Dopo essersi fatto conoscere in tutto il mondo per alcuni tra i videoclip musicali più audaci dell'ultimo decennio, Romain Gavras, figlio del noto cineasta greco Costas-Gavras, presenta all'ultima edizione del Festival di Venezia il suo terzo lungometraggio: Athena. Pur senza ricevere una distribuzione in sala per quanto concerne l'Italia, il film ha attirato fin dalla proiezione al Lido opinioni contrastanti, soprattutto sul versante della narrazione e del suo rapporto con il versante più politico dell'attuale panorama cinematografico francese, esemplificato da quel Ladj Ly che firma la sceneggiatura dell'opera in analisi. Scopriamo se, come quasi sempre accade, la verità non si trovi semplicemente a metà tra le due barricate.
La pellicola racconta, in tempo reale, l'esplosione di una rivolta tra le banlieu parigine in seguito alla morte del giovane Idir, attribuita immediatamente a un eccesso di violenza da parte della polizia. In particolare al centro del racconto si trovano le diverse reazioni all'accaduto da parte dei fratelli del ragazzo: Karim (Sami Slimane) guida le sommosse, che troveranno il proprio cuore nel fittizio quartiere che dona il titolo al film, Moktar (Ouassini Embarek) pensa unicamente a proteggere i propri loschi affari dalle interferenze degli agenti, mentre Abdel (Dali Benssalah), soldato tutto d'un pezzo, si trova diviso tra il desiderio di mantenere l'ordine e il dolore per il lutto.
Fuorviati probabilmente dagli oggettivi punti di contatto con I miserabili (Les Misérables, Ladj Ly, 2019), molti recensori hanno accusato Athena di pressappochismo in relazione al contesto socio-politico che mette in scena o di vuota spettacolarizzazione, tradendo a mio avviso la reale dimensione di quest'ultimo. A differenza del succitato vincitore del premio della giuria al Festival di Cannes del 2019, il lungometraggio in analisi mostra con una certa fierezza una compattezza, a partire dal minutaggio, e uno schematismo narratologico tipico del cinema di genere, con una predilezione per il war movie. Fin dallo straordinario e lunghissimo piano sequenza che apre le danze lo spettatore viene progressivamente immerso in un ambiente urbano che assume immediatamente le coordinate ambientali e di dinamiche tra i personaggi topiche del cinema bellico: l'insistenza con cui la cinepresa resta costantemente vicina a Karim nel corso di esplosioni di fumogeni, scontri con le forze dell'ordine e inseguimenti in auto porta subito alla mente quanto visto in opere come 1917 (Sam Mendes, 2019) e Dunkirk (Christopher Nolan, 2017), che tentano di abbattere la barriera tra schermo e pubblico con una potenza sensoriale capace di rendere quest'ultimo estremamente partecipe del clima da battaglia proiettato. Sfruttando anche la lezione proveniente dal mondo videoludico Gavras riduce al minimo gli stacchi di montaggio, elimina completamente il classico découpage fondato su campi e controcampi, così da rendere la cinepresa una sorta di avatar dello spettatore inserito nel pieno della narrazione, raggiungendo una sorta di limbo tra la partecipazione parzialmente passiva del fruitore filmico e quella totalmente attiva del videogiocatore. Il risultato è uno showcase di cinema incalzante e esasperatamente dinamico, in pieno sincretismo con il racconto di un assedio che sfocia in battaglia campale, sulla scia di altri capisaldi del genere che si tinge di indagine sociale come Distretto 13 - Le brigate della morte (Assault on Precint 13, John Carpenter, 1976) o il connazionale Banlieue 13 (Pierre Morel, 2004).
Ulteriore conferma della sostanziale volontà di schierarsi all'interno di un panorama fortemente inserito negli schemi di genere, soprattutto action e bellico, è la dichiarata, fin dal titolo, ispirazione alla tragedia attica di Eschilo e Sofocle. Al di là del rispetto delle regole codificate dalla Poetica aristotelica, il film racconta in primo luogo la lotta di un nucleo familiare contro un Fato avverso a cui, nonostante gli sforzi, nessuno può sottrarsi. Sebbene i fratelli protagonisti dell'intreccio reagiscano ognuno a proprio modo alla perdita del più piccolo di casa, ciascuno percorre la sua personale discesa verso gli Inferi di omerica memoria arrivando a comprendere di non avere alcuna speranza di redenzione. Esemplare di tale dimensione tragica risulta la figura di Abdel, le cui intenzioni pacifiche e di stoico rispetto dei valori che la propria divisa rappresentano si trova a scontrarsi con la rabbia di un popolo intero e del suo io più profondo, portandolo inevitabilmente a un baratro fin troppo vicino a quello di eroi classici quali Oreste o Edipo. Un'ascendenza dalla più antica forma di rappresentazione di sé occidentale che però diviene modello narrativo anche per molti autori di pellicole d'azione e d'assedio come Walter Hill, i cui celebri I guerrieri della notte (The Warrior, 1979) e I guerrieri della palude silenziosa (Southern Comfort, 1981) nascono esattamente come versioni urbane delle immortali drammaturgie sofoclee.
Dove sta dunque la verità su Athena? Come sempre negli occhi di ogni singolo spettatore, che però prima di visionare e giudicare l'operato di Gavras ritengo debba inserirlo nel giusto contesto artistico (war movie e action movie) per poter godere senza fraintendimenti dell'ipercinetismo dei suoi 97 minuti.
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