domenica 2 agosto 2020

BURNING - L'AMORE BRUCIA: L'INEFFABILE REALTÀ CONTEMPORANEA

Pur non essendo il prototipo della prolificità artistica, Lee Chang-dong rappresenta indubbiamente uno dei registi più apprezzati all'interno del vivace panorama cinematografico coreano, tanto da aver trovato un buon numero di appassionati anche in Occidente. Dopo ben otto anni dall'osannato Poetry (2010) presenta in concorso al Festival di Cannes Burning (2018), lungometraggio liberamente tratto da una storia breve del romanziere giapponese Haruki Murakami. Pur senza portare a casa alcun premio dalla rassegna francese il film ottiene il plauso unanime da parte della critica, finendo persino in numerose classifiche dei migliori film dell'anno o del decennio. Con circa un anno di ritardo l'opera arriva anche in Italia, confermando un costante incremento dell'interesse del nostro paese nei confronti di realtà filmiche lontane da Hollywood.

La pellicola segue il fortuito incontro che riporta nella vita di Jong-uu (Yoo Ah-in), neolaureato con ambizioni da scrittore, la coetanea Hae-mi (Jeon Jong-seo), sua amica d'infanzia. I due vivono una breve frequentazione, che culmina in un rapporto sessuale il giorno immediatamente precedente alla partenza della ragazza per l'Africa. Il protagonista accetta di badare al gatto dell'amica durante la sua assenza e, proprio mentre si trova nel suo appartamento, riceve una telefonata da Hae-mi, che gli chiede di venirla a prendere in aeroporto. Ad attendere il giovane, però, si trova un'ulteriore persona, Ben (Steven Yeun). I tre finiscono per uscire insieme in varie occasioni, nonostante l'evidente gelosia di Jong-su, fino a quando, mentre il terzetto fuma dell'erba a casa del protagonista, il misterioso Ben non confessa di incendiare ogni due mesi delle serre abbandonate. Questo insolito e pericoloso hobby lascia turbato lo scrittore alle prime armi, in special misura dal momento in cui Hae-mi sparisce senza lasciare alcuna traccia di sé.

Analizzando la sola superficie dell'opera, Burning potrebbe essere considerato la prima incursione nel cinema di genere da parte di Lee Chang-dong, dato che la sparizione del personaggio interpretato, con sorprendente sensibilità dall'esordiente Jeon Jong-seo, segna la comparsa di elementi da giallo all'interno del racconto. In fondo l'industria coreana è famosa in tutto il mondo proprio per l'alto livello professionale e artistico delle proprie produzioni di genere, da cui sono spesso transitati autori affermatisi nei più prestigiosi festival e dunque non costituirebbe una grossa sorpresa vedere anche il regista di Secret Sunshine sperimentare con questo tipo di narrazione. Una visione maggiormente accorta rivela però come, in realtà, gli inserti da mystery thriller che caratterizzano soprattutto la seconda metà del film svolgano un ruolo ben più coerente con la poetica del cineasta asiatico e con le tematiche sottese all'opera in questione. Adattando a un contesto più radicato nella cultura e nella storia, anche politica, della Corea del Sud la lezione dell'Antonioni di Blow-Up (1966), il director di Taegu utilizza una decostruzione del whodunit per mettere in luce l'impossibilità per l'uomo di comprendere a pieno la condizione contemporanea, specie attraverso i soli strumenti della razionalità. Proprio come il fotografo dal volto di David Hemmings, Jong-su si trova suo malgrado circondato da eventi misteriosi e apparentemente inconciliabili tra loro, a cominciare dalla presunta esistenza del gatto Boil fino ai numerosi indizi che collegano Ben alla scomparsa di Hae-mi. Tutto ciò che coinvolge quest'ultima sembra avvolto da una fitta coltre di possibili menzogne (si pensi alla storia del pozzo), mentre l'altro vertice del triangolo amoroso viene, non a caso, definito un "Gatsby coreano" per il connubio di ricchezza e mistero di cui si ammanta. Una comparazione che, oltre a giocare sulle influenze letterarie presenti nella pellicola e nella storia originale di Murakami, conferma ulteriormente la volontà del regista di mettere in scena una realtà inafferrabile, fantasmatica, in cui, come nel romanzo di Fitzgerald e nel capolavoro di Antonioni, un giovane protagonista lotta con tutte le forze per riuscire a scovarne un senso ultimo, finendo per fallire miseramente.
La cinepresa di Lee Chang-dong accentua proprio l'incapacità di Jong-su di capire cosa realmente accada attorno a sé attraverso sinuosi long take in cui i personaggi risultano essere sempre troppo distanti gli uni dagli altri per potersi toccare, per poter percepire l'essenza del prossimo. Le opprimenti architetture di Seul enfatizzano la perdita di coordinate ben definite da parte dei personaggi, così come l'apparente calma bucolica della casa in campagna del protagonista si rivela un'ennesima gabbia, legata in questo caso al turbolento rapporto dello stesso con i genitori. In questo quadro così disumanizzante l'unica, vera traccia di ritorno a una vita degna di tale nome sembra essere riservato a un unico momento: la dionisiaca danza, ripresa attraverso uno struggente piano sequenza, di Hae-mi davanti al tramonto, sulle note di Miles Davis. Un episodio di pura, sensuale evasione dalle maglie della civilizzazione che verrà punita con la scomparsa della ragazza, forse arsa da Ben o forse semplicemente evaporata come il protagonista di Blow-Up.

Con un'eleganza formale a cui raramente si assiste sui nostri schermi, Burning mette in scena le idiosincrasie su cui si fonda interamente la realtà che circonda l'uomo contemporaneo, focalizzando per di più questa indagine sul microcosmo della gioventù in un paese ricco di contraddizioni come la Corea del Sud.

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