lunedì 20 febbraio 2017

INSOMNIA: TEMPO E MORALITÀ DOVE IL SOLE NON TRAMONTA

Sulla scia dell'enorme clamore provocato dal precedente Memento (2000) Christopher Nolan nel 2002 si occupa per la prima volta di una grande produzione hollywoodiana dirigendo Insomnia. La pellicola, remake omonimo del film norvegese del 1997 realizzato da Erik Skjoldbjærg, si avvale di un cast di grande richiamo mondiale e ottiene così un ottimo successo commerciale, così come recensioni estremamente positive. Con il passare degli anni e l'incremento esponenziale della fama del cineasta britannico il lungometraggio ha subito una ridicola (non potrei definirla altrimenti) campagna denigratoria, una di quelle idee poco sensate ma che diventano dogmi grazie al web per la quale debba essere considerato come il momento minore nella filmografia dell'autore di Inception (2010) a causa della sua natura di rifacimento e dello script non accreditatogli neanche in parte. Tralasciando la questione non del tutto chiara sugli interventi del cineasta sulla sceneggiatura tra poco individuerò sinteticamente alcuni spunti estremamente interessanti del film, oltretutto tipicamente nolaniani.

Al centro delle vicende narrate si trova l'ormai navigato detective della polizia di Los Angeles Will Dormer (Al Pacino), il quale viene mandato insieme al suo partner Hap Eckhart (Martin Donovan) in un piccolo centro dell'Alaska per aiutare la polizia locale a risolvere un caso di omicidio. Ad essere stata assassinata è una ragazza ancora minorenne appassionata di gialli scritti da un romanziere locale, tale Walter Finch (Robin Williams). Ad aiutare i due esperti poliziotti agisce soprattutto la giovane ma acuta Ellie (Hilary Swank). Will capisce immediatamente che il principale sospettato, il ragazzo della vittima, nonostante la picchiasse spesso non poteva essere il colpevole e fiuta la presenza di un altro uomo con cui la ragazza portava avanti uno strano rapporto ma è costretto a fare i conti con la decisione del proprio partner di patteggiare con gli affari interni, i quali stavano indagando senza sosta sui due. Nel momento in cui il protagonista riesce a mettere in trappola il presunto assassino la situazione degenera e, tratto (forse) in inganno dalla nebbia, colpisce mortalmente con la pistola di riserva il Hap, il quale prima di morire lo accusa di averlo voluto ammazzare con premeditazione. A questo punto l'uomo decide di non raccontare la verità e fa ricadere la colpa sull'assassino della diciassettenne, che però assiste all'accaduto e inizia a ricattare il poliziotto, ormai sempre meno lucido a causa dell'insonnia.

Persino da questa riduttiva sinossi è possibile riscontrare molti topoi della filmografia nolaniana, nonostante non sia errato definire Insomnia il suo primo lavoro su commissione e il soggetto sia una pellicola altrui. Il protagonista rispecchia in tutto e per tutto l'uomo al centro della sua riflessione, diviso tra il dovere verso le persone a cui ha dedicato tutta la propria vita (in questo caso le tantissime famiglie protette dalla polizia a cui spesso si fa riferimento) e una perdita del proprio io, una condizione di costante insicurezza nei confronti di quella visione razionale del mondo che permette di capire cosa sia reale e cosa non lo sia, cosa sia giusta e cosa sbagliato. Il personaggio interpretato da Al Pacino, esattamente come Leonard o Dom Cobb, si mostra estremamente meticoloso nel proprio lavoro ma dilaniato nell'interno da scelte passate che non possono essere cancellate e che condizionano il presente al punto da alterare completamente la percezione stessa che ha del mondo. L'impossibilità di dormire, dovuta ai rimorsi, provoca nell'uomo una perdita di lucidità resa ancor più potente dall'assenza del buio, dovuta a quel periodo dell'anno in cui in Alaska il sole non tramonta mai. L'insonnia diventa dunque una manifestazione fisica dei tormenti interiori di Will, il quale non riesce più a distinguere chiaramente il bene dal male proprio come non riesce più a capire quando sia notte e quando sia giorno.

In una situazione molto simile si trova Finch, che nelle chiamate effettuate al detective forestiero sottolinea quanto i due si somiglino a causa della loro incapacità di dormire e di tornare indietro una volta provato cosa significhi togliere la vita a un altro essere umano. Anche l'assassino si dimostra un uomo per natura estremamente razionale (si pensi alla sua attività di scrittore di gialli o all'escamotage del registratore) ma ormai in preda a una perdita delle proprie certezze, come ben si evince nel momento in cui racconta a Will ciò che accadde tra lui e la sua vittima.
A mettere in luce le debolezze e i tormenti dell'insonne protagonista è, proprio come nel successivo Inception, la giovane talentuosa presa sotto la propria ala, in questo caso la poliziotta portata sullo schermo da Hilary Swank. La donna, esattamente come Arianna, inizialmente nutre una ammirazione profonda per il proprio mentore ma con lo svolgersi della vicenda si rende conto dei segreti che nasconde e infine ne svela i peccati.

L'intera atmosfera di incertezza e indefinitezza percettiva/morale è resa ancor più palpabile dalle scelte cromatiche di Nolan, la cui mdp si concentra spesso sul bianco della neve, i grigi della nebbia e dei corsi d'acqua quasi ghiacciati o delle solitarie strade dell'Alaska. Altrettanto potenti risultano le visioni del protagonista sull'inquinamento delle prove in un suo precedente caso, rese magistralmente attraverso flashback enigmatici fatti di brevissime inquadrature al limite del subliminale che man mano diventano più chiare, al punto di venire esplicate totalmente durante la conversazione tra l'uomo e la proprietaria dell'hotel in cui alloggia, che per altro confessa di essersi trasferita in questa piccola cittadina proprio per sfuggire al passato ("due tipi di persone vivono in Alaska: quelli che ci sono nati e quelli che arrivano qui per scappare da qualcosa. Io non ci sono nata.").
Con un cast di star come quello del film in analisi non posso esimermi dal dedicare ad esso un piccolo spazio: Al Pacino offre una delle sue migliori performance del terzo millennio grazie alla combinazione tra il suo tipico carisma e una certa misura nel rendere la stanchezza del suo personaggio; più divertita è l'interpretazione di Robin Williams ma di sicuro impatto con l'espressione luciferina nel suo volto. Più in ombra appare Hilary Swank ma soprattutto per merito del gigantismo dei suoi colleghi, capaci di mettere in ombra chiunque diretti da un regista talentuoso come il cineasta inglese.
Arrivato al momento di tirare le somme mi congedo semplicemente consigliando a chiunque non l'abbia ancora visto il recupero di Insomnia, diffidando di certi giudizi superficiali che infestano il web 2.0. A tutti coloro che invece l'avessero già visto, beh pellicole come queste meritano sempre un'ennesima visione, soprattutto alla luce del percorso successivo del proprio autore sono molti gli elementi da riscoprire analizzando con cura ogni singola inquadratura.

Nessun commento:

Posta un commento