domenica 12 maggio 2019

TO THE WONDER: POESIA FILMICA SULL'AMORE

Il cinema solitamente viene mediaticamente identificato con i divi, attori capaci di attrarre con tale forza il pubblico da divenire oggetto di vera e propria idolatria. Sin dal muto questo fenomeno ha interessato Hollywood e in misura minore le diverse realtà europee o asiatiche ma, con l'avvento delle nuovelle vague e quindi con la diffusione del concetto di auteur, anche il regista in molti casi è riuscito a imporre un culto della propria personalità, come dimostrano figure quali Jean Luc Godard (si pensi alla sua griffe JLG che porta alla mente le firme dei grandi stilisti) e, in epoca successiva, Quentin Tarantino o David Lynch. Un tipo di culto simile ma opposto allo stesso tempo viene riservato, da almeno un paio di decenni, a Terrence Malick, un reale unicum all'interno della settima arte statunitense per la riservatezza con cui cela al mondo la sua vita privata e anche per il lunghissimo periodo di inattività che ha separato I giorni del cielo (Days of Heaven, 1978) da La sottile linea rossa (The Thin Red Line, 1998). Proprio quest'aura di mistero, unita ovviamente alla enorme portata dei suoi pochi lavori, ha reso questo cineasta una figura cult per molti cinefili e così la sua ritrovata vena filmica è stata accompagnata da un enorme clamore internazionale. All'interno di questa nuova prolifica fase della carriera di Malick ho deciso di pescare e ricordare To the Wonder del 2012, un film atteso spasmodicamente dopo l'enorme successo di The Tree of Life (2011) e forse per questo liquidato troppo facilmente come una sorta di copia carbone ottenuta anche tramite il riutilizzo di materiale scartato dalla precedente pellicola.

L'esile percorso narrativo che caratterizza il lungometraggio segue le alterne vicende della romance tra Neil (Ben Affleck), tecnico americano specializzato nelle problematiche legate all'inquinamento, e Marina (Olga Kurylenko), madre single di origini russe. I due si incontrano a Parigi e l'amore li travolge fino a convincere l'uomo a chiedere alla compagna e sua figlia di trasferirsi da lui in Oklahoma. Negli States purtroppo le cose finiranno per complicarsi, nonostante la ricerca di aiuto da parte di entrambi a padre Quintana (Javier Bardem),anch'egli afflitto da problemi d'amore ma di origine più spirituale.

Detto senza mezzi termini, chiunque da un film pretenda intrecci in grado di sorprendere lo spettatore con svolte inattese o altri momenti a effetto si tenga lontano da To the Wonder oppure si prepari ad aprire i propri orizzonti d'attesa. Nel corso del proprio, discontinuo, percorso filmico Malick pare aver intrapreso una via di costante astrazione e sottrazione narrativa fino a raggiungere una vetta con questa opera dalla quale è difficile tornare indietro. Fi dal suo esordio con Badlands (La rabbia giovane, 1974) il cineasta ex professore di filosofia aveva mostrato come le vicende umane fossero per lui una sorta di riflesso, una piccola parte di un tutto costituito dalla natura che popola la Terra e per questo spesso la macchina da presa finiva per lasciare in disparte i protagonisti umani per indugiare in lunghe digressioni su alberi, piante e in meravigliosi campi lunghi sugli sterminati paesaggi americani. Dopo la vera e propria esplosione della narrazione in favore di un frammentario viaggio panico attraverso la memoria di The Tree of Life, in questo lungometraggio il regista decide di focalizzare il proprio occhio e la propria riflessione sul tema dell'amore, analizzandolo sia in quanto sentimento che lega due persone, sia come veicolo di fede verso un'entità superiore alla quale dedicare un'intera esistenza. Amor sacro e amor profano vengono letti attraverso la lente del cattolicesimo ma in una sua versione che risente in maniera evidente del trascendentalismo di Ralph Waldo Emerson, già al centro di La sottile linea rossa, e di un romanticismo velato di panismo che riporta alla mente le immagini di John Keats e del D'Annunzio di Alcyone (1903).
Attraverso il suo caratteristico stile caratterizzato da inquadrature di piante e spighe di grano illuminate dalla luce naturale del sole, Malick racconta, abbandonando quasi del tutto i dialoghi e affidandosi dunque ai suoi caratteristici stream of consciousness realizzati con voice over, le tipiche fasi di una storia d'amore tra uomo e donna in parallelo con la lotta interiore di un parroco in crisi di fede. Di coppie come Neil e Marina il cinema, in fondo, è pieno la mdp curiosamente rifugia qualsiasi dialogo e quindi il campo e controcampo, inquadrando in primo piano solamente (e anche raramente) la donna, mentre il compagno finisce quasi sempre per essere relegato all'ombra di un angolo della composizione e anche nei pochissimi casi in cui si trova al centro, magari ben illuminato, il suo volto o almeno il suo sguardo resta escluso dal profilmico. Scelte così peculiari nella messa in scena non possono che portare a riflettere su come l'autore possa voler insinuare una sorta di differenza quasi epistemologica nel modo in cui i due sessi si rapportano con l'amore, come se nell'universo femminile la grazia prevalesse sulla bestialità e viceversa in quello maschile, salvo poi ribaltare tutto nel momento in cui i due si ritrovano e si sposano. Questo terzo atto della romance porta a una sorta di ribaltamento dei ruoli in cui Neil sembra assumere finalmente una sostanza che gli era mancata finora, al punto da sembrare uno spettro aleggiante nella vita della sua amata e nelle inquadrature stesse, e dimostra anche una complessa stratificazione psicologica e sentimentale segnata da un forte dilemma interiore. La durezza del volto e del fisico di Affleck rappresentano efficacemente un guscio nel quale nascondere i dubbi che affliggono quest'uomo, incapace di vivere fino in fondo l'amore sia per Marina che per Jane (Rachel McAdams), vecchia conoscenza con cui ha una breve relazione, ma al contempo mostra momenti di enorme fragilità e soprattutto una compassione realmente cattolica nei confronti della moglie, alla quale perdona gli scatti d'ira, gli alti e bassi umorali e per un breve momento persino un tradimento. Proprio l'adulterio, simbolo massimo delle impurità che possono macchiare l'amore carnale, finisce per mettere un punto al rapporto tra i due, come a voler affermare il primato dello spirito, il quale però, dal canto suo, vive comunque le sue criticità attraverso il doloroso percorso di padre Quintana, il quale continua meccanicamente ad amministrare il proprio ruolo di guida religiosa chiedendosi però se Dio esista davvero, se sia possibile credere in un'entità che non lascia mai segni di sé. Il mistero della fede, al centro del cattolicesimo, diventa dunque per Malick l'altro riflesso del mistero che spinge gli uomini ad amarsi, pur consapevoli che la passione è destinata a dissiparsi e, spesso, con essa anche l'amore stesso.

To the Wonder non è un film che, come da tradizione della narrazione classica, rompe la quotidianità con una domanda per poi fornire una risposta chiarificatrice e capace di riportare ordine nell'equilibrio spezzato. L'opera in questione pone continuamente interrogativi privi di risposte ma che una riscoperta dell'enorme organismo naturale che ci circonda e del quale l'uomo fa parte può aiutare a risolvere. La bellezza del creato e la capacità della mente e del cuore umano di indagarla è forse l'unica vera risposta. Per chiunque sia abituato al cinema fatto di risposte continue questa pellicola potrebbe essere una buona occasione di apertura verso questa bellezza e le sue domande.

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