venerdì 26 aprile 2019

THE OLD MAN & THE GUN: EPITAFFIO VERSO LA NEW HOLLYWOOD E UNO DEI SUOI DIVI

David Lowery è un regista anagraficamente e cinematograficamente giovane, con soli quattro lungometraggi accreditati e una sola esperienza all'interno degli Studios, eppure sembra provenire da un passato che diventa sempre meno prossimo. Durante l'analisi di Senza santi in paradiso (Ain't Them Bodies Saints, 2013) avevo sottolineato come si avvertisse, sia esteticamente che tematicamente, la vicinanza del cineasta a quel tipo di cinema e con il suo ultimo lungometraggio conferma questa tendenza. The Old Man & the Gun, protagonista anche al Festival di Roma del 2018, tocca le corde di questa seduzione verso quel determinato periodo storico e filmico già presentandosi come l'interpretazione finale di un'icona quale Robert Redford, qui in veste anche di produttore. Trattandosi comunque di una produzione essenzialmente indie e a distribuzione limitata la pellicola non ha potuto godere di incassi stratosferici ma ha trovato un buon riscontro da parte del pubblico e soprattutto grandi consensi della critica, pronta a salutare un'istituzione della settima arte statunitense.

Le vicende narrate nel corso dei circa novantotto minuti di durata del film, ispirate a eventi reali ricostruiti in un celebre articolo giornalistico, si svolgono nel 1981, anno in cui sale agli onori della cronaca il rapinatore della terza età Forrest Tucker (Robert Redford), già evaso ben sedici volte da prigioni e riformatori e latitante da circa due anni dopo l'ennesima fuga dalla detenzione. L'uomo, aiutato da una coppia di coetanei (Danny Glover e Tom Waits), riesce con i propri modi garbati e un fascino da gentleman a colpire ogni tipo di banca e senza mai ricorrere alla violenza ma le cose si complicano quando si innamora di Jewel (Sissy Spacek), vedova conosciuta per caso, e i suoi crimini, ignorati a lungo dalle autorità, finiscono all'attenzione del detective sui generis John Hunt (Casey Affleck).

Nonostante quanto affermato in apertura a questo testo The Old Man & the Gun in larga parte si rivela ben diverso dall'esordio al lungometraggio del regista, specialmente per quanto concerne le evidenti influenze di Malick: l'utilizzo della voce over, le costanti inquadrature, con luce naturale, incentrate sulla natura vengono a mancare in questo caso, rendendo dunque vana l'idea di molta critica che credeva di trovarsi dinanzi a un imitatore dell'autore de La sottile linea rossa (The Thin Red Line, 1998). A voler essere precisi qualche eco malickiano è presente anche in quest'opera (basti pensare alla presenza nel cast della Spacek, musa di Badlands del 1974) ma finiscono per essere episodi circoscritti, o meglio ingranaggi non maggioritari di una macchina costituita da una reverenza panica nei confronti della New Hollywood. Persino la scelta del soggetto, l'ambientazione durante i primi anni Ottanta e l'evidente omaggio reso a Redford (memorabile la sequenza in cui vengono presentate le varie evasioni del personaggio attraverso anche materiale found footage proveniente dalla filmografia dell'attore californiano) mostrano come Lowery sia fermamente intenzionato a mettere in scena un commiato delicato, capace di smuovere le emozioni ma senza cadere nelle tipizzazioni estreme classiciste, e al tempo stesso irriverente (proprio come il cinema della Reinassance) verso quel momento della settima arte americana rivoluzionario e che evidentemente resta la stella polare per questo autore. Volendo sottostare al gioco dei riferimenti e delle assonanze si potrebbe affermare che per questa pellicola il cineasta di Milwaukee abbia trovato maggiore ispirazione tra i primi lavori di Spielberg e De Palma, in particolar modo tra quelle commedie amare, colme di riflessioni sociali e metacinematografiche quali The Sugarland Express (Steven Spielberg, 1974) e Ciao America! (Greetings, 1968). Le sinuose carrellate laterali, gli spostamenti della macchina da presa che mettono quasi o del tutto fuori campo i personaggi parlanti e persino i cartelli di colore blu che fanno riferimento al destino di Tucker citano esplicitamente le opere sopracitate ma senza quel fine puramente ludico tipico di Tarantino. Lowery è sicuramente un cinefilo, un grande appassionato del cinema passato ma i suoi omaggi rispecchiano una volontà di affrancamento nei confronti della contemporaneità più standardizzata ricorrendo alla lezione dei propri maestri, finemente assimilata e riadattata per affrontare il presente. Certo The Old Man & the Gun è un chiaro omaggio a un'epoca, una intemperie artistica e culturale, una sorta di età dell'oro ormai scomparsa ma allo stesso tempo analizza l'oggi, la volontà di essere realmente vivi anche quando la società sembrerebbe preferirci morti e sepolti, il desiderio in quanto tale. Il rapinatore di Redford viene ricordato da ogni sua "vittima" per il sorriso che mostra durante i colpi e proprio con la sua insaziabile voglia di vivere, libero e inseguendo la propria vocazione, riesce a risvegliare persino l'apatico Hunt, che solo dopo essere penetrato nella mente e nella vita, tutt'altro che esemplare moralmente ma a modo suo ammirevole, del proprio rivale torna a desiderare una serata spensierata con la moglie.

Forse proprio come il detective interpretato da Casey Affleck tutti noi dobbiamo un sentito ringraziamento a Robert Redford, capace di accompagnare generazioni intere con il suo carisma, le grandi interpretazioni e fondatore di quel Sundance Festival che ha permesso a tanti artisti talentuosi di emergere, tra i quali proprio David Lowery. Grazie di tutto Robert.

Nessun commento:

Posta un commento