giovedì 17 novembre 2016

OPERAZIONE U.N.C.L.E. : LA RIVOLUZIONE VINTAGE DELLA SPY STORY

Al 2015 risale l'ultima (per ora) fatica del celebre cineasta britannico Guy Ritchie (Snatch, 2000; Sherlock Holmes, 2009), una sorta di origin story o prequel dell'omonimo serial televisivo (Sam Rolfe, Norman Felton, 1964-68): The Man from U.N.C.L.E, ribattezzato in Italia Operazione U.N.C.L.E. Scritto, diretto e prodotto dal regista simbolo del pulp inglese anni 90 la pellicola arriva nelle sale a pochi mesi dal successo strepitoso di un'altra spy story ricca di humour e diretta, tra l'altro, da un autore dalla cifra stilistica sopra le righe proprio come lui; mi riferisco a Kingsmen: The Secret Service (Matthew Vaughn), il cui riscontro estremamente positivo ha creato una dose di indifferenza nei confronti di Operazione U.N.C.L.E. decretandone così una solamente discreta accoglienza critica ma soprattutto una perdita notevole di appeal per il pubblico, fattore che molto probabilmente impedirà la realizzazione di un sequel auspicato invece dall'epilogo della pellicola stessa.

La trama del film in analisi si rivela un topos del cinema spionistico, ovvero l'ennesimo tentativo da parte di agenti segreti disposti a superare qualsiasi limite legale e persino umano di sventare un piano che mette a rischio l'intero pianeta. A distinguere l'opera di Guy Ritchie già da un punto di vista puramente narrativo è la scelta di ambientare il tutto nei primi anni 60, nel pieno della guerra fredda e per di più le spie protagoniste sono le più improbabili che potessero collaborare per la salvezza dell'umanità: un ex (neanche tanto) ladro di opere d'arte con la mania per gli oggetti raffinati e le donne e ora agente della CIA (soltanto per evitare il carcere) interpretato da un carismatico Henry Cavill; un agente del KGB fisicamente sovrumano ma fin troppo preda delle proprie emozioni (Armie Hammer) e una meccanica di Berlino Est che segretamente lavora per il governo britannico portata sullo schermo da una Alicia Vikander che riesce quasi a rubare del tutto la scena persino ai suoi due compagni d'avventura. Se a questo si aggiunge un villain mai visto come la diabolica imprenditrice italiana Victoria Vinciguerra (Elizabeth Debicki), l'ambientazione spostata per gran parte dei 116 minuti in alcuni dei luoghi più splendidi del nostro paese e personaggi minori ma che
restano impressi come il torturatore nazista e il capo del servizio segreto britannico impersonato con perfetto charme da Hugh Grant capirete di trovarvi di fronte a una variazione sui canoni del genere non indifferente.

Messe in tavola le carte che riguardano le vicende narrate appare evidente la volontà di Guy Ritchie di imprimere il suo riconoscibilissimo marchio all'ennesimo sottogenere del cinema d'azione con cui si cimenta; Operazione U.N.C.L.E. infatti riprende molti dei più noti topoi del filone a cui appartiene ma rileggendoli attraverso molteplici chiavi di lettura, tutte tipiche dello stile del suo autore. Il filtro dell'autoironia è chiaramente quello che traspare per primo grazie alla sequenza d'apertura: l'agente Napoleon Solo (Henry Cavill) ha certamente i tratti del superuomo in stile James Bond ma già nell'inseguimento a Berlino est dimostra di essere tutt'altro che infallibile e si ritrova quasi sempre in situazioni pericolosa a causa dei propri "vizietti" e dell'estrema fiducia nelle sue capacità. Allo stesso modo il burbero russo di Armie Hammer non solo parodia molte delle caratteristiche attribuite ai sovietici da tanto cinema mainstream (si pensi all'Ivan Drago presente nel Rocky IV diretto da Sylvester Stallone nel 1985) ma quando si trova a dover fare squadra con il collega statunitense innesca degli sketch comici tanto esilaranti quanto taglienti verso la rivalità USA/URSS.

Insomma la pellicola è in realtà un buddy movie che fa il verso alla serietà del cinema d'azione passato come molti prodotti postmoderni degli ultimi anni? Assolutamente no, c'è molto di più in gioco. Come ho accennato precedentemente un'altra lente attraverso cui il regista di Snatch rilegge il genere spionistico è il preziosismo dell'ambientazione, in questo caso una Europa anni 60 divisa tra due poli opposti:da una parte lo squallore e l'angoscia che regna nella Berlino scissa mentre dall'altra si trova il benessere e il glamour dell'Italia del boom economico, della "dolce vita". Proprio "glamour" sembra essere la parola chiave alla base della ricostruzione dell'epoca da parte del cineasta inglese, il quale non si limita a renderla facilmente riconoscibile (l'inserimento nella colonna musica di brani come Il mio regno di Tenco ad esempio è non solo una finezza storica ma risveglia la nostalgia per quel decennio in qualsiasi spettatore) ma la rilegge appunto attraverso un'ottica "vintage" che avvicina l'estetica del lungometraggio a quella di uno spot di profumi o di alcolici raffinati che mescolata al montaggio estremamente personale tipico di Ritchie crea un cocktail ricco dei più disparati sapori: cinema, serial, pubblicità e persino fumetto. Interessantissime risultano per l'appunto le scelte operate in fase di montaggio, che invece di percorrere la ormai battutissima strada dello stile da videoclip opera per ellissi e continui balzi temporali; tutti i momenti di transizione vengono tagliati di netto e persino sequenze che dovrebbero costituire il cuore del genere, come l'invasione della base segreta dei Vinciguerra, vengono ridotte all'osso o addirittura raccontate in poche rapide inquadrature soltanto dopo averne già mostrato le conseguenze.

In conclusione Operazione U.N.C.L.E. risulta una rilettura pienamente autoriale di un genere che ha saputo trovare numerose conversioni con il cinema contemporaneo ma che mai come in questa opera, a mio avviso, aveva omaggiato un glorioso passato con una visione artistica pienamente attuale.

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