lunedì 20 settembre 2021

HANNIBAL: I RAFFINATISSIMI SIMULACRI UMANI DI BRYAN FULLER

Grazie al successo mondiale di romanzi e trasposizioni cinematografiche, Hannibal Lecter può essere considerato un'icona pop del mondo dell'orrore, alla pari di Dracula o di Freddy Krueger, specialmente nella sua incarnazione dal volto di Anthony Hopkins. Inaugurando un trend che perdura ancora oggi, il personaggio si è spostato, nel corso del 2013, dal grande al piccolo schermo, grazie a Hannibal (2013-2015), show ideato da Bryan Fuller per NBC. Sebbene la serie sia stata capace di attirare una consistente fetta di pubblico molto affezionato, non è mai riuscita a diventare un fenomeno di massa, fallendo nel tentativo di rendere remunerativo il notevole dispiego di mezzi produttivi, specie per gli standard televisivi. Dopo tre stagioni il serial ha chiuso i battenti ma con il sempreverde desiderio da parte del suo ideatore e dei fan di un possibile proseguimento. Che sia giustificata tale affezione verso quest'opera? Scopriamolo.

Reinterpretando liberamente i romanzi di Thomas Harris, lo show vede come protagonista Will Graham (Hugh Dancy), profiler dell'FBI dotato di un livello di empatia unico, che, unito a una fervida immaginazione, gli permette di entrare in sintonia con i criminali a cui dà la caccia, capire i meccanismi mentali dietro i loro delitti e in questo modo individuarli. Un tale dono rischia però di logorare irreversibilmente la stabilità emotiva e psichica dell'agente e, per evitarlo, inizia un percorso di analisi con il rispettabile dottor Hannibal Lecter (Mads Mikkelsen). Dopo un iniziale diffidenza si instaura tra i due un rapporto di stima reciproca e curiosità intellettuale verso l'altro, che diventerà sempre più complesso quando lo psichiatra si rivelerà uno spietato serial killer antropofago.

Come anticipato brevemente in precedenza, Hannibal sceglie per un percorso narrativo astuto, che, conscio della popolarità delle opere che lo hanno preceduto, gioca costantemente con le attese del pubblico, seguendo talvolta fedelmente i lavori letterari o i lungometraggi con Hopkins, per poi deviare verso un'interpretazione del tutto inedita e personale dei fatti. Gran parte dei personaggi sono già noti agli appassionati e mantengono anche le caratteristiche psicologiche pregresse ma Fuller, da profondo conoscitore dei principi del giallo, imbastisce una sfida intellettuale con i propri spettatori che richiama quella al gatto e al topo che ha luogo tra detective e criminale. Ciò potrebbe far credere che il racconto si attesti dunque sui topoi del thriller investigativo, seppur condito da evidenti elementi horror, alla base de Il silenzio degli innocenti (The Silence of the Lambs, Jonathan Demme, 1991) o Manhunter - Frammenti di un omicidio (Manhunter, Michael Mann, 1986) ma si tratta solamente di bluff, depistaggi equiparabili a quelli che orchestra abilmente Lecter per manovrare ogni situazione a proprio vantaggio. Tramite la penna dello sceneggiatore dell'Idaho, le indagini originariamente partorite da Harris si trasformano in un campo di gioco tutto interiore tra lo stesso cannibale e Graham. Afflitti entrambi da uno stato di perpetua solitudine, accentuata da una diversità rispetto al resto del genere umano che li rende quasi imperscrutabili, i due si avvicinano costantemente, trovando un irresistibile attrazione per i rispettivi lati oscuri della coscienza, come ultimi superstiti di una specie ormai estinta. Senza rinunciare anche a un sottile divertissement nei confronti del fandom più attratto dalle possibili conseguenze carnali di questa velenosa amicizia, Fuller fa di Lecter una incarnazione inedita del mito secolare del vampiro e del suo proverbiale bisogno di cibarsi della vita altrui per sopravvivere. Abbandonato ogni residuo di umanità nel momento in cui, ancora ragazzino, perde l'amata sorella e, per ragioni intelligentemente lasciare oscure, se ne ciba. Hannibal si trasforma con il passare degli anni in un involucro, un simulacro che dell'umanità degna di tale definizione conserva solamente una sterminata cultura e l'egoistica tendenza di usare il prossimo per il proprio tornaconto. A differenza di Dracula o dei nosferatu al centro dei romanzi di Anne Rice, lo psichiatra rifugge ogni slancio vitalistico intrinsecamente umano, in primis la pulsione sessuale, totalmente asservita al semplice sfruttamento della seduzione come ulteriore strumento di raggiro. Persino le elaborate sculture in cui tramuta le proprie vittime sembrano più vicine a una sorta di atto di autocelebrazione metafisica che non al soddisfacimento di un desiderio erotico tipicamente associato all'agire di un serial killer.

L'unica eccezione al totale horror vacui dell'anima del personaggio interpretato dal magnetico Mikkelsen è rappresentata dal desiderio di legare a sé Graham, di coltivare quell'oscurità carpita nel suo io più nascosto per trasformarlo in un simulacro del male in tutto e per tutto uguale a sé. Il profiler, d'altro canto, vive sulla propria pelle il paradosso di un talento quasi innaturale che anziché permettergli di comprendere al meglio i sentimenti altrui e dunque convivere con maggior profitto con essi, lo porta ad assorbire tutto il male che alberga in un mestiere a stretto contatto con morte e violenza. Un vortice di emozioni che irrimediabilmente lo allontana a tal punto dal comune sentire che persino la razionalmente malsana compagnia di Lecter assume i tratti dell'unica possibile forma di amicizia concessagli dal destino.

Un concentrato di Thanatos in cui l'Eros viene principalmente rappresentato da un impianto formale costantemente all'insegna dell'esaltazione della bella immagine, della perfetta composizione delle inquadrature e ralenti in grado di tramutare la cinetica intrinseca dell'audiovisivo in quadri animati, perfettamente adeguati all'ideale estetizzante di Hannibal. L'apice del virtuosismo visivo, a prescindere dal regista del singolo episodio, viene puntualmente raggiunto nelle sequenze culinarie o nel ritrovamento di un cadavere, accentuando in tal modo la natura vampiresca dell'assassino, che accresce il potere della propria mente attraverso raffinatissimi piatti a base di carne umana. Una versione orrorifica della figura ottocentesca del dandy, espressa perfettamente dalla coabitazione visuale tra l'equilibrio classicheggiante delle inquadrature e una dose decisamente abbondante di sangue e violenza esplicita. Una perfetta sintesi tra forma e contenuto, suggestione sensoriale e cerebrale che rende Hannibal uno tra i migliori prodotti seriali per chiunque ami esplorare le tenebre dell'essere umano.

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