martedì 27 dicembre 2016

OPERAZIONE GOLDMAN: NON CHIAMATELO SPAGHETTI BOND

Oggi ho deciso di addentrarmi in un campo minato per la critica cinematografica odierna ma che, secondo me, rappresenta una vera e propria frontiera che aspetta solo di essere esplorata e apprezzata dai cowboy della ricerca nella settima arte: il cinema di genere italiano nei decenni d'oro della produzione nostrana, ovvero tra anni '50 e '70. Nonostante alcune figure facenti parte di tale ambito siano già state riscoperte e rivalutate, soprattutto all'estero in realtà, come dimostrano gli studi su Mario Bava e Dario Argento o quelli su tutto il filone dei cosiddetti "spaghetti western" esiste ancora un intero mondo di prodotti rimasti sepolti dalla miopia di quella critica bloccata sempre e solo sulle ormai arcinote figure autoriali.

Nel mio piccolo cercherò di creare qualche bagliore di luce su un universo purtroppo così buio e la prima fioca fiammella che intendo accendere rischiarerà per voi Operazione Goldman, noto all'estero anche come Lightning Bolt, opera diretta nel 1966 da Antonio Margheriti con lo pseudonimo anglofono Anthony M. Dawson (il solo fatto che i registi di cinema popolare all'epoca dovessero utilizzare stratagemmi simili per aumentare l'appetibilità del proprio lavoro dovrebbe creare interrogativi non da poco sulla mentalità nostrana). Il lungometraggio in questione rappresenta la seconda incursione dell'autore del ciclo Gamma Uno nel genere dello spionaggio visto che nello stesso anno aveva diretto A 077, sfida ai killers e nonostante un certo successo ai botteghini, specie nel mercato internazionale, è stato subito etichettato come una delle tante imitazioni europee dei film di James Bond, cosa che ne ha decretato un oblio presso la stragrande maggioranza del pubblico e non solo.
Protagonista delle vicende narrate è l'agente segreto sempre pronto a sedurre le donne più affascinanti, compresa il proprio capo, della sezione S Harry Sennet il quale si trova coinvolto in una missione per salvare il mondo dai piani del folle Rether, un eccentrico in possesso di una potentissima arma laser con cui intende minacciare tutti i paesi della terra.

Persino una sinossi così concisa rende chiaro come nel cinema di genere italiano la narrazione risulti quasi un pretesto, in questo caso quasi una serie di strizzate d'occhio al pubblico dell'epoca affamato di avventure ai limiti dell'incredibile da parte di una spia divisa tra l'amore per il gentil sesso e quello per il proprio paese. Attenzione, questo non vuol dire, come praticamente tutta la critica dell'epoca e non solo ha prontamente dichiarato, che Operazione Goldman sia semplicemente un calco delle pellicole sull'agente segreto interpretato da Sean Connery mal riuscito a causa di un budget ben più esiguo e attori meno ispirati. Pregiudizi di questo tipo risultano anacronistici quasi quanto l'indifferenza nei confronti di un maestro come Hitchcock prima che la sua figura fosse rivalutata dalla critica di Truffaut e rappresentano uno dei motivi principali che hanno portato a nascondere in un enorme cassetto tanto cinema di qualità che negli ultimi anni comincia a rivendicare il proprio posto nel mondo.
Essendo un'opera con chiari intenti commerciali il film girato da Margheriti offre agli spettatori una superficie fatta di elementi familiari e di assoluto richiamo, come ad esempio la figura dell'agente segreto donnaiolo o l'antagonista che resta senza un volto per gran parte del film, per poi lavorare in maniera personalissima sullo stile, il lato di maggior interesse artistico di tutto il cinema popolare di qualità. Nonostante i limiti economici il cineasta romano esibisce molti dei tratti caratteristici della propria filmografia, a cominciare dagli elementi fantascientifici come l'arma laser di distruzione di massa o la base segreta sul fondo dell'oceano, e dall'attenzione per il colore in cui spicca un uso ripetuto del rosso, reso ancora più evidente dal Technicolor e dal Techniscope. Proprio le ultime sequenze della pellicola, quelle ambientate nel covo sottomarino, risultano ancora oggi estremamente affascinanti da un punto di vista visivo e persino le numerose esplosioni o la colata lavica finale nonostante appaiano evidentemente ottenute attraverso dei modellini, in tipico stile Mario Bava, mostrano l'inventiva di un autore che ha ispirato persino Star Wars di George Lucas (1977).

Il ricorso al found footage per la partenza del missile o il riutilizzo di inquadrature nella spettacolare sequenza in auto sono altre prerogative della fantascienza dell'epoca che contribuiscono a rendere il lungometraggio molto diverso dal presunto capostipite 007 e anzi forse hanno ispirato alcune delle più visionarie missioni della spia a servizio di sua maestà come Moonraker (Lewis Gilbert, 1979). Non mancano neanche elementi tipici dell'horror gotico come gli scheletri delle persone prima ibernate e poi uccise da Rether.
Certamente la prova attoriale del protagonista Antony Elsley non fa gridare al miracolo mentre degne di nota sono il fascino e l'indipendenza nei confronti della controparte maschile di Dyana Lorys e il ritratto dell'antagonista à la Dr. No creato da Folco Lulli.
Tirando le somme non voglio e non pretendo di spacciare Operazione Goldman per un capolavoro che cambia la storia del cinema ma resta un prodotto ricco di spunti interessanti che merita di essere riscoperto, insomma dategli una possibilità e difficilmente ve ne pentirete.

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