sabato 25 settembre 2021

THE ENTITY: L'HORROR CHE SFIDA IL MACHISMO OCCIDENTALE

Escludendo gli appassionati più fedeli all'Uomo d'acciaio, pochi nel 2021 ricordano ancora Superman IV (Superman IV : The Quest for Peace, 1987), nonostante resti l'ultima interpretazione del compianto Christopher Reeve dell'iconico supereroe DC, a causa di una qualità tutt'altro che memorabile, specie per quanto concerne la sceneggiatura. Eppure l'autore di quel disastro, tale Sidney J. Fury, vanta un curriculum all'interno del cinema di genere di tutto rispetto, in cui spicca quello che resta l'apice della sua ondivaga carriera: Entity (The Entity, 1982). Non un clamoroso successo al botteghino ma una pellicola accolta con immediato calore dalla critica e persino da cineasti come Martin Scorsese, capace di assurgere negli anni allo status di cult, citato esplicitamente da molte produzioni mainstream, in primis Insidious (James Wan, 2010). Scopriamo da dove nasce la fascinazione per quest'opera, soprattutto in tempi recenti.

Il film, tratto da un romanzo a sua volta ispirato a un reale caso di presunto poltergeist, narra le sfortunate vicende della madre single Carla (Barbara Hershey), che, nel corso di una notte come tante altre, viene aggredita e abusata sessualmente da una presenza invisibile. Ancora sotto shock e consapevole di sentire ancora all'interno di casa la suddetta minaccia, porta via con sé i tre figli per il resto della nottata da un'amica. I giorni successivi vedono l'acuirsi delle visite del misterioso assalitore, il quale attacca persino il maggiore dei figli, Billy (David Labiosa). Naturalmente nessuno crede alla versione di Carla dell'accaduto e, di conseguenza, i medici che in ospedale la visitano la mettono in contatto con lo psichiatra Phil Sneiderman (Ron Silver), che, una volta conosciuta l'avventurosa storia amorosa della paziente, cerca di convincerla che quest'ultima stia sublimando traumi regressi. La protagonista, non trovando alcun conforto o soluzione al proprio problema nelle teorie psicanalitiche, si rivolge a un gruppo di ricercatori universitari di parapsicologia, gli unici a credere all'esistenza di una presenza malevola invisibile all'occhio umano. 

A distanza di quasi quarant'anni esatti dalla distribuzione di Entity sconcerta notare con quanta ferocia e immaginazione affronti argomenti arrivati al centro del dibattito pubblico più pop soltanto da una manciata di cicli solari, spesso peraltro affrontati con una povertà conoscitiva che tradisce solamente squallidi intenti opportunistici. A più riprese ho sottolineato quanto il cinema di genere sia in grado di esaminare e aprire gli occhi del pubblico sui lati più oscuri della società che lo produce, ricorrendo al potente strumento della metafora per analizzare anche topic che, se affrontati di petto all'interno della cosiddetta "cinematografia alta", scuoterebbero nervi ancora fin troppo scoperti.
La pellicola in questione rientra precisamente nella migliore accezione di ciò che l'horror può raccontare del panorama socio-culturale in cui ancora oggi viviamo, attraverso la creazione di un villain del tutto privo di forma, voce o altre tipiche caratteristiche umane ma che, al contempo, mostra esattamente i peggiori istinti dell'immagine del maschio alpha fornita da secoli di patriarcato. Le uniche azioni che l'invisibile presenza perpetra nell'arco del racconto sono variegati atti di sopraffazione nei confronti di una donna, colta nei momenti di maggiore vulnerabilità e intimità, a partire da un terribile e improvviso stupro. Furie, attraverso la scelta estetica e poetica di negare al pubblico la possibilità di vedere esplicitamente il volto e le azioni dell'entità, compie un'interessante operazione di disumanizzazione della stessa, che accentua da un lato il coinvolgimento empatico verso la vittima e, dall'altro, afferma con veemenza la bestialità che contraddistingue qualsivoglia tipologia di abuso. Carla, difatti, non solo viene costretta a più rapporti sessuali non consenzienti, bensì si trova, suo malgrado, in una costante spirale di paura provocata dalle continue e minacciose apparizioni dell'essere, che diventa in tal modo anche un'efficace rappresentazione simbolica del modus operandi di uno stalker, senza però permettere allo spettatore di provare alcun piacere nelle violenze, fisiche e psicologiche da lui causate, come invece può accadere con l'ambiguità morale di molti slasher.
L'invisibilità e il quasi totale diniego di spettacolarizzazione della violenza indirizzano l'emotività del fruitore direttamente verso una identificazione con la protagonista, il suo dolore e la forza con cui si batte per difendere la propria famiglia e la sua stessa individualità di donna indipendente dai continui soprusi maschili. Soprusi che non sempre vengono causati dal villain.
Il personaggio interpretato da Barbara Hershey viene circondata perlopiù da uomini e nessuno di essi riesce a credere alla tragedia che sta vivendo. Certamente la razionalità rende quanto mai facile diffidare di una persona che presume di essere perseguitata da un uomo invisibile, eppure è impossibile non cogliere la presunzione del tutto sessista con cui ogni segnale d'allarme della donna venga liquidato con le più banali e datate teorie psicanalitiche. Addirittura nel corso della sequenza in cui Sneiderman riunisce una sorta di consiglio generale di specialisti, la tesi avanzata per spiegare i presunti deliri della paziente somiglia inquietantemente alla credenza popolare dell'isterismo femminile, con la quale per secoli è stata giustificata qualunque forma di disagio psicologico sofferto dalla donna.
Un intero sistema opprime e minaccia Carla, facendo della presenza soprannaturale "solamente" una sineddoche di questa realtà completamente incapace di accettare il diritto femminile di autodeterminazione considerato insito solamente nella natura maschile. Condizione che si riflette nella straordinaria fotografia diretta da Stephen H. Burum, il cui uso di teleobiettivo e piano olandese creano un apparato visuale fortemente debitore dell'espressionismo tedesco. In particolare i maggiori riferimenti estetici sembrano essere Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari, Robert Wiene, 1920) e Marnie (Alfred Hitchcock, 1964), non per caso due esempi di quanto i generi possano mettere in scena con efficacia l'isolamento e gli abusi dei gruppi maggioritari nei confronti delle minoranze (da un punto di vista prettamente relativo ai diritti civili), siano essi il mondo femminile o quello di chi soffre di disturbi mentali. L'onnipresenza di inquadrature volutamente stilizzate e antinaturalistiche sottolinea gli effetti sulla psiche della protagonista delle costanti violazioni subite dai personaggi maschili, che arrivano persino a farle dubitare della propria sanità psichica e ad accusarla di giustificare tramite racconti fantasiosi le proprie pulsioni incestuose.

Entity rappresenta, in conclusione, un coraggioso atto di accusa verso una società che, per quanto tecnologicamente ed economicamente avanzata, continua a discriminare una parte fondamentale di sé. Un monito lanciato peraltro in un momento storico caratterizzato da una corrente culturale improntata a un estremo machismo come il reaganismo degli anni Ottanta, rendendolo ancor più potente persino per un presente in cui i diritti della donna sembrano albergare sulla bocca di tutti ma nella coscienza di pochi.

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