martedì 13 giugno 2017

THE WITCH: TRA CINEMA MODERNO E HORROR CONTEMPORANEO

Presentato per la prima volta all'edizione 2015 del Sundance Film Festival, The Witch rappresenta il lungometraggio d'esordio per Robert Eggers, autore anche del soggetto e della sceneggiatura. In seguito al successo riscosso ai festival il film ha ricevuto una distribuzione mondiale l'anno successivo, ottenendo un ottimo riscontro anche commerciale, tanto da farlo diventare immediatamente il fenomeno horror dell'anno. Scopriamo adesso se tanto clamore sia quanto meno giustificato dalla qualità del prodotto.

Ambientata nel New England del diciassettesimo secolo la pellicola segue le vicende di una famiglia puritana che, a causa delle convinzioni religiose fondamentaliste del pater familias, si ritrova a vivere isolata da tutti nei pressi di una foresta. Il nucleo è composto dai due genitori e cinque figli, il più piccolo dei quali (appena nato) svanisce misteriosamente nella sequenza iniziale. In seguito a questo doloroso evento tra i protagonisti comincia a serpeggiare un crescente sospetto nei confronti dell'altro, mentre realtà e superstizione si mescolano rendendo indistinguibili i propri confini.

Sono principalmente due gli elementi che stupiscono dai primi minuti e che distinguono The Witch da gran parte del genere horror attuale: l'ambientazione storica ricreata con una ricerca filologica meticolosissima (si pensi al linguaggio utilizzato dai personaggi o ai loro costumi) e il ritmo tutt'altro che frenetico, ben lontano dal montaggio da videoclip a cui il cinema mainstream a stelle e strisce ci ha abituati. Con il trascorrere della pellicola in particolare spicca proprio la regia di Eggers, scandita da lunghe inquadrature fisse dal forte richiamo alla pittura fiamminga secentesca esaltate dalla fotografia basata sulla luce naturale ad opera di Jarin Blaschke. Sequenze come quelle ambientate in interni al calare del sole, con la sola luce delle candele come fonte di luce, non possono non richiamare la pittura di Caravaggio, proprio come decenni fa Terence Malick  (con la collaborazione del direttore della fotografia Nestor Almendros) nel  mai troppo lodato I giorni del cielo (Days of Heaven, 1978).

Tanta eleganza visiva non diviene mai puro esercizio di stile grazie a una sceneggiatura votata all'ambiguità morale e percettiva, una vera e propria cifra stilistica distintiva dell'intero film. Centellinando i momenti realmente horror il giovane cineasta americano riesce a creare un'atmosfera opprimente e cupa nella quale far esplodere, durante la seconda metà, tutto il rancore e la diffidenze che si è venuta a creare nella religiosissima famiglia rappresentata. Religione che si trova perennemente al centro della narrazione in quanto causa dell'isolamento dei personaggi rispetto al resto del mondo e filtro attraverso la quale ogni vicenda viene vissuta, specie quelle maggiormente dolorose. Proprio a causa di questo potente velo in grado di deformare la realtà diviene difficile affrontare da un punto di vista prettamente empirico ciò che accade nelle sequenza finali: non intendo addentrarmi in spoiler dannosi anche perché ciò che risulta davvero degno di nota sono l'enorme mole di simbolismo creata dai piani lunghi del regista e la profonda ambiguità di tutto ciò a cui lo spettatore assiste. La mancanza di certezze evidenti ha sempre costituito il vero e proprio distinguo del cinema moderno rispetto a quello classico, insieme alla priorità dell'immagine rispetto alla narrazione e alla negazione poetica delle regole della grammatica filmica, tutte caratteristiche rintracciabili nel film in analisi, come se il giovane autore avesse utilizzato l'impalcatura del genere (in questo caso horror) solamente per poterne sfruttare l'enorme mole di immaginazione e allargare infine il grado di ambiguità persino alle ambizioni del film stesso.

In conclusione The Witch può essere considerato uno dei migliori lungometraggi d'esordio degli ultimi anni, un esempio di come ormai la vecchia dialettica tra cinema di genere d'autore sia superata e soprattutto di quanto il cinema possa ancora essere appetibile per il grande pubblico senza perdere la ricercatezza del linguaggio.

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