sabato 25 agosto 2018

COLOSSAL: LE CONSEGUENZE DELLE DIPENDENZE

Con ben due anni di ritardo e per di più solamente tramite Netflix è finalmente stato distribuito in Italia Colossal, ultima pellicola firmata dallo spagnolo Nacho Vigalondo nel 2016. Come ormai da abitudine per questo autore indipendente dedito a una rilettura molto personale dei generi il film ha ricevuto un buon riscontro critico, specialmente per quanto concerne la performance della protagonista Anne Hathaway, ma è passata del tutto o quasi inosservata presso il grande pubblico, motivo per il quale i distributori italiani non hanno voluto scommettere su questo prodotto. Un grave peccato a mio avviso poiché proprio per questa release così posticipata e limitata, nonostante l'innegabile diffusione della piattaforma on-demand sopracitata, molti di voi hanno perso l'opportunità di godersi un film che, lo dico fin da subito, merita certamente una visione.

Dopo una sequenza di apertura ambientata in Corea del Sud che mostra l'apparizione di un misterioso quanto enorme mostro la narrazione si sposta cronologicamente di venticinque anni e spazialmente negli Stati Uniti, dove vive Gloria (Anne Hathaway), una donna chiaramente dipendente dall'alcol e che a causa di ciò non riesce a vivere con serietà ed equilibrio la propria vita. Proprio tale problema porta il suo ragazzo Tim (Dan Stevens) a lasciarla, i suoi datori di lavoro (la ragazza scrive per una rivista online) a licenziarla e nessun altro pare intenzionato ad assumerla, così la protagonista lascia miseramente New York per tornare nella piccola cittadina della sua infanzia. Mentre si avvia verso la casa lasciatale dai genitori Gloria incontra per caso (almeno così sembrerebbe) Oscar (Jason Sudeikis), suo vecchio amico dei tempi della scuola del quale in realtà ricorda poco o niente a causa delle continue sbronze. I due tornano a frequentarsi e l'uomo le offre di lavorare nel suo bar, frequentato quasi solamente dall'ex tossico Garth (Tim Blake Nelson) e dal giovane e impacciato Joel (Austin Stowell). Nel frattempo, tra una sbronza e l'altra, il mostro visto nell'incipit torna a tormentare Seul ma ciò che sconvolge realmente Gloria è la graduale scoperta che in realtà questi non è altro che una sorta di suo avatar che si attiva quando la donna entra in un parchetto della cittadina alle 8 e 5 di mattina. La situazione degenererà poi quando anche Oscar entrerà nel suddetto luogo dando vita a un suo avatar dalle sembianze di un robot simile a quelli che hanno reso famoso il mangaka Go Nagai. L'uso che il barista farà di questo potere sarà tutt'altro che positivo.

A dispetto di quanto faccio di solito per Colossal mi sono dilungato a lungo nell'esplicare la sinossi perché, come da tradizione ormai per Vigalondo, il film in analisi viene certamente catalogato per meri motivi pratici sotto l'etichetta della fantascienza ma il suo cuore supera abbondantemente le barriere del genere e probabilmente anche farlo rientrare all'interno del filone sociologico della sci-fi (si pensi a tal proposito a L'uomo che fuggì dal futuro di George Lucas o La decima vittima di Elio Petri, girati rispettivamente nel 1971 e 1965) non risulterebbe del tutto esatto. La pellicola in questione nel corso della narrazione dimostra con sempre maggiore sicurezza come gli elementi fantascientifici rappresentino degli inserti metaforici, dei simboli atti a rafforzare la riflessione tutt'altro che semplicistica o buonista sulle dipendenze da sostanze in grado di alterare la percezione della realtà, in primis l'alcol, e le conseguenze delle stesse. Nell'affrontare un tema tanto delicato quanto drammaticamente attuale il cineasta iberico mescola con fantasia e lucida conoscenza della realtà al contempo il registro drammatico a quello ironico con un senso dello humour che spesso tocca corde sprezzantemente ciniche ma solamente per raggiungere uno scopo ben preciso: dimostrare al pubblico quanto poco romantico o divertente sia in realtà vivere perennemente sotto l'influenza di una droga, di qualunque tipologia.
Ecco dunque che anche l'inserimento di queste figure mostruose di ascendenza nipponica si trasforma da scelta curiosa in ottima allegoria di ciò che diventano un uomo e una donna che gettano via il proprio libero arbitrio, la propria razionalità e dunque umanità in favore di uno smodato e continuo abuso di alcol, capace non solo di distruggere le loro vite ma anche e soprattutto quelle di chi gli sta accanto e persino di perfetti sconosciuti che vivono dall'altra parte del globo. Gloria e Oscar rappresentano due facce della stessa medaglia, accomunati dai medesimi vizi, dall'insoddisfazione, dall'incapacità di risultare affidabili e di stringere veri legami con il prossimo ma soltanto la prima nel corso del film riesce ad aprire gli occhi sulla propria condizione e conseguentemente a tentare di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Il barista invece non solo rifugge nella dipendenza la propria infelicità ma finisce per dimostrarsi una persona estremamente egoista e sadica, capace di infliggere dolore agli altri solamente per alleviare la sua solitudine. Nonostante ciò il regista non abbandona mai l'ironia già citata che contraddistingue la pellicola, rendendola in parte comparabile proprio alle velleità da dark comedy proprio de La decima vittima, dal quale recupera anche un certo utilizzo ludico di scenografie ed effetti speciali fantascientifici, sottolineando come l'elemento sci-fi sia solo un mezzo per raccontare qualcosa che è molto più presente rispetto ad astronavi e invasioni aliene.

Una breve ma doverosa menzione meritano i due attori principali, Anne Hathaway e Jason Sudeikis, i quali reggono sulle proprie spalle un film nel quale Vigalondo non cerca spericolati movimenti di macchina in favore di inquadrature ravvicinate atte proprio a esaltare le interpretazioni dei due. In particolare l'attore di Come ammazzare il capo...e vivere felici (Horrible Bosses, Seth Gordon, 2011) dimostra di poter recitare in maniera ottima anche al di fuori di contesti comici, donando al proprio personaggio persino sfumature esistenziali e morali che esulano dalla sceneggiatura, oltre a rendere palpabile il crescente ribaltamento etico dello stesso da cavaliere senza macchia ad alcolista infelice e spregevole.

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