lunedì 24 giugno 2019

LA CASA DELLE BAMBOLE: L'HORROR AMERICANO SECONDO LAUGIER

Nel 2008 il francese Pascal Laugier aveva sconvolto il mondo intero con Martyrs, pellicola capace di far parlare di sé non solo per il suo valore estetico ma anche per l'estrema violenza portata sullo schermo. Il clamore del film sembrava potesse dischiudere le porte di Hollywood al cineasta transalpino ma a oggi, proprio come successo ai suoi colleghi della cosiddetta New French Extremety quali Xavier Gens o la coppia Bustillo-Maury, gli USA sembrano non aver creduto davvero nel suo talento. Proprio in seguito allo scarso successo riscosso oltreoceano Laugier ha deciso di tornare a produzioni più indipendenti e legate al proprio paese d'origine dirigendo, nel 2018, La casa delle bambole (Ghostland), co-produzione tra Francia e Canada. Arrivato in Italia nel dicembre dello stesso anno, il lungometraggio ha riscontrato un discreto successo tra la critica nostrana e il pubblico, nonostante la limitata distribuzione, mentre ancora una volta gli Stati Uniti hanno confermato la loro ostilità al director.

Al centro delle vicende narrate si trova il nucleo familiare composto da Pauline (Mylene Farmer) e dalle sue due figlie adolescenti, Beth (Emilia Jones) e Vera (Taylor Hickson). Le tre sono in procinto di trasferirsi nella casa ereditata da una zia defunta, sebbene le ragazze non siano esattamente esaltate dall'idea di andare a vivere in un edificio pieno di bambole inquietanti all'interno di una dimenticata campagna. Proprio la prima sera all'interno della nuova dimora le donne vengono assalite da una coppia di squilibrati che violentano Vera e provano a uccidere Pauline. Proprio nel momento di maggior paura per Beth la madre pare avere la meglio su uno dei balordi ma improvvisamente l'azione si sposta avanti nel tempo, mostrando la stessa Beth adulta (Crystal Reed) nei panni di scrittrice di successo di romanzi horror.

Per quanto sterile possa essere l'esercizio comparativo con il sopracitato Martyrs mi pare innegabile come, al netto delle sostanziali divergenze, La casa delle bambole possa essere visto come un ritorno del regista ad alcune delle tematiche fondamentali del suo lavoro più celebre, aggiornate ovviamente dal passaggio di un decennio e dalle esperienze vissute nel contatto con gli Stati Uniti. Dopo aver affrontato in maniera estremamente esplicita il rapporto tra sguardo, violenza e mondo femminile, Laugier sembra aver deciso di utilizzare un registro maggiormente sotteso per continuare a portare avanti questa sua poetica esplosa nel 2008, facendo tesoro della lunghissima tradizione del cinema di genere americano e in particolare del new horror, prendendo in prestito topoi da pilastri come John Carpenter e Tobe Hooper. A tale proposito il cineasta francese opera un lavoro tutt'altro che banale di sincretismo tra il proprio background europeo e la lezione dei maestri americani, dando vita a un personale incrocio tra slasher a base di redneck e fiaba nera, senza omettere riferimenti metatestuali che ricordano Il seme della follia (In the Mouth of Madness, John Carpenter, 1994). Alternando il mondo reale con la fantasia creata da una delle protagoniste il film riflette, proprio come Martyrs, sulla potenza dello sguardo e su come sia strettamente legato alla violenza: le sevizie perpetrate dai due maniaci su Beth e Vera assumono una consistenza epistemologicamente effettiva solamente nel momento in cui la più giovane delle sorelle tiene gli occhi aperti, mentre l'intero mondo diegetico creato da Laugier si modifica completamente quando la ragazza si rifiuta di guardare, rifugiandosi in un universo partorito dalla propria mente. Se nella pellicola del 2008 Anna finiva per raggiungere uno stato di percezione altro in seguito alle torture subite in questo caso l'aspirante scrittrice abbandona la realtà fattuale per potergli sfuggire, evitando dunque di percepire il dolore. Due vie di ascesi molto diverse ma che rivelano allo stesso modo un'idea ben precisa della donna da parte dell'autore transalpino; una donna strettamente legata al concetto di violenza ma in quanto capace, evidentemente a differenza dell'uomo, di sopportare e vincere la sofferenza fisica, fino a ottenere una crescita etica e filosofica irraggiungibile per chiunque non abbia sofferto.

Date le differenza appena esposte a livello poetico, anche la messinscena del lungometraggio in analisi presenta un approccio complementare ma divergente nei confronti del precedente. Abbandonando montaggio rapido e macchina a mano, Laugier dimostra una notevole conoscenza dell'horror d'atmosfera sia americano che europero, sfruttando elementi costitutivi del genere (la casa stregata, le bambole, la periferia polverosa ecc.) e inquadrature classicamente composte per creare inquietudine nello spettatore fino poi a sorprenderlo negandogli soluzioni orrorifiche semplici o già viste migliaia di volte su schermo. In particolare la creazione della casa, ambientazione per eccellenza del film, riprende in superficie tutti i topoi o quasi del filone delle haunted houses, promette al pubblico momenti di spaventi puramente soprannaturali per poi spiazzarlo con momenti slasher, rendendo così l'ambiente una vera e propria espressione più dell'io interiore dei personaggi.

Probabilmente non ci trovai ai livelli di eccellenza raggiunti con Martyrs, eppure questo Ghostland possiede tutte le carte per intrattenere ogni appassionato di horror, senza rinunciare a bonus tutt'altro che irrilevanti provenienti dal grande talento visivo del cineasta francese, messo nuovamente al servizio di una certa riflessione che può essere ormai considerata a tutti gli effetti una personale poetica da auteur.

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