giovedì 3 novembre 2016

OUIJA - L'ORIGINE DEL MALE: COME GIRARE UN OTTIMO SEQUEL/PREQUEL DI UN PESSIMO FILM


Arrivato nel periodo dell'odierno Halloween nelle sale con ben poche aspettative Ouija - L'origine del male (Ouija: Origin of Evil) si è rivelato una sorpresa graditissima, soprattutto per la critica internazionale. Diretto da una delle maggiori promesse del cinema horror americano, quel Mike Flanagan autore di perle quali Oculus (2013) e Hush (2016), la pellicola si pone come prequel dell'anonimo Ouija (opera prima di Stiles White) uscito nel 2014 trovandosi quindi nella scomoda posizione di dover portare avanti un eventuale franchise voluto dai potenti produttori Jason Blum e Michael Bay ma sul quale, viste le scarse qualità del primo lungometraggio, nessuno avrebbe scommesso neanche un centesimo.
La trama di questo prequel si svolge nel 1967 e narra le vicende della famiglia in pieno lutto a causa della morte dell'unica figura maschile formata da Alice Zander, una presunta medium, e le due figlie Lina e Doris. Le tre cercano di sopravvivere ai problemi emotivi ed economici con delle finte sedute spiritiche a pagamento che però non bastano a ripagare gli ingenti debiti che le assillano. La situazione cambia radicalmente quando, quasi per disperazione, Alice compra una tavoletta ouija scoprendo che grazie a essa la più piccola delle figlie riesce realmente a comunicare con gli spiriti e forse persino con il padre defunto. Ovviamente le entità che entrano in contatto con Doris si rivelano tutt'altro che benevole.

Chiunque abbia visto il primo episodio della saga potrebbe apprezzare l'opera di Flanagan anche solo per come abbia chiarito e dato un minimo di senso all'unico spunto interessante che vi si poteva rintracciare. Il cineasta in questione è però tutt'altro che un mero mestierante e anzi rivela persino in una causa quasi persa in partenza tutto il suo bagaglio tecnico e di esperienza nel genere nel quale si è sempre mosso con disinvoltura. La prima azzeccatissima scelta registica in cui si imbatte lo spettatore è la contestualizzazione accuratissima che si fa notare già dai titoli di testa: la pellicola è permeata delle atmosfere, la tecnologia (anche cinematografica), i colori e soprattutto le tensioni morali degli anni 60, come rivelano i pregiudizi di cui è vittima Alice in quanto donna che deve provvedere da sola a mantenere la famiglia o il naufragare dell'evidente attrazione sessuale tra lei e il prete Thomas. Nonostante gli appassionati di pellicole dell'orrore abbiano già assistito a scelte del genere nei due The Conjuring (James Wan; 2013, 2016) o in Insidious: Chapter 2 (James Wan; 2013) anche solo questo elemento crea una differenza qualitativa abissale tra i due esponenti del franchise basato sul famoso gioco da tavola della Hasbro. Alla ricostruzione molto credibile dell'ambientazione il giovane autore statunitense abbina un'ottima descrizione delle dinamiche emotive causate dalla morte dell'elemento cardine del nucleo familiare e in generale un'attenzione non usuale nel genere per la psicologia dei personaggi; a tal proposito ho trovato molto dolce e sottile la storia d'amore adolescenziale tra Lina e Mack, così innocente nell'oggettivarsi ma al tempo stesso coinvolgente, in pratica l'opposto di ogni rapporto amoroso tra giovani in un horror. Questa attenzione verso i personaggi porta lo spettatore a provare una vera empatia verso essi, a differenza degli insopportabili protagonisti del lungometraggio di Stiles White, e quindi ne amplifica anche le sensazione di angoscia e paura che per tutta la durata del film si basano sulla tensione ottenuta attraverso la sapiente regia dell'autore (ogni inquadratura risulta sempre impeccabile e alcune, come il primo piano su Doris che guarda in macchina mentre uno dei bambini che la maltrattavano si suicida a causa sua, sono da manuale)  e l'interpretazione terrificante (in senso positivo) della piccola Lulu Wilson, perfetta nel rendere sullo schermo la progressiva sconfitta dell'innocenza da parte del male attraverso la mimica e le contorsioni corporee.

In conclusione potreste chiedervi se sia bastato veramente un solo uomo a modificare radicalmente le sorti di un franchise da un stremo all'altro: ebbene la risposta è assolutamente positiva quando si affida una pellicola horror a un talento come quello di Mike Flanagan capace di dare una propria impronta come regista, sceneggiatore e montatore. In fondo molte tematiche di Ouija - L'origine del male sono tipiche del suo cinema, così come la costruzione dell'orrore ottenuta attraverso un sapiente lavoro sull'inquadratura richiama alla mente soprattutto Oculus. Insomma l'autore nel 2016 fa ancora la differenza, soprattutto quando si tratta di produzioni a basso budget in cui non ci sono estrosi divi o mirabolanti effetti speciali a poter salvare un prodotto scadente.
fatemi sapere la vostra opinione a riguardo.

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