carattere narrativo e poetico. Quasi come a voler rispondere con i fatti a certe accuse, alquanto banali a mio modesto parere, il cineasta palermitano per il suo ultimo film si affida a uno sceneggiatore di grande affidabilità quale James Ivory per poi modificarne profondamente lo script fino a renderlo una perfetta sintesi delle visioni dei due autori: il risultato finale è Chiamami col tuo nome (Call Me by Your Name). La pellicola, una co-produzione tra USA e Italia, viene distribuita negli States nel 2017, dopo un'accoglienza trionfale al Sundance, mentre in Italia arriva solamente nel 2018, con il vento in poppa delle recensioni entusiastiche nel resto del mondo e un ottimo risultato al botteghino.

 Il film, che adatta l'omonimo romanzo realizzato da André Aciman nel 2007, si concentra sull'estate del 1983 vissuta da Elio (Timothéè Chalamet), diciassettenne di famiglia italoamericana di matrice ebraica che trascorre ogni anno le vacanze estive in una piccola cittadina immersa nelle campagne del nord Italia, e in particolare sui giorni trascorsi insieme a Oliver (Armie Hammer), studente ospitato dal padre (un professore di archeologia interpretato da Michael Stuhlbarg) durante i preparativi della sua tesi di dottorato. Il giovane protagonista, inizialmente indispettito dalla spavalderia e dal carisma dell'ospite, sente crescere un'attrazione sempre più forte verso il dottorando americano fino a rendersi conto di esserne innamorato e persino ricambiato, sebbene entrambi abbiano relazioni eterosessuali più o meno serie in corso. Nonostante sappiano di non poter esporsi troppo davanti agli estranei e che la presenza di Oliver in Italia è destinata a svanire nel giro di poche settimane i due scelgono di vivere la loro avventura, grazie anche all'appoggio, tutt'altro che scontato, dei genitori di Elio.

Dopo il languido A Bigger Splash (2015) Guadagnino realizza quello che potrebbe essere quasi il contraltare, il polo opposto della pellicola con Ralph Fiennes con Chiamami col tuo nome. Dall'estremo sud Italia di Pantelleria la pellicola in analisi si sposta nell'entroterra lombardo, da un presente quasi atemporale a un passato non troppo remoto in cui i richiami espliciti e filologicamente precisi sono una costante (dall'abbigliamento alla musica new wave passando per le strampalate discussioni su Bettino Craxi) ma soprattutto la cinepresa del cineasta palermitano smette di raccontare le torbide ossessioni di artisti in crisi di mezz'età per mettere in scena quella fase così candida e pure costituita dalla scoperta dell'amore. Certo non mancano anche in questo caso gli ambienti altoborghesi già visti nei precedenti lungometraggi e certi disquisizioni abbastanza spocchiose su arte, filosofia o letteratura che tanto innervosiscono i detrattori del Guadagnino-style ma si tratta soltanto di piccoli vezzi, di vizietti da rockstar assolutamente trascurabili dinanzi alla leggiadria e all'eleganza sinuosa quasi preraffaelita con la quale viene portato sul grande schermo il primo amore di un adolescente e la maturazione, anche dolorosa che ne consegue. La sceneggiatura originale di Ivory pare che presentasse una maggiore enfasi sul lato carnale della relazione tra Elio e Oliver e dunque un maggior numero di momenti sessuali espliciti e di nudi totali degli attori, una scelta certamente più vicina al gusto dell'autore statunitense e anche a quello di una buona fetta di pubblico "da festival". La maturità autoriale raggiunta da Guadagnino diventa dunque ben evidente proprio nella scelta di tagliare questa esplicitazione non solo per evidenti fini commerciali ma soprattutto per distanziare l'opera da A Bigger Splash, i cui nudi frontali di Fiennes trovavano una propria ragion d'essere nella natura provocatoria e decadente dei personaggi. La coppia interpretata da Chalament e Hammer rappresenta al contrario una sorta di versione contemporanea, adattata al terzo millennio, dell'amore cantato dalla poesia bucolica e pastorale che ha attraversato secoli della cultura occidentale, trovando una chiara fonte d'ispirazione soprattutto nelle leggiadre composizioni riconducibili all'Aminta del Tasso e alla successiva proliferazione arcadiche. Elio e Oliver imparano ad accettare i sentimenti che provano l'uno per l'altro all'interno di un ambiente certamente inserito all'interno di un ben delineato contesto geografico e temporale ma contemporaneamente la macchina da presa, con i suoi movimenti sinuosi e i lunghi piani sequenza, e la fotografia resa estremamente calda dall'uso costante di una forte illuminazione naturale rendono il piccolo sobborgo lombardo un luogo alieno, una vera e propria Arcadia che travalica la realtà fattuale per farsi epica, poesia, mito. All'interno di un contesto tanto vicino ai carmi pastorali non vi è spazio per quelle tentazioni maligne e le preoccupazioni che derivano dalla civilizzazione e dalla vita in città: se nelle ecloghe virgiliane il Male era rappresentato dal caos e dalla corruzione della politica nel film in analisi a essere escluse dall'idilliaco Eden nel Cremasco sono tutti quei pregiudizi e quelle convenzioni sociali che riaffiorano solamente nel finale, quando purtroppo Elio è costretto a sopportare la notizia delle imminenti nozze dell'uomo che ama. Non a caso il loro rapporto si spezza non appena uno dei due abbandona la piccola oasi in mezzo a un mondo meschino come quello dell'uomo contemporaneo, rimarcando in maniera definitiva la scelta di chiaro carattere poetico dietro alla forma leggiadra e rarefatta adottata da Guadagnino.

Probabilmente non piacerà a tutti, specie per i suoi ritmi così distesi e la vocazione lirica a omettere dal profilmico la sessualità più esplicita, eppure Call Me by Your Name è la risposta a chiunque credesse che l'autore di Io sono l'amore (2009) sapesse solo creare belle immagini.  

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