giovedì 18 aprile 2024

VENECIAFRENIA: REAZIONE A CATENA NELLA LAGUNA DI SANGUE

Sebbene non sia una superstar in Italia, né tra il grande pubblico, né tra i cinefili, Alex de la Iglesia ha un curriculum che parla da sé, specialmente per quanto concerne il cinema di genere e ha sempre flirtato con il nostro paese, come dimostra la co-produzione italiana El dìa de la bestia (1995), vincitore di ben sei premi Goya, con cui è arrivato alla ribalta internazionale. Nel 2020 il cineasta spagnolo sigla un accordo con Amazon e Sony per la realizzazione di sei pellicole horror dirette da vari colleghi conterranei. Il primo di essi, distribuito a più di un anno di distanza a causa della pandemia da COVID-19, è Veneciafrenia (2021), arrivato solamente in questi giorni in Italia attraverso RaiPlay nonostante la centralità nel progetto del Belpaese. Il film viene accolto con recensioni perlopiù positive, specialmente in patria, ma con alcune riserve da parte del pubblico, probabilmente anche a causa di aspettative non in linea con le reali intenzioni dell'opera.


Il lungometraggio segue la sfortunata vacanza a Venezia di un gruppo di amici iberici, eccitati all'idea di festeggiare l'addio al nubilato di Isa (Ingrid Garcia-Jonsson). Già all'approdo i protagonisti incontra una certa diffidenza da parte dei locali, se si esclude il gondoliere Giacomo (Enrico Lo Verso), ma la situazione assume tratti drammatici quando, in seguito a una nottata di baldoria in una festa in maschera, José (Alberto Bang), fratello di Isa, sparisce nel nulla.


Fin dai titoli di testa, così come la scelta di ambientare il film proprio in Italia, Veneciafrenia dichiara esplicitamente di ispirarsi a uno dei filoni più noti all'estero del nostro cinema, ossia il giallo all'italiana, sdoganato da maestri quali Mario Bava, Dario Argento e Sergio Martino. L'ambientazione urbana, sebbene sui generis data la natura peculiare di Venezia, la ricerca da parte dei protagonisti di capire chi sia a perseguitarli e la pressoché totale inutilità delle forze dell'ordine, sostituite nell'investigazione da un detective amatoriale come Isa, rendono palese la parentela con opere come Sei donne per l'assassino (Mario Bava, 1964) o Profondo rosso (Dario Argento, 1975), ma nonostante ciò il film viene spesso pubblicizzato come uno slasher, data la maggior fama per il pubblico odierno di questo sottogenere e la indubbia filiazione dal giallo, creando però in questo modo una disattesa rispetto alle aspettative dell'audience. Difatti de la Iglesia non segue il canovaccio delle mattanze di Jason Voorhees o Michael Myers e nonostante il gore non manchi, ciò che davvero interessa al regista spagnolo è la contrapposizione, tutta socio-politica, tra veneziani e turisti. Se all'apparenza i primi rientrano nel ruolo dei villain e i secondi in quello degli eroi, in realtà sono questi ultimi a essere connotati unicamente in negativo, sia da un punto di vista caratteriale che morale, mostrando tutte quelle derive consumistiche, ignoranti e irrispettose del turismo di massa contemporaneo, che rappresenta il vero bersaglio della critica che permea ogni singolo frame del lungometraggio. Persino Isa, che sembrerebbe assurgere da un certo punto del racconto la funzione di final girl, attraversa solo parzialmente l'evoluzione tipica delle varie Sydney Prescott o Laurie Strode e il vero "eroe" risulta essere alla fine Giacomo, che invece spicca in quanto ponte tra le istanze degli "indigeni" (i veneziani in questo caso) e la razionalità necessaria per poter coniugare l'importanza economica del turismo con quella di preservare la storia e l'ambiente precario della Serenissima.

Ecco dunque che la pellicola si avvicina, sia per struttura narrativa che per intenti politici dichiarati, proprio a quella che è considerata il trait d'union, la variatio che ha generato, in una milieu artistico-culturale molto diversa, il passaggio dal giallo allo slasher, ovvero Reazione a catena (Mario Bava, 1971). Chiamato in origine, non a caso, Ecologia del delitto e distribuito in America come Bay of Blood, l'opera baviana dava vita a un bagno di sangue mai visto fino a quel momento per mettere alla berlina l'efferatezza del consumismo nei confronti dei più elementari sentimenti umani e, soprattutto, della salvaguardia del patrimonio ambientale, esattamente come de la Iglesia ai giorni nostri, tanto da negare al pubblico il tipico showdown finale tra eroina e villain, in favore di un'uscita di scena da parte del capo della "setta" dietro gli omicidi che ha i connotati del martirio in nome di un ideale che non può certo essere considerato deviato o incomprensibile come i moventi solitamente utilizzati negli slasher statunitensi.


Veneciafrenia si rivela, in conclusione, l'ennesima operazione di riflessione, dai toni grotteschi, sul cinema di genere e sulle mostruosità del mondo attuale da parte dell'autore di Ballata dell'odio e dell'amore (Balada triste de trompeta, Alex de la Iglesia, 2010), minata solamente da una messinscena volutamente spartana in molte occasioni, a dispetto del formalismo estremo del giallo, e quella che a mio avviso è una campagna di marketing ingannevole rispetto alle reali caratteristiche del prodotto.

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