giovedì 29 dicembre 2016

INFRAMAN L'ALTRA DIMENSIONE: IL PRIMO SUPEREROE MADE IN CHINA

Scusate ancora se vi propino prodotti non esattamente all'ultimo grido o i solito noti considerati autoriali dagli studi tradizionali sul cinema ma ritengo che sia molto più importante e interessante tentare di suscitare curiosità su pellicole che ancora non hanno ricevuto molta fortuna accademica o di pubblico, per questo se anche una sola persona dopo aver letto questo post si precipitasse a recuperare il titolo analizzato il mio lavoro potrebbe dirsi soddisfacente.

Messa da parte la piccola iosa sui motivi delle mie ultime scelte il film che vi propongo oggi debutta nelle sale nell'ormai lontano 1975 e si intitola, almeno nella traduzione italiana, Inframan l'altra dimensione, diretto da Hua Shan e prodotto dai ben più noti fratelli Shaw. Nonostante i valori produttivi bassissimi e la scelta di ispirarsi senza alcun remora ai "tokusatsu" (si pensi a quell'Ultraman creato nel 1966 da Eiji Tsuburaya) e non ai personaggi Marvel o Dc la pellicola si rivela non solo la prima di stampo supereroistico girata in Cina ma anche un cult in occidente, soprattutto negli USA dove viene acclamata persino dall'eminente Roger Ebert.
Descrivere la trama di Inframan l'altra dimensione mi sembra piuttosto superfluo dato che ricalca in tutto e per tutto, o quasi, un qualsiasi episodio dei serial televisivi da cui trae ispirazione, ovvero uno schema archetipico in cui una minaccia insormontabile per qualsiasi essere umano sta per avere la meglio sull'intero pianeta fino a quando non interviene il supereroe protagonista con i suoi poteri.

Come ormai sto ripetendo nelle mie ultime analisi ciò che davvero contraddistingue pellicole fortemente di genere come questa sono le scelte stilistiche, gli aspetti visuali. Nonostante i già citati costi di produzione ridotti all'osso la pellicola diretta da Hua Shan cattura immediatamente l'occhio grazie alle coloratissime scenografie, tanto posticce quanto affascinanti dal punto di vista pittorico, così come gli effetti speciali utilizzati per ricreare gli attacchi a base di energia solare del protagonista (chiunque sia appassionato di animazione giapponese avrà immediatamente ricordato le avventura di Haran Banjo e il suo Daitarn 3 create da Yushiyuki Tomino nel 1978 e conclusesi l'anno seguente) per quanto siano risibili da un punto di vista tecnico trovano una loro identità nel mondo pop e sgargiante messo in scena. La ciliegina sulla torta del cult made in Shaw Studios non sarebbe potuta che essere l'implementazione nel genere adottato del fiore all'occhiello della casa, ossia le arti marziali: coreografie e gesti acrobatici contribuiscono sia ad aumentare il carattere fantastico più che fantascientifico del lungometraggio, nonostante la presenza di teorie pseudoscientifiche e dell'immancabile professore geniale, ma anche a distinguere il prodotto dai propri epigoni.

Tirando le somme di questa breve analisi consiglio a tutte le menti maggiormente elastiche di ripescare Inframan, anche solo per rivivere per un'ora e mezza quel periodo dell'infanzia in cui bastavano le gesta di improbabili supereroi dotati di armature colorate e nemici palesemente posticci a far sognare.

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