giovedì 10 gennaio 2019

GOOD TIME: UNA NOTTE NELL'INFERNO DEGLI EMARGINATI

Tra i titoli in concorso per la Palma d'oro al Festival di Cannes del 2017 riescono a trovare un posto anche i due fratelli Benny e Josh Safdie, coppia piuttosto nota tra i festival di cinema indipendente americani ma ancora poco conosciuti in Europa. Una situazione destinata a cambiare proprio grazie alla pellicola presentata alla manifestazione cinematografica transalpina: Good Time (2017). Quello che a oggi è il loro ultimo lavoro ottiene infatti recensioni entusiastiche da parte della critica di tutto il mondo, si aggiudica il premio per la miglior colonna musica a Cannes e, complice la presenza di una star del calibro di Robert Pattinson, riesce a incontrare un pubblico insolitamente vasto per i canoni dei due cineasti americani, sebbene in Italia il lungometraggio sia distribuito solamente tramite Netflix.

Nel corso di un giorno e di una notte la cinepresa segue le disavventure di Connie (Robert Pattinson) e Nick (Ben Safdie), due fratelli che vivono ai margini con espedienti tutt'altro che legali. Nick soffre di evidenti disabilità psichiche e per questo viene presentato in terapia ma il fratello lo porta via dallo studio del terapeuta per coinvolgerlo in una rapina in banca. Mentre si allontanano con il denaro ottenuto una bomba di vernice contenuta nelle banconote esplode causando un incidente nel quale muore l'autista assunto per la rapina e dando il via a una serie di complicazioni che portano all'arresto del più fratello più in difficoltà. Connie non intende lasciare Nick in carcere e dunque cerca in ogni modo di pagare la cauzione per il suo rilascio, coinvolgendo addirittura la sua stralunata ragazza Corey (Jennifer Jason Leigh), ma quando si rende conto di non avere alcuna possibilità di reperire la cifra necessaria decide di portare via il fratello, approfittando del suo ricovero in ospedale in seguito a una rissa con altri detenuti.

Pur essendo ambientato a New York e muovendosi tra alcuni topoi del cinema crime statunitense (la rapina, la rissa in carcere, il recupero di una partita di droga ecc.) Good Time si allontana nettamente dal genere, in particolare rifiutando uno degli aspetti insiti nelle storie di gangster a stelle e strisce: la patina glamour. Nella tradizione di questo genere nata negli USA e in seguito importata e riletta anche in paesi come la Francia (si pensi a Melville e al cosiddetto polar) o la Cina (John Woo su tutti) le azioni deprecabili e in generale la caratterizzazione dei malavitosi protagonisti vengono rivestiti di un alone fascinoso in grado di instaurare con il pubblico un rapporto di rispetto e attrazione verso figure che da un punto di vista etico sono facilmente riconoscibili come negative e che negli altri generi del cinema classico verrebbero dipinte in modo da risultare sgradite allo spettatore. Personaggi come Connie o lo spacciatore Ray (Buddy Duress) vengono ritratti senza alcun filtro che tenti di renderli epici o almeno affascinanti ma anzi ne viene sottolineato l'aspetto più disgraziato, l'appartenenza a un ceto sociale tutt'altro che distinto, il basso tasso di scolarizzazione e la tendenza a sfruttare qualsiasi espediente pur di arrivare a un profitto pecuniario. Nonostante tutto questo i Safdie, coadiuvati da un'interpretazione eccezionale di Pattinson, riescono a far esplodere la grande umanità di questi criminali sottoproletari, il loro cinismo legato soprattutto a un'ambiente nel quale vige ancora la legge del più forte che contrasta con l'innegabile amore fraterno che lega la coppia di sgangherati criminali protagonisti, sicuramente influenzato dal feeling che unisce proprio i due registi (non a caso Nick è interpretato proprio da uno dei due).
La macchina da presa , complice anche la scelta ben ponderata di evitare quasi del tutto ellissi temporali, si muove alternando piani di notevole suggestione visiva a primi piani spesso fuori asse che donano al film un assetto quasi da cinéma vérité, riportando alla memoria i primi lavori dei maestri della New Hollywood quali Martin Scorsese, Brian de Palma e Sidney Lumet, tutti autori di opere in grado di indagare gli umori e le atmosfere dei quartieri più popolari di New York senza mai porre giudizi di carattere morale sulle anime che li popolano. Allo stesso modo i fratelli Safdie delineano un lungometraggio nel quale la coppia di protagonisti sembra quasi essere stata scelta per puro caso tra gli altri migliaia di personaggi che vivono di espedienti come loro in un milieu messo volontariamente ai margini dai ceti più benestanti e istruiti della stessa città, come ben si evince dalla caratterizzazione dello psichiatra che cura Nick: un uomo armato di buone intenzioni (almeno all'apparenza) ma che sembra guardare ai propri pazienti con una sorta di distacco, una distanza di sicurezza sintomo di un pregiudizio nei confronti di queste persone. Persino il ricorso costante a un'illuminazione apparentemente antinaturalistica ricca di colori saturi e neon svolge egregiamente la funzione di richiamare l'attenzione dello spettatore non soltanto sui casi particolari di Connie, suo fratello e tutte le vite al limite che incontra nel corso del film ma sull'intero ecosistema rappresentato dai sobborghi più degradati della metropoli americana, della quale proprio le luci colorate rappresentano un simbolo inequivocabile.

Good Time può essere dunque ascritto a una tradizione ben consolidata di indagine, quasi antropologica, sui diversi, gli emarginati che popolano le zone meno pubblicizzate delle megalopoli occidentali che trova i suoi epigoni in figure di spicco del cinema mondiale come i già citati autori della New Hollywood o il francese Mathieu Kassovitz ma mostra la chiara impronta dei propri autori, come dimostra anche l'ipnotica colonna musica realizzata dal compositore Oneothrix Point Never.

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